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Continua la guerra del pizzocchero Si scherza con il fuoco sulla qualità

Per Michele Corti di Ruralpini «la farsa andata in scena a Sondrio serve a rivendicare l'esclusiva provinciale per un un pizzocchero industriale Igp che di valtellinese ha quasi nulla. Mentre paradossalmente i rivali bergamaschi possono vantare di produrre pizzoccheri più valtellinesi...»

 
23 gennaio 2012 | 10:51

Continua la guerra del pizzocchero Si scherza con il fuoco sulla qualità

Per Michele Corti di Ruralpini «la farsa andata in scena a Sondrio serve a rivendicare l'esclusiva provinciale per un un pizzocchero industriale Igp che di valtellinese ha quasi nulla. Mentre paradossalmente i rivali bergamaschi possono vantare di produrre pizzoccheri più valtellinesi...»

23 gennaio 2012 | 10:51
 

La polemica tra valtellinesi e bergamaschi, gli uni contro gli altri a causa dei 'Pizzoccheri della Valtellina”, non si placa. Due gli schieramenti che si stanno scontrando: il 'Comitato per la valorizzazione dei Pizzoccheri della Valtellina”, che vuole nella Indicazione geografica protetta solo la Provincia di Sondrio, e il Pastificio Annoni di Fara Gera d'Adda (Bg), che vuole includere anche il territorio bergamasco. Per Michele Corti di Ruralpini «la farsa  andata in scena il 19 gennaio a Sondrio serve a rivendicare l'esclusiva provinciale per un un pizzocchero industriale Igp che di "valtellinese" ha quasi nulla. Mentre paradossalmente i rivali bergamaschi possono vantare di produrre pizzoccheri più "valtellinesi". Il pizzocchero "Valtellinese" Igp è, infatti, prodotto principalmente fuori della Valtellina, a Chiavenna (dove il pizzocchero è da sempre di farina di frumento) con farina macinata in Brianza di origine cinese». Oltre alla bresaola e al bitto, quindi, anche i Pizzoccheri sono nell'occhio di un ciclone: in Valtellina serve una scossa di realtà e di garanzia sulla qualità. La politica valtellinese, infatti, sta commettendo molti sbagli e non è giusto che i piccoli produttori onesti, dal bitto al vino e anche alla bresaola, paghino il prezzo di una politica miope e gretta.

Riportiamo il commento di Michele Corti.

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Gli stessi personaggi spregiudicati che, nel caso del Bitto storico, hanno messo sotto i piedi la storia in nome dei numeri e della "massa critica di mercato", ora, quando gli fa comodo, si appellano alla cultura e a documentazioni storiche secolari. La farsa  andata in scena il 19 gennaio a Sondrio  serve a rivendicare l'esclusiva provinciale per un pizzocchero industriale Igp che di "valtellinese" ha quasi nulla. Mentre paradossalmente i rivali bergamaschi possono vantare di produrre pizzoccheri più "valtellinesi".

La Valtellina degli industriali alimentari e dei politicanti ha da tempo capito che l'agricoltura non serve, è un optional. Il business alimentare funziona benissimo - anzi meglio - se si usa l'ingrediente purificato dell'immagine, della rappresentazione della montanità, della valtellinesità. Per poi smerciare funghi, marmellate, pizzoccheri, bresaole di zebù brasiliano, violini di capra spagnola (in parte anche formaggi) prodotticon materia prima rigorosamente global. è stato il comm. Emilio Rigamonti ad aprire la strada sin dagli anni '70 con la bresaola di carne congelata di zebù brasiliano con il risultato che alla fine i brasiliani si sono comprati le aziende leader (compresa la sua). Gli altri comparti dell'agroalimentare hanno seguito l'esempio.

Certi personaggi hanno capito che le più grandi risorse "imprenditoriali" sono l'appoggio politico garantito da canali sicuri, le mammelle della Regione e... la dabbenaggine del consumatore. Hanno però trovato sulla loro strada un ostacolo che hanno a lungo sottovalutato ma che si sta rivelando formidabile: i ribelli del bitto storico (Davide contro Golia). Ora sono incappati in un altro agguerrito avversario: un pastificio bergamasco che non ne vuole sapere di rinunciare a produrre "Pizzoccheri valtellinesi" (con qualche buona ragione dalla sua visto che lo fa da oltre mezzo secolo).

