Non è stato un inizio di stagione facile per il tartufo bianco, ma si spera che con la luna nuova di inizio novembre la tendenza si possa invertire. La carenza di pepite è dovuta ai fenomeni atmosferici avversi e il settore, che vale oltre 500 milioni di euro e conta su più di 200mila raccoglitori, dovrà destreggiarsi con una non nuova instabilità di prezzi e offerta. Un primo scalino che precederà poi un intervento più massiccio: sostenere tutta la filiera soprattutto sul mercato estero per sfruttare tutto il potenziale e spingere il turismo enogastronomico che si poggia su eccellenze come quella del fungo ipogeo.
Temi che sono stati messi sul tavolo nel corso dell’Anteprima mondiale del tartufo bianco 2021 a cui hanno partecipato i massimi esperti del settore, tornati a riunirsi a Roma, nella sede di Cia-Agricoltori su iniziativa di Accademia del tartufo nel mondo e Italia a Tavola. Erano presenti: Giuseppe Cristini, presidente dell'Accademia; il sottosegretario Mipaaf, Gianmarco Centinaio; il direttore di Italia a Tavola, Alberto Lupini; Olga Urbani e Francesco Urbani, di Urbani Tartufi, Dino Scanavino, presidente di Cia; Antonio Donato, Tenute Del Cerro.
L'impegno di Centinaio per il turismo enogastronomico
Centinaio, nel suo intervento si è concentrato proprio sulla centralità del turismo enogastronomico, accennando ad una legge sul tartufo che è al vaglio del Senato e delle difficoltà nel far comprendere alla politica il valore di questo prodotto: «Spesso - dice - ci si occupa solo dei mercati come quello del grano o del vino, pensando che quello del tartufo non sia importante perché non fa grandi numeri. In realtà, il valore marginale per ettaro dice esattamente il contrario. Io ho il compito di portare interessi sani ai tavoli della politica e il business del tartufo lo è».
Nel sottolineare come il tartufo sia uno dei simboli del made in Italy «il re dell'agroalimentare nel mondo, con il vino che ne è l'ambasciatore», Centinaio ha ampliato il raggio d’azione a tutto il comparto del turismo enogastronomico: «Le eccellenze del nostro Made in Italy agroalimentare hanno la capacità di emozionare grazie all'unicità dei loro sapori, al patrimonio di biodiversità e al legame con le regioni. Ciò che ancora l’Italia non riesce a fare è raccontare all’estero il proprio patrimonio agroalimentare. Prendo l’esempio del vino: i cinesi riconoscono i nostri come i migliori al mondo, ma notano che i francesi sanno vendere i loro molto meglio. Dobbiamo vendere vino, vendendo un pacchetto turistico, raccontando cioè tutte le peculiarità, gli aneddoti e le storie legate al territorio dove si produce. Solo così turismo e agroalimentare, che devono viaggiare a braccetto, potranno dar vita ad un settore forte e florido».
Il ruolo del tartufo nel mercato agroalimentare
Per questo il ruolo che ha il tartufo italiano a livello internazionale non solo va tutelato, ma valorizzato perché ha ancora margini di crescita e miglioramento. Il mercato estero, del resto, assicura il 70% della domanda, trainata da Cina, Giappone, Dubai e Usa. L’appuntamento che ha visto anche gli interventi in videoconferenza degli chef Umberto Bombana (uno dei massimi interpreti del tartufo a livello mondiale che ha confermato quanto ad Hong Kong, dove lavora, i consumatori sono disposti a tutto pur di assaggiare qualche piatto a tema) e Alessandro Circiello ha fatto il punto sul comparto dopo l’anno assai incerto della pandemia e in vista di una piena ripartenza che vorrà necessariamente alleato il settore della ristorazione mondiale, da sempre promotore ideale del prezioso prodotto italiano.
