Esiste la carne perfetta per un ristorante?

È un alimento in grado di soddisfare i palati più esigenti, complesso e ricco di variabili, che è protagonista nei ristoranti, in cui si ricerca la massima qualità. Il territorio è in grado di firmare le carni migliori

10 febbraio 2023 | 09:30
di Matteo Scibilia

Esiste la carne perfetta per un ristorante? Quali sono i parametri per definirla tale? Cosa è importante: l’allevatore, il foraggio, il terreno, la razza, il costo? Oppure è un mix di tutto questo? Cerchiamo di dare qualche risposta. Nel cibo ormai da molto tempo tutto è focalizzato intorno alla parola qualità. Per alcuni prodotti è più semplice individuare il livello qualitativo, ma per altri non è scontato: esistono, infatti, troppi parametri che entrano in gioco. La carne è un prodotto complesso e ricco di variabili.

È da molto tempo che il mondo della carne, infatti, è sotto i riflettori. Si va dal pollo allevato in batteria che costa qualche euro al chilogrammo, al pollo allevato a terra che ne costa dieci volte tanto, ma entrano in gioco anche tradizione gastronomica e storia di un territorio: da un carpaccio all’Albese a un ragù alla napoletana, alla famosa Fiorentina, dove anche la cottura è una variabile importante. Bisogna, in ogni caso, ricordare che la consuetudine di mangiare carne di manzo è molto recente. Il bue era uno strumento di lavoro già in epoca romana: si mangiavano, quindi, maiali, volatili e selvaggina. Quando poi la forza lavoro del manzo è stata sostituita dai trattori, alimentarsi con la carne di manzo è divenuta una prassi, inizialmente riservata a pochi, alla classe benestante, come segno di agiatezza sociale. Nel nostro Paese c’è una antica tradizione di allevamenti a livello regionale: Vitellone bianco degli Appennini che comprende, la Chianina, la Marchigiana e la Romagnola, un rigido disciplinare ne regola l’allevamento, la Fassona in Piemonte e razze più o meno autoctone sono allevate in altre regioni. Non siamo, però, un territorio di pianura e di pascoli in grado di allevare allo stato brado, per cui spesso gli allevamenti sono finalizzati al consumo locale e alla produzione di latte e quindi di formaggi.

Il territorio, carta d’identità di una buona carne

Tutto è cominciato qualche anno fa. Alcune aziende specializzate in distribuzione di specialità del settore Horeca cominciarono a importare e distribuire carni estere con caratteristiche diverse dalle carni nazionali. In assoluto la prima novità intorno agli anni '85/'90, fu l’arrivo della carne scozzese, l’Angus di Aberdeen: le prime carni supermarezzate, allevate in ricchi pascoli allo stato brado, misero in gioco nuove tecniche di cottura e di sapore che stimolarono la fantasia degli chef. Insieme a un altro grande prodotto, l’agnello Presalè, o meglio il Prè-salès di Mont-San Michel, che provocò un po' di confusione: in molti fraintesero il linguaggio e pensarono fosse un agnello presalato, in realtà erano animali che si cibavano di erba di pascoli “bagnati” dalla brezza marina, cioè da acqua salata, che in qualche maniera interveniva nel sapore finale delle carni. Qualche anno dopo arrivarono i primi tagli della Wa-gyu, letteralmente manzo giapponese: una carne di altissimo livello e molto marezzata, caratterizzata da metodi e protocolli severi di allevamento e da animali allevati con massaggi e sakè, cibati con birra e che ascoltavano musica classica. Il successo fu tale che spinse alcuni allevatori di casa nostra, anche in Brianza a tentare di applicare i metodi Wagyu nell’allevamento di alcuni capi di manzo nostrani, ma il costo della filiera non ne permise una facile diffusione: e si scelse la via dell'importazione. Anche se in Alto Adige e in Emilia Romagna alcuni allevatori hanno avviato da anni dei protocolli di allevamento che si rifanno alle metodologie Wagyu, ma ormai il mercato era disponibile e pronto a recepire le novità. Ecco, quindi, che alcuni distributori, Longino & Cardenal in primis, iniziarono con l’importazione e la distribuzione della regina di tutte le carni il “Kobe”, un manzo di origine Wagyu, ma in questo caso con una selezione specifica, razza Tajima-gyu, la carne dell’imperatore, della prefettura di Hyogo che ha come capitale la citta di Kobe. Gli standard di allevamento sono altissimi con un prodotto finale altrettanto eccellente e naturalmente con un costo elevato, con una emozione gastronomica di gusto e sapore impareggiabile.

