Poco più di 10 ettari di vigneto la superficie media coltivata, 75 tonnellate di uva auto-prodotta per una produzione media di 38mila bottiglie vendute ogni anno: in altre parole, una filiera totalmente integrata, dalla vigna alla cantina, fino alla commercializzazione dei propri vini. E il valore non è solo ambientale, ma si traduce anche sui prezzi di mercato. È quella costituita dagli oltre 1.700 produttori associati a Fivi, i vignaioli indipendenti italiani, il cui modello produttivo è emerso da un’indagine Nomisma Wine Monitor presentata alla vigilia della 13ª edizione del Mercato dei Vini dei Vignaioli Indipendenti Fivi. Il Mercato 2024 occupa dal 23 al 25 novembre i padiglioni di BolognaFiere con oltre 8mila vini in assaggio, due delegazioni di vignaioli stranieri in rappresentanza delle associazioni nazionali appartenenti a Cevi (Confédération européenne des vignerons indépendants) e 32 soci di Fioi (Federazione italiana olivicoltori indipendenti). È una galassia di piccole e grandi imprese vitivinicole che operano su tutta la filiera, che oggi sembra riuscire a valorizzare questa peculiarità nel segno dell’autenticità - come sottolinea nell’intervista a Italia a Tavola il vicepresidente Fivi Luigi Maffini.
Fivi, eccitazione per il Mercato a Bologna
Maffini, proviamo a fare il punto in occasione dell’apertura del Mercato Fivi, il momento cruciale nel calendario dei vignaioli. Siamo all’ultimo scorcio del 2024 e si chiude un anno complesso, qual è l’umore in casa Fivi?
In questo momento siamo particolarmente gasati, perché comunque ci aspetta il Mercato a Bologna. Una tredicesima edizione che già ci sta dando segnali di un incremento, seppur contenuto, delle prevendite. Quindi possiamo aspettarci un'ulteriore conferma da questa manifestazione, che dopo il Vinitaly è una delle più seguite in termini numerici di ingressi. Difficile sondare il polso e l'animo di tutti i quasi duemila vignaioli, ma soprattutto difficile darne adesso una lettura. Penso però che nel mondo Fivi ci siano dei segnali rassicuranti.
Quindi, secondo lei, il mondo Fivi sta un po' meglio rispetto allo scenario del mondo vino?
Secondo me sta un po' meglio. È logicamente un segmento che soffre le difficoltà di mercato e va spesso incontro a difficoltà dovute alla natura. Siamo una realtà molto variegata, quindi è evidente che ci sono delle aziende piccole che probabilmente soffrono un po' di più con il mercato, con le difficoltà burocratiche, ma oltre a questo è il cambiamento climatico a creare veramente delle preoccupazioni.
Fivi, vicina ai giovani
Le ricerche ci dicono che i giovani tendono ad allontanarsi dal mondo del vino, ma allo stesso tempo sembrano essere molto attenti alle storie del lavoro, all'incontro con il vignaiolo, alla conoscenza di quello che c'è dietro al calice. E in fondo il vostro movimento va incontro a questo tipo di esigenze. La Fivi è un po' più vicina ai giovani rispetto ad altri mondi?
Io penso decisamente di sì. Il mercato ne è anche una riprova, perché abbiamo molti giovani visitatori e comunque viene apprezzata questa possibilità di avere un dialogo diretto. Il vignaiolo è dietro le sue bottiglie e sicuramente è un elemento che spinge a favore dei vignaioli Fivi. In questa fase un po' complicata per il comparto del vino, sicuramente aiuta ad avvicinare al vino tanti giovani che vogliono sentire delle storie vere.
È questo uno dei motivi per cui la vostra bottiglia - come ha evidenziato la ricerca Nomisma presentata recentemente - vale doppio?
L'analisi evidenzia un prezzo molto più elevato rispetto alla media nazionale, più del doppio. Logicamente è un dato che va analizzato accuratamente: per molti vignaioli e per molte aziende probabilmente è un prezzo ancora basso, perché c’è l'altra faccia della medaglia. Sembra però un dato di fatto che i vignaioli Fivi riescano a collocare sul mercato le bottiglie a un prezzo più elevato e questo vuol dire che c'è realmente una qualità aggiunta e riconosciuta legata al lavoro sulla filiera completa. E questa peculiarità viene percepita dal mercato e dal consumatore. Questo credo sia un dato molto rassicurante.