La Provincia di Sondrio e la Valtellina non sono la stessa cosa
Per poter portare in porto le sue operazioni la cupola dell'agroindustria sondriese - strettamente intrecciata a banche, politica e Gdo - conduce, da quindici anni, la "guerra del Bitto". Nonostante tutta la potenza di fuoco del fronte istituzionale (da Bruxelles ai sindaci)non è riuscita ad avere la meglio di un pugno di produttori tradizionali. Ora da qualche anno conduce la "guerra del pizzocchero". Questa volta di fronte non ci sono degli "straccioni di Valmy" come diceva Cossiga o dei "trogloditi" (come dicono loro) ma un solido industriale bergamasco che vanta di produrre "Pizzoccheri valtellinesi" dagli anni '60.

Come nel caso del Bitto molta della querelle - anche se c'è gente che non lo capisce o finge di non capirlo - si gioca sull'equivoca identità tra "Provincia di Sondrio" e "Valtellina". Quando fa comodo si fa finta, violentando la geografia e la storia che la Valchiavenna sia una valle laterale della Valtellina, alias Provincia di Sondrio. Ma la Valchiavenna, detta anche valle della Mera ha avuto destini diversi dalla Valtellina (Valle superiore dell'Adda). La Mera e l'Adda sono immissari del Lago di Como "di pari grado" (vedi la mappa sopra riportata che indica le due foci.

A confermare la non identità di Valtellina e Provincia di Sondrio ci pensa ancora la geografia: il Livignasco è la valle dello Spöl, un affluente dell'Inn, subaffluente del Danubio. Più che la geografia conta la storia. Prima del regno Lombardo Veneto (1816) la Provincia di Sondrio non è mai stata una entità unica. L'autonomia del Contado di Chiavenna e della Contea di Bormio non è mai stata messa in discussione né sotto i Duchi di Milano né sotto la dominazione delle Leghe Grigie (riporto di seguito uno stemma che rispecchia la realtà dei tre territori storici: in alto a sinistra Chiavenna, a destra Bormio, sotto la Valtellina).

La ridicola pretesa di far coincidere i confini culturali e delle tradizioni agroalimentari con i limiti provinciali. La provincia è realtà eminentemente burocratico-amministrativa. Ma i burocrati e certi politici vorrebbero, in una sorta di parodia in chiave gastronomica del giacobinismo, "naturalizzare" i confini provinciali e pretendere - per decreto - che siano anche un ambito culturale e di tradizioni agroalimentari omogenee. Operazione chiaramente finalizzata a porre in capo alle istituzioni politiche e parapolitiche (come il Distretto agroalimentare) la governance della "tipicità del cibo" e a gestire flussi di spesa pubblica e di potere (o meglio sottopotere). Così, quando è stato redatto il disciplinare del Bitto Dop si è affermato che esso era produzione "tradizionale" diffusa in tutta la provincia mentendo clamorosamente. Nella Valchiavenna la produzione del Bitto Dop era talmente "tipica" e "tradizionale" che è stata avviata DOPO l'istituzione della Dop.

Dopo questa (indispensabile) premessa torniamo all'attualità. Il giorno 19, l'altro ieri, presso la Camera di Commercio di Sondrio si è svolta la seduta per la presentazione del Disciplinare dei Pizzoccheri della Valtellina Igp (già approvato dalla Regione Lombardia). C'erano Emanuele Bartolini, presidente della Camera, Patrizio Del Nero, direttore del Distretto agroalimentare, Severino de Stefani, assessore provinciale, tutti personaggi che chi segue la saga del bitto storico conosce bene (inquadrati tra i "cattivi"). A rompere le uova nel paniere i rappresentanti della ditta Pastificio Annoni di Fara Gera d'Adda in provincia di Bergamo che hanno ribadito i motivi di opposizione (i rappresentanti dell'Accademia del Pizzocchero di Teglio, invece, hanno preferito marcare con la loro assenza il loro dissenso di "talebani del Pizzocchero").

