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Quando l'alta cucina vola in quota Alfio Ghezzi: «Tanti accorgimenti in più»

Le compagnie aeree servono 4,1 milioni di pasti al giorno e ricercano sempre più l'alta qualità. Ma per garantirla è bene fare attenzione alla percezione del gusto in altitudine, come ricorda lo chef della Locanda Margon

 
18 aprile 2016 | 17:51

Quando l'alta cucina vola in quota Alfio Ghezzi: «Tanti accorgimenti in più»

Le compagnie aeree servono 4,1 milioni di pasti al giorno e ricercano sempre più l'alta qualità. Ma per garantirla è bene fare attenzione alla percezione del gusto in altitudine, come ricorda lo chef della Locanda Margon

18 aprile 2016 | 17:51
 

Viaggiare in aereo può essere considerato ancora un lusso? Forse per frequenza no, ma per la direzione che le grandi compagnie stanno prendendo nei più minuziosi comfort, allora decisamente sì. E quando parlo di comfort, non posso che riferirmi al pasto che mi viene offerto ad alta quota. Basti pensare che, nel 2015, sono stati preparati in tutto il mondo 1,5 miliardi di vassoi per viaggiatori; che in 24 ore vengono consumati 4,1 milioni di assortimenti, tra primo, secondo e dolce, un quantitativo in grado di saziare per pranzo due città come Roma e Milano.



Ma cosa mangiamo ad alta quota? Qual è la qualità che ci viene garantita? I grandi colossi dei cieli non si accontentano più, ricercano il meglio per i propri clienti: dalla Singapore Airlines, che spende ogni anni 20 milioni di euro in Dom Pérignon e Krug Gran Cuvée, alla Lufthansa, che si erge a principale compratore di caviale per accontentare le esigenze della sua prima classe.

Qualità però non significa soltanto servire grandi marchi, o accaparrarsi il maggiori numero possibile di chef stellati. Piuttosto è necessario anche adattare le proprie preparazioni alle condizioni nelle quali verranno servite: «Dietro a quel pasto consumato in aereo - racconta Muammer Kilic, chef turco di 26 anni che si è specializzato in Ohio, negli Usa, in un ristorante italiano, e che da alcuni mesi cucina per le rotte intercontinentali sull’asse Istanbul-Stati Uniti - c’è una rete complessa di fornitori, aziende e test in laboratorio. Una volta a 35mila piedi il gusto e l’olfatto sono stravolti, le nostre papille gustative sono quasi anestetizzate. Il sale e lo zucchero, lassù, li sentiamo molto meno. Per questo dobbiamo aggiungerne un 20-30% più della media “terrestre”».



Non un procedimento facile, dove a garanzia del risultato entrano in gioco numerose parti: dallo chef in primis, alla riproduzione industriale, fino alla conservazione in celle frigorifere e al servizio a bordo. Un parere l'abbiamo chiesto ad Alfio Ghezzi (nella foto), chef di Locanda Margon a Trento, che ha collaborato insieme a Ferrari con Air Dolomiti, per un menu che celebrasse, in accompagnamento alle storiche bollicine italiane, i 25 anni della compagnia aerea.

Come commenti la tua esperienza per Air Dolomiti?
È stata un'avventura stimolante, perché ci ha spinto a creare una ristorazione di eccellenza ma in termini diversi. Bisogna infatti pensare che questi piatti verranno poi preparati da una grande azienda, confezionati, caricati e consumati solo dopo parecchie ore. Le nostre proposte dovevano essere funzionali a questa metologia di erogazione, non è come stare al ristorante.

Alfio Ghezzi

È stato necessario adottare qualche particolare accorgimento?
Oltre al fatto che i piatti sarebbero stati mangiati dopo svariate ore e in volo, abbiamo dovuto considerare che sarebbero stati serviti freddi, ponendo quindi ancora più attenzione agli ingredienti e al modo in cui trasformarli. Quando si assaggia qualcosa di freddo, bisogna prestare molta attenzione a gusti e consistenze; una salsa per esempio, può cambiare gusto da una temperatura all'altra. Alcuni sapori vengono alterati, e questo ci ha portato a lavorare molto sulla sapidità, sul gusto, sulle consistenze. Si consideri un dessert: la nostra percezione del dolce è inferiore se gustato freddo.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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