L'attuale situazione è precaria
Intanto all’avvio di stagione (con i prezzi che oscillano tra 4.500 ai 2mila euro al kg) il quadro nazionale tra le regioni più rilevanti, ovvero Piemonte, Toscana, Marche e Umbria, presenta criticità sia sul fronte dell’offerta sia, di conseguenza, su quello dei prezzi con le quotazioni della Borsa di Acqualagna che al momento danno a 2mila euro al kg la pezzatura 0-15 gr, a 3.200 quella da 15-50 gr e a 4 mila oltre i 50 gr. A New York è stato venduto oggi a oltre 8mila euro il chilo.
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In quale areale italiano si “caverà’” la grande pepita?
«I tempi si allungheranno, ma si arriverà presto a un buon prodotto - ha spiegato meglio Giuseppe Cristini, presidente dell’Accademia -. Nelle Marche, sebbene non di grande caratura, si avranno pepite buone che non supereranno i 2mila euro al kg. Novembre - ha poi aggiunto - darà in tutte le regioni, grandi soddisfazioni in termini di quantità e qualità».
Guardando all’Umbria, ma con approccio sul lungo periodo, l’analisi di Olga Urbani, titolare della Urbani Tartufi, azienda storica del settore è in chiaroscuro ma condita dalla speranza che il pezzo più grande dell'anno si possa trovare ad Alba, una delle patrie più note del tartufo: «Erano anni - ha ammesso - che non ricordavamo una stagione così povera di prodotto. La mancanza di giuste piogge durante tutta l’estate sta causando un vero e proprio scompiglio economico per il nostro settore, non solo i prezzi stanno arrivando alle stelle, ma l’offerta è pari a zero, non solo in Italia ma anche nelle terre limitrofe. Un vero peccato, la domanda è altissima, i mercati cercano il Bianco e, incredibilmente, più degli anni passati, forse anche per un desiderio di rinascita post Covid. Dover rispondere di non averne è davvero difficile. Per questo motivo ritengo che l’iniziativa dell‘Accademia del Tartufo nel Mondo, assuma un tono ancor più importante. Nei momenti bui va, infatti, trovata una soluzione e noi riteniamo di trovarla in Truffleland, la moderna azienda del Gruppo Urbani dedita alla Tartuficoltura, unica salvezza per le lacune di un prodotto così incredibile e ineguagliabile».
Un assist per l'intervento di Francesco Urbani che si è focalizzato su una grossa novità: la coltivazione dei tartufi neri secondo standard dell'azienda che consentiranno di disporre di una quantità maggiore.
«Noi copiamo la natura - spiega - e poi cerchiamo di aiutare un pochino di più la pianta e i tartufi che cresceranno nei terreni. Come funziona la nostra coltivazione? Prendiamo i semi che cadono dalle piante che già producono i tartufi e scegliamo addirittura la pianta. Non ci innamoriamo mai delle piante troppo grandi, ci piacciono le piante che rimangono piccole e trovano un loro equilibrio. Dal seme passano due anni prima che diventi una pianta tartufigena; in questo periodo sta nelle serre e giorno dopo giorno facciamo prove di micorizzazione e micorizzazione alternativa. Siamo arrivati a produrre una pianta tartufigena con un apparato radicale di oltre 10mila radici, di queste possono essercene oltre il 90% micorizzate e questo non era mai avvenuto».
Un lavoro fatto di esperienza, capacità, pazienza e passione. «Ci vuole tempo per fare questa pianta e tanta passione - spiega Francesco - tutto quello che facciamo poi non si vede, il tartufo vive e muore sotto terra, è il prodotto più egoista del mondo. Ma grazie all’egoismo del tartufo possiamo vedere come la natura nella zona in cui cresce - il pianello - cambia, perché il tartufo per crescere distrugge tutto ciò che ha attorno. Dopo 30 anni anche il colore dei sassi diventa più chiaro mentre l'erba e i fiori scompaiono. Riusciamo a coltivare in un ettaro 500 piante. Lo stiamo facendo in tutta Italia e anche all’estero perché a livello naturale di tartufo non ce n’è più».