La ditta Pastificio Annoni non da oggi che contesta il monopolio sondriese della produzione del "Pizzocchero valtellinese". A parte il punto nodale della localizzazione della produzione che i sondriesi vogliono far coincidere con "tutta la provincia di Sondrio e nient'altro che la provincia di Sondrio" qualcuno nel corso della seduta ha rilevato un errore macroscopico nella stesura del disciplinare laddove si precisa che la pasta è "derivata dall'impasto di grano saraceno e sfarinati" . Una dizione a dir poco imprecisa dal momento che non si impasta il "grano", ovvero gli acheni (granelli) ma la farina (detta "fraina" o "farina bigia"). E pensare che diverse istituzioni hanno "controllato". Svista? Per nulla. La ratio dell'operazione industriale si regge su una materia prima a basso costo (è stata la "genialata" di Rigamonti valorizzare la carne dura e tigliosa dello Zebù). Parlano di "grano saraceno" gli industriali e i funzionari compiacenti dei vari enti (Camera di Commercio, Provincia, Regione) hanno legittimato la formula industriale del Pizzocchero. In realtà il Pizzocchero Valtellinese ne esce umiliato. Perché il Disciplinare prevede praticamente tutti i formati sfornati dalla Moro Pasta (tranne i "fidelini del Moro" che sono un marchio aziendale che Moro si gioca per conto proprio in una scoperta ma un po' spregiudicata operazione di differenziazione commerciale).

Si gioca sull'utilizzo di materie prime di minor pregio
Tagliatelle, gnocchetti, fettuccine tutto va bene. Tutto diventa "Pizzocheri Valtellinesi Igp". Va beh. Ma almeno sono fatti di farina di grano saraceno? No, ecco il punto. Perché si parla genericamente di "sfarinati" (categorie di prodotti della molitura che comprendono anche le crusche)? Perché i Pizzoccheri industriali sono in realtà una preparazione pastaia di Semolato (rimacinato) di grano duro (attenzione non "Semola" che è quelle di prima qualità) nella quale, oltretutto, possono finire anche degli sfarinati di qualità inferiore normalmente destinati ad uso zootecnico. Una preparazione "con" grano saraceno quindi e non di grano saraceno che entra nella misura del solo 30%. Questo se non si volesse turlupinare il consumatore. Ma non è finita. La componente di grano saraceno (ecco perché non si parla di farina!) è costituita anche da pula (ricca di fibra senza valore nutrizionale). Una bella differenza rispetto al "Pizzocchero di Teglio", capitale del Pizzocchero Valtellinese dove l'impasto è realizzato con il 20-30% di farina di frumento tenero 00 e per il resto da farina di grano saraceno. Forse il Pizzocchero Valtellinese industriale sarà più dietetico, ma è ben diverso da quello che si produce artigianalmente come pasta fresca. Si dirà che vi sono tanti prodotti IGP che non hanno nulla a che vedere con i loro antenati artigianali. Giusto. Ma se è un prodotto ad identità e una razionalità industriale (del tutto legittime) perché volerlo legare a tutti i costi con un'area territoriale? E assegnarli dei blasoni storico-culturali che non ha strumentalizzando denominazioni, stoie, tradizioni e culture (e persino innescando una ulteriore polemica - c'è già quella relativa al Bitto storico - con la vicina provincia di Bergamo). La ragione è semplice: per danneggiare la concorrenza. In modo poco leale.

Uno show esilarante
Conoscendo questi presupposti lo show andato in onda a Sondrio l'altro giorno appare persino imbarazzante. è stato addirittura commovente Fabio Moro, presidente del Comitato per la valorizzazione dei Pizzoccheri della Valtellina (nonché maggior produttore di Pizzoccheri industriali dopo Annoni). L'industriale ha citato il presidio Slow Food del grano saraceno di Teglio (encomiabile iniziativa ma che interessa per ora pochissimi ettari di coltivazione) per il suo significato culturale. L'industriale ha citato il presidio Slow Food del grano saraceno di Teglio (encomiabile iniziativa ma che interessa per ora pochissimi ettari di coltivazione) per il suo significato culturale. Bene, benissimo. Ma cosa c'entra?

«Ed è per la stessa ragione, innanzitutto culturale. che abbiamo costituito un Comitato provinciale» ha tenuto a precisare Moro. Certo che no, chi ne dubita? Giammai si pensi che ci sia sotto un meschino interesse commerciale.

Non contento il pastaio si è appellato anche al carattere identitario della "guerra del pizzocchero" che ha generato una vera e propria mobilitazione popolare.

Ha infatti sottolineato le 12mila persone che hanno firmato la richiesta ora al vaglio del ministero e persino i "2567 amici di Facebook che da tutto il mondo ci sostengono". A suo fianco sedeva l'assessore Severino de Stefani, chiavennasco come Moro, che passerà alla storia per aver invocato l'invio degli ispettori antifrode del Ministero contro i produttori storici del bitto rei (loro sì) di condurre una battaglia per far valere la valenza culturale e storica del Bitto. In quel caso le petizioni pro Bitto storico e l'esistenza di gruppi di sostenitori su facebook dei produttori storici non sono state citate. Spontaneamente, senza la grancassa di cui hanno goduto le iniziative "pro pizzocchero nostro", il Bitto storico ha raccolto 3.600 firme in calce a una petizione rivolta alla Regione e ha 1.600 sostenitori della "causa" su Facebook intitolata "Salviamo il Bitto delle Valli del Bitto presidio Slow Food".