 

Una buona carne nasce dall’attenzione al benessere dell'animale

Tutto questo ha spinto con un effetto domino su molte filiere dell’allevamento di manzo sia in Italia sia in molti Paesi europei, a migliorare i metodi di produzione di carni di qualità. Una buona carne nasce soprattutto dall’attenzione al benessere con cui l’animale viene allevato e dal cibo con cui è alimentato. Un allevatore olandese di vitello, Peter's Farm, diventò famoso, e lo è ancora, perché faceva giocare i vitellini con i giocattoli: oggi le migliori costolette alla milanese sono realizzate con queste carni. Una buona carne non deve essere magra, ma grassa e, soprattutto, deve essere frollata: questo è stato in fondo l’insegnamento dell’approccio con il manzo giapponese Wa-gyu. Non solo. Abbiamo anche imparato che la marezzatura, cioè l’infiltrazione del grasso, deve essere accentuato nelle fibre muscolari e non solo esternamente, segno che l’animale ha vissuto allo stato brado. Con questo spirito e progetto sono oggi disponibili nuove carni, allevate in territori precisi, con biodiversità molto spiccate.

La frollatura, un procedimento dal valore fondamentale

La frollatura è il procedimento di invecchiamento della carne dopo la macellazione, finalizzato a renderla più morbida e gradevole al palato. Di conseguenza la frollatura, termine improprio del processo wet aging, ha una durata (conservazione) definita nel tempo, che di solito non supera i 30 giorni. Questo è il processo di conservazione più utilizzato negli Stati Uniti e nel Regno Unito. La carne è costituita per oltre il 60% da acqua, oltre a sali minerali, zuccheri, proteine, grassi in genere, sangue: un mix che determina la durezza delle fibre muscolari, composte da tessuto connettivo e grassi, cioè la carne che mangiamo tutti i giorni. Questo mix necessita di un degrado molecolare, che avviene in maniera fisico chimica con la frollatura, prassi che viene anch’essa regolata da norme sanitarie.

Gli spagnoli stanno facendo la differenza

Abbiamo accennato ad alcune razze del nostro Paese, ma in tutta l’Unione Europea cominciano ad essere diffuse altre razze del territorio, carni di manzi bavaresi dalla Germania, carni di manzo prussiano dalla Polonia, la Frisona, francese di origine e olandese con il nome Hollandaise Pie-Noir, oltre alla famosa Charolaise. Ma sono gli spagnoli che si stanno distinguendo con carni molto particolari tra cui: la carne galiziana. Gli spagnoli, oltre al famoso Pata Negra, maiale dai piedi neri che produce il relativo Jamon Iberico, allevano e producono carni di manzo anche di vacca vecchia di grande livello qualitativo. In Galizia, pastorizia e allevamento sono ancora condotti seguendo tradizioni storiche, in un’armonia tra uomo e natura che ne ha fatto un luogo ideale. L’alimentazione a erba, i grandi spazi e la cura verso gli animali, si ritrovano nei sapori delle carni delle vacche di Galizia. Che l’animale sia una Frisona (che costituiscono la maggioranza degli animali selezionati) o sia una Bruna dei Pirenei ha relativamente poca importanza. Questo non preclude che la tracciabilità sia totale: la razza si conosce sempre ma è considerata meno importante.

La carne della famiglia reale inglese 

Nel Galles del Nord, c’è una delle fattorie più grandi d’Inghilterra: il Rhug Estate. Una storia millenaria, che incarna i valori del proprio territorio e ha saputo dare spazio all’innovazione. Nel 1998, quando Lord Newborough ereditò la tenuta di Rhug dal padre, volle che quel terreno di più di 5mila ettari si convertisse al biologico. Sono nati così gli allevamenti biologici del Rhug Estate. Con grande anticipo rispetto a molti altri imprenditori, Lord Newborough ha investito su uno stile di vita più sano, fondamentale per la salvaguardia del pianeta. Dal 2000 i suoi allevamenti sono certificati 100% biologici e i suoi animali vivono in un ambiente stress-free che influisce positivamente sulla qualità del prodotto finale. La filosofia di Lord Newborough punta tutto sulla filiera corta, dal campo al piatto. Gli animali sono allevati sui terreni della fattoria, dove si nutrono di erbe e prodotti coltivati in fattoria. 

