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Formaggio italiano, ecco come riconoscerlo e classificarlo

Rispetto ai cugini francesi, il mondo del formaggio in Italia non ha mai avuto il posto che meriterebbe. Per approcciarsi alla realtà casearia nazionale è necessaria una classificazione più semplice

di Alberto Marcomini
 
06 marzo 2021 | 09:30

Formaggio italiano, ecco come riconoscerlo e classificarlo

Rispetto ai cugini francesi, il mondo del formaggio in Italia non ha mai avuto il posto che meriterebbe. Per approcciarsi alla realtà casearia nazionale è necessaria una classificazione più semplice

di Alberto Marcomini
06 marzo 2021 | 09:30
 

Sembra facile parlare, descrivere, capire un formaggio, ma non è proprio così. Cerco di portarvi in questo mondo, diventato “mio” da quasi 40 anni, in modo semplice, per potervi far capire che cos’è veramente un formaggio e come è possibile classificarlo, attraverso le molteplici tipologie, in grandi famiglie. Prima però vorrei chiarire per quale motivo nel nostro Paese la cultura casearia, che è un vero e proprio patrimonio agro-culturale, non ha mai guadagnato un doveroso posto di rilievo, come succede invece dai nostri cugini francesi.

Il formaggio non è un nemico a tavola - Il formaggio italiano Un'arte spesso non compresa

Il formaggio non è un nemico a tavola

Il formaggio non è un nemico della salute a tavola
Molto spesso mi viene chiesto se siamo più bravi noi o loro nel campo caseario. Faccio sempre fatica a rispondere, mi nascondo dietro a “ognuno ha la propria cultura, la competizione non deve esistere”. Ma dentro di me esce una seconda verità. I francesi il formaggio ce l’hanno nel proprio DNA. Il generale Charles De Gaulle sosteneva che era molto difficile governare un Paese che ha più di 400 formaggi, più di uno al giorno se si decidesse di provarne uno diverso ogni giorno dell’anno. Invece in Italia il formaggio è sempre stato demonizzato, colpevole di far aumentare il livello del colesterolo;insomma, da evitare, da buttare.

Il nutrizionismo attuale invece prova il contrario. Il formaggio è indispensabile per la nostra salute. È ricco di vitamine A, D, E, di fosforo, magnesio e calcio. Fa bene, ovviamente se consumato con moderazione - regola valida anche per tutti quegli alimenti che non sono formaggi - per chi fa sport, ma anche per chi soffre di cardiopatie, di diabete... Quindi, grazie a questi timori infondati, il mondo del formaggio italiano resta sempre in seconda o terza fila.

È anche vero che i francesi non hanno la cultura della pasta, della pizza, dell’olio, del pomodoro, che in Italia mettono in ombra il formaggio. Nella nostra dieta il formaggio diventa sempre un eventuale fine pasto. “La bocca non l’è straca se non sa de vaca” è uno dei proverbi più odiosi che conosco.

I nostri artigiani del latte sono molto bravi, nonostante questo non siamo in grado, spesso, di trasmettere, di far conoscere e capire il giusto valore delle opere d’arte dei nostri casari.

La classificazione dei formaggi in Italia è molto complicata, dovrebbe essere semplificata - Il formaggio italiano Un'arte spesso non compresa
La classificazione dei formaggi in Italia è molto complicata, dovrebbe essere semplificata

Classificare i formaggi in maniera semplice
Dopo aver capito che il formaggio non è il demone della cucina, impariamo a conoscerlo meglio, cercando di semplificare - perché, se seguissimo le classificazioni ufficiali, ci sarebbe da perdere la testa e certamente non farebbe bene ad un iniziale approccio all'alimento.

Nella mia vita professionale ho cercato - lo faccio tuttora e lo farò sempre - di imparare da chi è più bravo di me: dai francesi ho imparato tanto. Loro classificano il formaggio in modo semplice, suddividendo nelle tipologie di latte e di crosta (ad esempio, crosta lavata o crosta fiorita). Noi invece lo classifichiamo per tipologie di stagionatura, di pasta, temperature della cagliata, ecc.

I formaggi in Italia, quindi, vengono suddivisi in toto per tipologie di latte. Da qui in freschissimi, freschi, semistagionati, stagionati, a pasta cruda, cotta semicotta, erborinati, aromatizzati, a latte crudo, termizzato o pastorizzato. Quante categorie! Credo che il modo più semplice per avvicinarsi al formaggio sia quello di cercare di capirlo, è sufficiente avere pochi essenziali informazioni: con quale latte è fatto, se il latte è crudo o no, quanto tempo ha il formaggio, da dove proviene e chi l’ha fatto.

Poi intervengono i nostri sensi: la vista, il tatto, l’olfatto, il gusto. Dobbiamo fidarci del nostri sensi, di noi stessi. Se un olio non profuma di olive e sa di rancido, bisogna gettarlo. Se assaggiamo un vino che sa di tappo, ce ne accorgiamo, lo rifiutiamo. Lo stesso se mangiamo una pasta scotta senza sale e magari condita con il ketchup, anziché con pomodoro di qualità: in questi casi valutiamo il prodotto come non buono. La stessa cosa vale per i formaggi.

Il formaggio deve avere il suo giusto equilibrio, non deve avere note né acide né troppo sapide e nemmeno una prevalenza amara. Il formaggio deve esprimere la sua grande eleganza, la sua dolcezza e tutto il meglio che può offrire un ruminante da latte che sta bene e mangia sano, accudito con grande amore. Ma prima di tutto, deve esprimere l’appartenenza identitaria al proprio territorio.

Che bella storia è il formaggio!

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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