Dazi Usa, è allarme formaggi. Stangata del 35% per le aziende casearie

Nel pieno di una crescita record per l'export caseario italiano, i nuovi dazi di Trump riaprono vecchie ferite e accendono un fronte che mette a rischio fatturati, mercati strategici e anni di investimenti di filiera

03 aprile 2025 | 11:58

Dalle ore 6 del 3 aprile, con effetto immediato, gli Stati Uniti hanno introdotto nuovi dazi del 20% sulle importazioni provenienti dall'Unione europea, facendo salire al 25% le tariffe sulle automobili e, nel caso dei formaggi, portando l'aliquota complessiva al 35%. Una mossa che colpisce in pieno il comparto lattiero-caseario italiano, tra i più esposti sul mercato americano. Lo stesso Trump, annunciando la misura, ha parlato di «giorno della liberazione» per gli Stati Uniti, aggiungendo che «il nostro Paese è stato saccheggiato per anni» e che «ora è il nostro turno di prosperare». Ma mentre a Washington si brinda a quella che viene presentata come una strategia di “dazi reciproci”, in Italia cresce la preoccupazione per le conseguenze di una stretta che arriva in un momento di grande slancio per l'export caseario.

Bertinelli (Parmigiano): «Dazi Usa? Una scelta che danneggia tutti»

La reazione più immediata è arrivata proprio dal mondo del Parmigiano Reggiano, tra i simboli assoluti del made in Italy. A prendere posizione è Nicola Bertinelli, presidente del Consorzio, che non nasconde l'irritazione per la notizia: «I dazi sul nostro prodotto passano dal 15% al 35%. Di certo la notizia non ci rende felici, ma il Parmigiano Reggiano è un prodotto premium e l'aumento del prezzo non porta automaticamente ad una riduzione dei consumi». Bertinelli sottolinea come il mercato americano rappresenti il primo sbocco estero per il Parmigiano Reggiano, con una quota del 22,5% sull'export totale.

Una posizione di forza costruita nel tempo, anche a fronte di una concorrenza interna che, però, non viene considerata tale: «Lavoreremo per cercare con la via negoziale di fare capire per quale motivo non ha senso applicare dazi a un prodotto come il nostro che non è in reale concorrenza con i parmesan americani. Ci rimboccheremo le maniche per sostenere la domanda in quello che è il nostro primo mercato estero. Il Parmigiano Reggiano copre circa il 7% del mercato dei formaggi duri a stelle e strisce e viene venduto a un prezzo più che doppio rispetto a quello dei parmesan locali. Noi non siamo affatto in concorrenza coi formaggi locali: si tratta di prodotti diversi che hanno posizionamento, standard di produzione, qualità e costi differenti: è pertanto assurdo colpire un prodotto di nicchia come il Parmigiano Reggiano per proteggere l'economia americana».

Il ricordo, poi, va anche al 2019, quando l'allora presidente Trump introdusse tariffe aggiuntive del 25% e il Parmigiano Reggiano si ritrovò in prima linea tra i prodotti più penalizzati: «Nel 2019, quando Trump introdusse tariffe aggiuntive pari al 25%, il Parmigiano Reggiano fu il prodotto più colpito con un incremento del prezzo a scaffale dai 40 ai 45 dollari al chilo. Fortunatamente i dazi sono poi stati sospesi il 6 marzo del 2021 e non ci hanno creato problemi in termini di vendite. Gli americani hanno continuato a sceglierci anche quando il prezzo è aumentato. Negli Stati Uniti chi compra il Parmigiano Reggiano fa una scelta consapevole: ha infatti un 93% di mercato di alternative che costano 2-3 volte meno. Imporre dazi su un prodotto come il nostro aumenta solo il prezzo per i consumatori americani, senza proteggere realmente i produttori locali. È una scelta che danneggia tutti. Oggi, il vero nemico dei produttori di latte non sono le loro controparti estere, ma i prodotti che vengono chiamati ‘latte' o ‘formaggio' pur non avendo alcuno legame con terra e animali, come i cibi a fermentazione cellulare».

Berni (Grana Padano): «Il 39% esibito sulle tabelle di Trump non è vero per i formaggi»

Un quadro che trova conferma anche nelle parole di Stefano Berni, direttore generale del Consorzio Grana Padano, che mette nero su bianco gli effetti immediati del provvedimento. «Finora, su ogni forma di Grana Padano esportata negli Stati Uniti era applicato un dazio pari al 15% del valore fatturato per circa 2,40 euro al kg. Con l'aumento del 20%, il prelievo allo sbarco negli Usa salirà a quasi 6 euro al kg al consumo che si amplificheranno ulteriormente, con inevitabili conseguenze sui prezzi americani». Ma Berni contesta anche apertamente i dati mostrati da Trump nel suo discorso: «Il 39% esibito sulle tabelle di Trump non è vero per quanto riguarda il caseario, perché il dazio all'ingresso in Ue di formaggi americani è di circa 1,8€ al kg, quindi inferiore a quanto noi da sempre paghiamo, e con i nuovi dazi diventerebbe appena 1/3 di quanto noi dovremo pagare da oggi in poi. Quindi, almeno per noi, è un'inesattezza colossale che il dazio aggiuntivo sia la metà del dazio addebitato ai formaggi americani perché, ripeto, a noi oggi costa il triplo per entrare negli Usa rispetto a quello che i loro formaggi pagano per entrare da noi».

