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Siad
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Basta disparità tra agriturismo e ristorante

 
18 maggio 2010 | 13:01

Basta disparità tra agriturismo e ristorante

18 maggio 2010 | 13:01
 

Pochi piatti di cucina tradizionale. Per non parlare di una limitata, quando non è assente, produzione dell'azienda, o almeno di prodotti della zona (i piatti che vanno di più sono i gamberoni o comunque il pesce, ovviamente di mare, anche quando il locale è in collina o in montagna). Controlli di sicurezza igienico-alimentari e procedure Haccp inesistenti. Vini acquistati alla grande distribuzione e che immancabilmente prevedono un Cabernet del Veneto in Lombardia, quando va bene, o un Nero d'Avola in Lazio. Il tutto, ovviamente, con un'approssimazione a livello di servizio in sala che non ha nulla dell'ambiente familiare, ma spesso è solo all'insegna della mancanza di professionalità e dell'improvvisazione (nonché del lavoro in nero). E non parliamo del numeri dei commensali che, immancabilmente, sforano i pur generosi limiti concessi dalle varie normative regionali (in Lombardia per le aziende non familiari si può ad esempio arrivare a 160 pasti al giorno...). Questo il quadro, assolutamente generoso, con cui si presenta oggi una buona parte dell'agriturismo italiano.

Degli obiettivi di integrazione del reddito agricolo e di meritoria promozione delle tipicità (per non parlare delle produzioni aziendali) spesso ci si è dimenticati. E in molti casi (pensiamo soprattutto alle realtà più recenti) non ci si è nemmeno preoccupati di recuperare qualche ricetta tradizionale, proponendo in tavola tagliatelle al salmone o sushi. Non che si voglia a tutti i costi avere solo pancetta, polenta o pecorino. Ci mancherebbe altro, ma certo un po' più di buon senso e piedi per terra non guasterebbero.

E poiché proprio il buon senso è ciò che manca a molti gestori di agriturismi 'tarocchi”, che pensano impunemente di fare concorrenza sleale ai loro colleghi che della tradizione e della genuinità fanno una bandiera (e spesso una vera missione...), nonché ai ristoratori che magari nello stesso territorio offrono piatti e prodotti più tipici, è giunta l'ora che qualcuno si muova.

Nella follia della disarticolazione normativa per cui ogni regione si è fatta la sua legge per l'agriturismo (pessima premessa per un federalismo serio) è difficile trovare un bandolo che permetta una necessaria operazione di pulizia uguale in tutta Italia. è però indubbio che le responsabilità per mancati controlli e per le troppe autorizzazioni date sono di Regioni e province ed è quindi da questi livelli che devono partire iniziative rigorose per valorizzare i veri agriturismi e 'chiudere” quelli che sono solo fabbriche di banchetti.

Al neo ministro dell'Agricoltura chiediamo invece di segnare una soluzione di continuità con il passato, trovando un accordo con i colleghi del Turismo e dello Sviluppo economico (appena Berlusconi si libererà del pesante fardello lasciatogli dal disinvolto Scajola), perché gli agriturismi seri siano equiparati sul piano normativo alla ristorazione di qualità. Sarebbe l'unico modo per riportare ordine e trasparenza in un settore centrale per il turismo e la salute a tavola, ma che oggi offre troppi margini di ambiguità (e imbroglio) a danno del consumatore.

Chiunque, agriturismo o ristorante che sia, si occupi del reperimento e della trasformazione in proprio delle materie prime per creare un piatto, valorizzando tradizione e territorio, deve essere messo nelle stesse condizioni per potere lavorare senza ingiuste e ingiustificabili concorrenze sleali. E quindi o gli agriturismi vengono sottoposti alle stesse norme dei ristoranti (per fisco, previdenza e controllo igienico-sanitario), oppure vanno estese ai ristoranti le agevolazioni dell'agriturismo. Se ne avvantaggerebbero la filiera agroalimentare italiana nel suo complesso e i consumatori.

Alberto Lupini
alberto.lupini@italiaatavola.net



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