I numeri sono impressionanti: «In 4 ettari di piantagione - spiega - nel corso di una settimana produciamo più del mercato intero di tutti i cavatori italiani. Coltiviamo 200 ettari di piante all’anno, che significa 100mila piantine. Con orgoglio poi posso dire che sta per nascere prima filiera al mondo del tartufo, in Umbria che avrà un capofila e sarà la Urbani Tartufi. Stipuleremo partnership con 150 aziende che potranno presentare domande di acquisizione di terreno da 0,5 a 10 ettari. Urbani ricomprerà tutto il tartufo, lo digitalizzerà e lo rivenderà come unico tartufo certificato umbro. Ci sarà il nome del cane, il nome del cavatore, il comune dove è stato raccolto, e la storia della pianta da cui è nato».
Un piano di filiera per sfruttare tutto il potenziale
Dunque, serve anche approccio positivo, come condiviso da tutti i partner riuniti in Cia tra i quali anche la Federazione Italiana Cuochi. Creare un modello incisivo per la valorizzazione il tartufo italiano come il migliore per qualità, identità e tradizioni, rispetto dell’ambiente e del rapporto con i cani, l’obiettivo rinnovato con l’evento in Cia ed espressione del valore di cui l’Accademia del Tartufo nel Mondo si fa garante con cavatori, chef e consumatori. Senza dimenticare la straordinaria forza della tartuficultura come bene rifugio della moderna agricoltura e il contributo alla più preziosa cucina Mediterranea.
«Nel tartufo c’è molto di più di una sola storia da raccontare e promuovere - è intervenuto il presidente nazionale di Cia-Agricoltori Italiani, Dino Scanavino -. Al mondo della ristorazione internazionale affidiamo, infatti, con le pepite, il legame tra tartuficoltura e attività agricola, la grande biodiversità dell’agroalimentare tricolore e, soprattutto, la rinascita delle aree interne, quei borghi che sempre di più stanno richiamando l’attenzione di investitori e turisti stranieri».
Ad attrarre, come sottolineato più volte, anche il connubio tartufo e vino, insieme alla tradizione del tagliolino mantecato e alla qualità riconosciuta del Grana Padano. Un’estasi di degustazione raggiungibili grazie all’abbinamento con vini importanti, tra i quali un Arneis del Piemonte, un Vermentino di Gallura, un Bombino Bianco della Puglia e un Bianchello del Maetauro superiore delle Marche. E ancora una Vernaccia di San Gimignano dalla Toscana e un meraviglioso Riesling Renano dell'Alto Adige.
Proprio su questo tema è intervenuto anche Antonio Donato di Tenute Del Cerro, azienda vinicola toscana di Montepulciano (Si) che si è focalizzato proprio sulla necessità di avviare accordi tra il mondo del tartufo e del vino, soprattutto nei ristoranti, per fare sì che entrambi si rafforzino a vicenda anche nel nome del turismo enogastronomico.
Accademia del Tartufo nel Mondo lavora sul raccontare l’unicità a tavola e di interpretare il valore sensoriale e culturale, culinario ed emozionali che i tartufi sanno creare con i giusti abbinamenti, perché l’Italia del tartufo fa scuola e può guidare il nuovo rinascimento della cucina italiana, ma anche internazionale, protagonista in piatti inaspettati con frutta o nocciola gentile, come anche in menu vegetariani e vegani delle grandi city.
«Da qui dovrà nascere una grande Accademia sensoriale per il riconoscimento organolettico di tutte le tipologie di tartufo edibile - ha, infine, anticipato Cristini - e pensiamo anche a un grande Collegio Accademico dei migliori esperti e scienziati, per promuovere una ristorazione al tartufo tutto l'anno, partendo anche dalle giovani leve degli Istituti Alberghieri. Poi, conterà molto, investire sul turismo, accelerando la ripresa insieme ai ristoratori in occasione di Expo Dubai».
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Alberto Lupini
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