Da qui l'appello a un intervento politico rapido e deciso: «Le istituzioni italiane ed europee devono attivarsi immediatamente per contrastare questo contraccolpo, adottando tutte le misure necessarie a tutelare le esportazioni dei prodotti colpiti da questi dazi ingiustificati e per noi assai penalizzanti. Siamo sconcertati perché ogni qualvolta c'è tensione internazionale i formaggi di qualità vengono colpiti oltre misura. È successo nel 2014 con l'embargo russo post invasione in Crimea e da allora non esportiamo più un solo kg in Russia. È successo dall'ottobre 2019 al febbraio 2021, nell'ultimo tratto del Governo Trump, potrebbe succedere in Cina tra poco ed è successo di nuovo negli Stati Uniti oggi».

I numeri dell'export di formaggi italiani negli Usa

In attesa di risposte concrete da Bruxelles, però, le imprese del settore fanno i conti con uno scenario più incerto. Secondo i dati elaborati da Clal, società di analisi del settore lattiero-caseario, le esportazioni di formaggi italiani nel 2024 hanno raggiunto quota 657.639 tonnellate, con un incremento del 10,7% sull'anno precedente e un valore complessivo superiore ai 5,7 miliardi di euro. Una crescita che conferma il trend degli ultimi anni: nel 2020 le tonnellate esportate erano 460mila, oggi sono quasi 200mila in più. Il segmento trainante è stato quello dei formaggi freschi (+12,7%), che rappresentano circa la metà dell'export totale, con ottimi risultati sono arrivati anche da Grana Padano e Parmigiano Reggiano, in crescita dell'8,7%.

Nel dettaglio, nel 2024 le esportazioni verso gli Stati Uniti hanno toccato le 40.878 tonnellate, con un +10,2% rispetto al 2023. In termini economici, si parla di 486,5 milioni di euro, circa 44 milioni in più rispetto all'anno precedente. Si conferma così il ruolo clou del mercato americano per il formaggio italiano, che tuttavia ora rischia di essere compromesso dalle nuove barriere tariffarie. Non solo per il Parmigiano, ma per l'intero settore: i formaggi grattugiati e in polvere hanno registrato 74.998 tonnellate esportate (+10,7%) per un valore di 821 milioni, mentre mercati alternativi come Sud-Est asiatico, Cina e Giappone stanno crescendo ma non compensano ancora il peso degli Stati Uniti.

Dazi Usa, Coldiretti e Confagricoltura: «Serve una risposta unitaria»

Uno scenario che, secondo il mondo agricolo italiano, impone ora un cambio di passo sia sul piano commerciale, sia su quello politico e strutturale. Perché se i dazi rischiano di rallentare l'export e indebolire un settore in piena espansione, serve che l'Europa sappia reagire con una visione chiara e un piano di rilancio concreto. È il messaggio lanciato dal presidente di Coldiretti, Ettore Prandini: «Questa deve essere anche l'occasione per l'Europa, che deve rimanere unita più che mai in questa fase e dialogare con un'unica voce, di mettere in campo un piano di rilancio dei settori produttivi, a partire dalla sburocratizzazione, ma anche iniettando nuove risorse».

«Burocrazia inutile che ha rallentato tutto e colpito le nostre aziende in maniera significativa. Ci vuole un'iniezione di nuove risorse economiche - ha spiegato Prandini. Investire in digitalizzazione e innovazione e con agricoltura precisione per quanto riguarda il nostro settore. Servono nuove risorse per internazionalizzazione e in questo momento diventa fondamentale diversificare i mercati. Dobbiamo diventare più competitivi abbassando costi imprese».

A condividere la necessità di una risposta coordinata è anche Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura: «Come Italia usciamo sicuramente penalizzati dall'introduzione dei dazi da parte degli Stati Uniti, in particolar modo per quanto riguarda i prodotti di fascia media. La risposta - ha aggiunto - non può che essere unitaria, europea, convinta, come annunciato dalla presidente Von der Leyen. Fondamentali le misure previste per sostenere i settori più colpiti. Non dimentichiamo, infatti, che rischiamo anche un massiccio riversamento di prodotti da altri Paesi che subiranno le tariffe americane, per esempio la Cina».

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Alberto Lupini


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