In Valchiavenna (sede Moro Pasta) si fanno storicamente i pizzoccheri? Eccome... ma completamente diversi da quelli "Valtellinesi". Tutto da ridere verrebbe da dire. Sì perché Moro non solo produce pizzoccheri secchi industriali "moderni" da minor tempo di Annoni, ma lo fa a Chiavenna dove il grano saraceno non è mai stato coltivato. Tanto è vero che non esiste traccia nella gastronomia del territorio. Se andate Chiavenna nei locali più "andanti" se chiedete "pizzoccheri" di serviranno quelli "Veltellinesi" (ma sarebbe meglio dire "industriali"). Ma succede così anche in tutta l'area lariana e i Pizzoccheri sono scesi sino alla Brianza. Se, invece, andate in crotti e locali di cucina del territorio vi serviranno i "Pizzoccheri bianchi o chiavennaschi o al cucchiaio" fatti in casa perché non esistono fabbriche dedite alla loro produzione. Sono gnocchetti di farina bianca e nella preparazione, oltre al formaggio e al burro, si utilizzano le sole patate. Una bella differenza dai "Pizzoccheri Valtellinesi" tagliatelle di grano saraceno (in parte) preparate con vari ortaggi!

Il tutto si spiega facilmente. In epoca romana, ma anche in quelle successive Chiavenna è stata interessata da notevoli flussi di commercio regionali e su lunga distanza grazie alla convenienza dell'itinerario transalpino che da Como attraverso la comoda via lacustre arrivava a Samolaco (porto di Chiavenna quando il Lago di Como si estendeva a Nord sino nell'attuale Piano di Chiavenna e non esisteva il piccolo lago di Mezzola oggi separato). Da qui poi le merci proseguivano per lo Spluga o il Septimer. C'è poco da fare la Valchiavenna è orientata Nord-Sud, la Valtellona Est-Ovest. Una circostanza che imprime alle valli connotati prodondamente diversi. In ogni caso il frumento arrivava facilmente in Valchiavenna dal milanese.

Ma procediamo. Abbiamo appurato che il maggior produttore di "Pizzoccheri Valtellinesi" (e presidente del Comitato che ne rivendica la Igt per la Provincia di Sondrio) non ha sede e stabilimento in Valtellina ma in un altra valle (la Valchiavenna per l'appunto) dove non esiste alcuna tradizione storica di utilizzo del grano saraceno e tanto meno dei "Pizzoccheri Valtellinesi". Poi non si può sottacere come la farina che utilizza viene molita in Brianza (non tanto distante dal pastificio Annoni) ed è ottenuta da grano saraceno cinese (o forse anche vietnamita). Annoni, invece, utilizza farina molita a Teglio (patria indiscussa dei "Pizzoccheri Valtellinese" - tanto è vero che è sede della già citata Accademia) presso il Molino Tudori, con grande tradizione nella lavorazione del "saraceno" che, attento alla qualità, fa venire dalla Germania (ed è quindi di origine comunitaria quantomeno).Aggiungasi che la Bassa Valtellina (di Morbegno) ha adottato precocemente e con entusiasmo, come altre terre lombarde, il mais.

Pretese storiche fragili
è poi facilmente dimostrabile come il saraceno fosse ampiamente diffuso nell'Italia settentrionale (come in varie parti d'Europa) prima della rivoluzione alimentare colombiana. Tutti ricordano la "polentina bigia" di Tonio nei Promessi Sposi in zona milanese (oggi lecchese) confinante con la Bergamasca. Va poi rilevato che non è solo la media-alta valtellina l'unica regione dove la tradizione della coltivazione e dell'uso alimentare del saraceno si è conservata a lungo dando vita a preparazioni tipiche basate sulla farina "bigia". Basti citare come zone ipiche di coltivazione del saraceno alcune aree corservative come il Friuli, l'alto Varesotto, le alpi Marittime. Posso personalmente testimoniare che in Val Veddasca (alto Luinese, VA) il saraceno sino al declino della "civiltà contadina" fosse la coltura più praticata e base dell'alimentazione. Con esso si preparava la polenta ma anche altre varie ricette (gnocchetti e forse altro) gelosamente custodite dalla signora Saredi che sino a due anni fag estiva orgogliosamente ad Armio la storica Trattoria Saredi fondata dal bisnonno.