Aberdeen Angus, agnello gallese Igp e altre carni di qualità

I terreni del Rhug Estate si dividono tra la fattoria principale a Corwen e la costa di Caernafron, dove si alleva l’Aberdeen Angus, razza pluripremiata per l’alto grado di marezzatura delle sue carni. L’azienda alleva anche pollame, suini, cacciagione, selvaggina e razze autoctone, come l’agnello gallese Igp. I polli ruspanti sono allevati a terra tra le 11 e le 16 settimane in pascoli completamente biologici. Questi animali sono oggetto di grandi cure al fine di preservare il loro benessere. Si nutrono e vivono in grandi campi di trifoglio. Crescono in piccoli gruppi omogenei che possono essere facilmente spostati da un terreno all’altro per non depauperare la natura che li ospita. Altro pezzo forte è l’agnello delle saline che, a differenza dell’agnello gallese Igp, è stagionale. Il prodotto è disponibile da maggio a dicembre, poiché le erbe, di cui si nutre (lavanda di mare, acetosa, finocchio marino e altre erbe salmastre) e che caratterizzano il sapore dolce delle sue carni, non crescono durante il periodo invernale. Da segnalare anche i tacchini, le oche, i galli cedroni, i daini e il cervo: i primi sono un must del Natale, mentre i secondi vengono commercializzati in base alla disponibilità stagionale. Potremmo in definitiva dichiarare: passione e conoscenza sono le armi dei migliori allevatori, il territorio è in grado di firmare le carni migliori, la carne è capace di soddisfare i palati più esigenti ma, concludendo, la scelta deve essere quella di mangiare meno carne, ma che sia di grande qualità.

Nuove tecniche di conservazione: la carne dry aged

Sulla scia di tutto questo, quindi territorio e identità dell’allevamento per un benessere dell’animale, si è aggiunto in questi ultimi tempi il metodo dry aged. Il dry aged è un processo di essicazione e ammorbidimento della carne che provoca la penetrazione del grasso sottocutaneo all’interno, rendendo la carne più burrosa. Si verifica un processo enzimatico che provoca la rottura della proteina spezzando le fibre e rilasciando acqua. La perdita di succhi e liquidi comporta una perdita di peso, ma fa sì che aumenti la concentrazione di sapore, odore e colore. La natura rustica delle razze più anziane è un fattore molto importante e ci aiuta a riconoscere le caratteristiche dei singoli animali e a respingere altre razze più moderne perché l’esperienza ci ha mostrato che hanno un valore culinario inferiore. Il colore del grasso è un ottimo indicatore della dieta e della vita che ha avuto l’animale: se ha fatto pascolo ed è stato al sole, sarà giallo. Lo stesso colore l’avrà se nutrito a ghiande. Inoltre se è un animale che ha lavorato o vissuto a lungo avrà muscoli dal rosso più acceso.»

Come si prepara la bistecca perfetta?

Procurarsi e cuocere una buona bistecca è il risultato di un insieme di fattori da veri specialisti. Il segreto è la temperatura dello strumento di cottura, padella, griglia o piastra elettrica. La carne, abbiamo detto, è un insieme di sostanze, in cui la fascia muscolare è tenuta attaccata all’osso dal tessuto connettivo e dal collagene, che in cottura si scioglie, che potremmo definire, in maniera semplicistica, dall’insieme dei grassi. La scienza in qualche maniera ci ha rivelato cosa avviene con la cottura, quella che noi addetti chiamiamo “reazione di Maillard”, cioè la caramellizzazione. In pratica, alla temperatura di almeno 140°, le varie sostanze della carne, zuccheri in testa, cuociono, imbrunendo, e, nello stesso tempo, creano una specie di camicia che ricopre l’esterno della carne stessa, impedendo ai liquidi di fuori uscire e di mantenere la stessa morbida. Piccolo segreto ulteriore è quello di tenere il pezzo di carne cotta sulla padella a fuoco spento per qualche minuto per permettere ai succhi interni di rilassarsi e ridistribuirsi.

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Alberto Lupini


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