L’emergenza personale per bar e ristoranti sembrerebbe ormai finita. O meglio, il vero problema oggi non è tanto trovare un cuoco, un cameriere o un barista, quanto trovarne uno qualificato o che resti in azienda e non se ne vada dopo pochi mesi. Se ancora prima dell’estate sembrava che la questione centrale fosse quella di riempire caselle degli organici che con la pandemia si erano svuotate (molti dipendenti avevano cambiato lavoro andando a fare i magazzinieri o i commessi, ad esempio), ora un po’ tutti si stanno convincendo che per il successo di un locale è però determinante che il personale sia preparato.
Nei pubblici esercizi oggi 987mila occupati, come prima del Covid
I dati del mercato del lavoro parlano chiaro: oggi l’emergenza personale è di fatto rientrata, tornando ai livelli del 2019. In questo momento ci sono 987mila occupati – media annua – contro i 989mila di 3 anni fa. Come dire che il problema di coprire 190mila posti a fine 2022 non esiste più. Siamo praticamente tornati ai livelli pre Covid (almeno per quanto riguarda i dipendenti in regola) e secondo la Fipe è possibile che il numero sia superato a fine anno. Sono forse un po’ meno in verità i dipendenti con contratti a tempo indeterminato (nel 2022 erano 588mila contro i 614mila del 2019), ma è possibile che anche questi dati migliorino per fine anno.
L'emergenza occupazione per bar e ristoranti è rientrata, ma non si trovano addetti qualificati
Se le caselle degli organici sono quindi riempite quasi tutte, resta però il problema di trovare addetti qualificati. Troppi dipendenti non sono infatti formati a sufficienza e ci sono troppi casi (una vera piaga) di cambi di posti di lavoro a ripetizione dopo pochi mesi. Un po’ perché in tutti i settori del mercato del lavoro c’è oggi una grandissima variabilità dopo la pandemia (la gente si illude di trovare condizioni migliori da un’altra parte), e un po’ perché si è innescato un meccanismo insano per cui non pochi gestori “rubano” il personale ai concorrenti a colpi di aumenti di stipendio. Operazione favorita da condizioni di lavoro, turni o remunerazione che sono ritenuti insoddisfacenti dalla gran parte degli addetti del comparto. E non a caso i ristoranti o i bar che in questo momento si trovano meglio da un punto di vista della gestione sono quelli che da sempre hanno investito sui collaboratori e se li sono tenuti stretti anche durante la pandemia, senza perdere quindi un know how aziendale strategico. Un capo partita in cucina, invece che un direttore di sala non si inventano da oggi al domani se un locale non è banale, ma ha un suo stile per preciso.
Nei pubblici esercizi troppe imprese impreparate per il mercato
Per carità, l’attenzione al personale avrebbe sempre dovuto esserci. In aziende di servizi il fattore umano è infatti alla base di ogni successo. Purtroppo, l’improvvisazione degli ultimi 20 anni ha fatto saltare ogni equilibrio. L’abnorme crescita dei pubblici esercizi a seguito delle sbagliate privatizzazioni avviate dal ministro Pier Luigi Bersani ha portato sul mercato gestori senza preparazione, che puntavamo a guadagni facili e per i quali il personale contava a volte come un forno o un elemento d’arredo. Come se bastasse, il mancato controllo delle licenze e dell’ingresso di nuovi operatori ha aperto la strada alla criminalità, che in un modo o nell’altro controlla oggi una fetta importante dei pubblici esercizi (c’è chi dice fino al 10% in molti grandi centri). E anche in questo caso l’importante è “pulire” il denaro e non certo preoccupazione della qualità offerta e del livello del personale. Sarà forse anche per questo che un bar su due in Italia chiude entro 5 anni…
Se a ciò aggiungiamo la condizione di aziende che in molti casi sono sottocapitalizzate e con dimensioni troppo piccole (in termini di superfice dei locali e di numero di addetti) in un mercato sovraccarico di imprese (sono 330mila le attività di somministrazione di cibo e bevande in Italia, un numero senza eguali in Europa), si può ben capire come la vera emergenza sia oggi quella della formazione del personale dei pubblici esercizi per fare la differenza.
Per i pubblici esercizi è fondamentale riformare il sistema della formazione
E qui va segnalato come i programmi annunciati dal Governo siano finora rimasti lettera morta. Eppure è più che mai urgente riformare tutta la struttura della formazione professionale, a partire dagli istituto alberghieri, arrivando fino al livello universitario cercando di attuare il progetto dei corsi di laurea in accoglienza che Italia a Tavola sostiene da tempo come strumento indispensabile per rafforzare le aziende e il compatto del turismo.
Là dove le istituzioni dimostrano ancora una volta troppa lentezza, è tempo che dal mondo delle imprese vengano iniziative autonome per sostenere la qualificazione dei dipendenti anche attraverso nuovi turni ed una diversa organizzazione del lavoro, così da avere più attenzione alle mutate esigenze, soprattutto dei giovani.
L’occasione dei rinnovi contrattuali che sta entrando nel vivo sarà l’occasione per pensare ad aziende più forti e con una maggiore valorizzazione dei dipendenti. L’esempio di quanto stanno facendo le grandi catene del franchising (con innovativi cosi interni a diversi livelli) può essere un’opportunità da cogliere anche per le piccole e medie imprese famigliari, magari attraverso attività corsortili con le associazioni di categoria. Ne va della loro sopravvivenza.
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Alberto Lupini
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