Dunque l’orizzonte è più sereno?
Penso di poter dire con estrema chiarezza che il vignaiolo Fivi ha probabilmente un orizzonte meno nebuloso rispetto a quello che in questo momento si prospetta per il mondo del vino in generale.
Fivi, raccontare il mondo dietro alla bottiglia
Scorrendo le analisi, da più fonti, sembra invece inevitabile un declino dei consumi. Ci si deve fare i conti perché cambia il mondo? O c'è qualcosa che il mondo del vino dovrebbe fare - ma invece pecca - per riuscire a mantenere forza come fenomeno culturale?
La risposta a questa domanda è decisamente molto complessa. Guardando il comparto vino, tutti abbiamo questa evidenza. I consumi vanno necessariamente verso un calo ed è evidente che noi abbiamo molto lavoro da fare come vignaioli per avvicinare e per comunicare il vino alle nuove generazioni. Perché mi sembra evidente che il vino fino ad oggi sia stato probabilmente un oggetto di culto e anche di desiderio per una generazione meno giovane, per cui vanno conquistati i giovani...
Chiaro, ma come si può fare?
Può sembrare una risposta scontata, ma dovremmo fare di più quello che i vignaioli fanno tutti i giorni. Ovvero comunicare con semplicità, ma anche con l'empatia che chi lavora nei vigneti e vede crescere la pianta in vigneto e poi ne coglie i frutti. Dovremmo sempre raccontare come ognuno di noi viva le proprie bottiglie e il proprio lavoro come una parte di se stesso.
Fivi: autenticità, qualità e sostenibilità
Quindi una prima parola chiave potremmo identificarla in “autenticità”?
Sì, perché è evidente che c'è un'autenticità nel lavoro dei vignaioli che seguono tutta la filiera. E penso che questa sia una delle chiavi di lettura che devono trasferire a chi viene a degustare le nostre bottiglie. Esiste la necessità di trasmettere l'anima. Il nostro lavoro è la nostra vita ed è caratterizzato da un'anima. Questo lo vedo come un elemento importante per poter coinvolgere i più giovani e quelli che ancora oggi hanno la voglia di avvicinarsi al vino.
Se le chiedessi altre due parole-chiave, oltre all'autenticità, sulla prospettiva del mondo del vino?
Direi che bisogna essere molto attenti alla qualità. Trovo che spesso ci siano vini di presunta qualità, ma senza un reale riscontro nel bicchiere. Come vignaiolo e come produttore voglio dire che la qualità è importante, perché noi creiamo un'aspettativa con il nostro racconto, con la nostra faccia e le nostre mani. Poi c’è la sostenibilità, che è insita nel nostro modo di lavorare. Il focus di Nomisma evidenzia come ci sia molta attenzione all'ambiente e alla sostenibilità. Chi è piccolo ha evidentemente una necessità di relazionarsi l'ambiente, anche perché sono le diverse vendemmie e gli scherzetti che ci fa il clima mettono a dura prova l’attività. I vignaioli vivono la loro vigna tutti i giorni e questo ti rende più sensibile alla sostenibilità.
Quanto riescono oggi i vignaioli a contrastare le complessità del cambiamento climatico e delle vendemmie come stanno venendo avanti? Hanno abbastanza strumenti e competenze per affrontare il mutamento?
Gli strumenti sono sicuramente pochi. Fivi chiede alle istituzioni più strumenti, più attenzione nei confronti del clima e delle condizioni spesso impossibili nelle quali ci si trova a lavorare. In un mondo vasto e fatto di tanti piccoli, evidentemente emerge una difficoltà nel reperire gli strumenti, anche per come sono gestiti i finanziamenti a tutti i livelli. Penso invece che le competenze ci siano. Il vignaiolo è abituato a far da sé e viene spesso da una preparazione specifica. È un dovere guardare avanti e migliorare le proprie competenze.
I vignaioli sono alfieri del made in Italy?
Penso proprio di sì, anzi decisamente sì. Siamo i produttori a filiera completa del vino italiano, che porta il nostro Paese in giro per il mondo.
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Alberto Lupini
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