Dal momento che il "Pizzocchero Valtellinese" nella forma a tagliatella è una preparazione moderna (nella sua forma attuale standardizzata proprio dal pastificio Annoni) credo che non sia difficile dimostrare che le preparazioni "storiche" a base di farina di grano saraceno dalle quali è disceso il Pizzocchero attuale fossero diffuse anche in altre aree di forte penetrazione della poligonacea.

Questo sulla base di una profondità storica che, ovviamente, va al di là dell'orizzonte "storico" delle Dop e Igp le quali, è bene ricordarlo, si limitano a richiedere "venticinque anni di "tradizione". Il pastificio Annoni, da questo punto di vista, può vantare multipli di questo lasso temporale.

è veramente curioso che ci siano personaggi che, nel caso del Bitto, hanno attestato il falso pur di dimostrare che la produzione in Valchiavenna e in altre aree della Provincia (che aveva pochi anni di vita) poteva vantare più di venticinque anni di storia mentre oggi gli stessi contestano ad Annoni - con una bella dose di pelo sullo stomaco - di non poter vantare secoli di storia.

E il bello che tra gli "assi nella manica" che testimonierebbo l'antichità dei Pizzoccheri Valtellinesi c'è un vago riferimento di quello stesso Ortensio Lando che, nella stessa opera citata a proposito della paternità dei pizzoccari (O. Lando, Commentario delle piu notabili, & mostruose cose d'Italia, & altri luoghi: di lingua Aramea in italiana tradotto.Con vn breue catalogo de gli inuentori delle cose che cose che si mangiano et beueno, nouamente ritrovato, Cesano Bartolomeo, Venezia, 1553) fa un ben più preciso riferimento al "formaggio della valle del Bitto". Cosa dice il Lando:

"Meluzza Comasca fu l'inventrice di mangiar lasagna, macheroni con l'aglio, spezie e cacio; di costei fu ancora l'invenzione di mangiar formentini, lasagnuole, pinzoccheri, vivaruolo. Morì di ponta e onerovolmente fu per le sue invenzioni seppellita".



Ora il "Comasca" potrebbe essere compatibile con il "Valtellinese" perché per molto tempo l'appartenenza alla diocesi di Como qualificò i valtellinesi come "comaschi". Se non che vi sono due punti che non quadrano. Il Lando, milanese, conosceva molto bene il territorio delle alpi lombarde come provano i numerosi riferimenti geografici puntuali. Spesso gli inventori o le inventrici dei piatti (secondo una forma simpaticamente mitologica consona all'umanista Lando) sono collocati in ben precise località lombarde. Perché avrebbe dovuto essere così generico con la Meluzza? A rendere improbabile questo riferimento come prova della "valtellinesità" dei pizzocheri c'è la grande varietà di forme della pasta attribuite all'estro della prolifica cuoca. Si è sempre insistito sul carattere "povero" e montano del grano saraceno. Davvero tutte quelle forme pastarie sono da ricondurre alla "povera" Valtellina? Non facciamo ridere. E allora cosa rimane di questa citazione che non ci dice né cosa sono i pizzoccheri né di cosa sono fatti? E poi il grano saraceno era all'inizio della sua diffusione ed è molto verosimile che quei "pinzoccari" saranno stati preparati con altre farine. E allora cosa rimane? Nulla. Resta di certo che in diverse regioni alpine nel XVI-XVII secolo il grano saraceno divenne una componente importante del codice alimentare. Resta il fatto che il nome "pizzoccheri" come avviene per la straordinaria multiformità dlele preparazioni a base di pasta di tutte le regioni italiana indica preparazioni molto diverse tra loro, ottenute con diverse materie prime . E quello che succede nella stessa provincia di Sondrio con i "Pizzoccheri chiavennaschi" è lì a dimostrarlo.

Con gente che usa "tipicità", "storia", "cultura", dimensione territoriale, identità in una sorta di gioco delle tre tavolette si rischia di disperdere grandi valori. La Provincia di Sondrio di patrimoni agriculturali ne ha molti. Ma questa cupola industrial-istituzionale (in ciò poco responsabilmente assecondata per "automatismo burocratico-istutuzionale" dalla Regione) li sta distruggento. E la parabola della bresaola finita in mani brasiliane è lì a raccontare dove si va a finire.

Michele Corti
www.ruralpini.it


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