Bar e ristoranti: sono troppi in Italia? 330mila locali sono un record in Europa

Neanche in Francia o in Germania ce ne sono così tanti. Se peggiora la crisi internazionale c'è chi teme un'ondata di chiusure, perché molte aziende sono piccole e deboli o i gestori non sono sempre preparati . Meno locali, ma più solidi, offrirebbero migliori condizioni di lavoro e più servizi ai clienti

27 ottobre 2023 | 05:00
di Alberto Lupini

Se alla guerra in Ucraina o ai rincari per l’inflazione ci eravamo un po’ abituati, purtroppo, a risvegliare ansie e paure ci hanno pensato i guerriglieri di Hamas che hanno fatto ripiombare nel dramma la polveriera del vicino Medio Oriente. Al di là della tragedia delle vittime civili (un’ecatombe che cresce di giorno in giorno), dovremo ora fare i conti con rincari dell’energia e del costo del denaro, con un peggioramento della congiuntura nel breve periodo.

In questo scenario decisamente drammatico, le preoccupazioni riguardano tutti e non ne sono certo esenti i pubblici esercizi. Anzi. Bar e ristoranti (ma anche hotel) guardano da tempo con apprensione a cosa succederà ora che l’estate anomala è finita. Con questo scenario internazionale dominato da guerre non molto lontane da noi, ci si aspetta un possibile calo dei consumi e delle presenze fuori casa. Un timore che, ancora una volta, sembra riguardare più i gestori della fascia media (che sono poi la maggioranza), piuttosto che quelli di locali del lusso o del fast food. E c’è già chi parla di nuove chiusure, dopo quelle imposte dalla pandemia. Come dire che, là dove non ha colpito il Covid interverrà ora la recessione, prevista sempre più vicina, nonostante il mantra del Governo che resta all'insegna dell'ottimismo. E speriamo che abbia ragione il Ministro Giancarlo Giorgetti.

Il solo parlare di ipotesi di chiusure di bar e ristoranti conferma la debolezza del sistema

Per guardare con realismo alla situazione, e con un minimo di prudenza, bisogna però avere il buon senso di considerare come anche il solo accennare a rischi di chiusure, al di là di mille convegni o dibattiti, indica come sia diffusa la consapevolezza di una “debolezza” strutturale del comparto dell’HoReCa. Un po' tutti temoni che a ogni vento violento qualche struttura possa crollare. Del resto come non considerare che in Italia in 10 anni, ad esempio, si sono chiusi 20mila bar e solo uno su due, entro 5 anni, riesce a restare sul mercato?  E anche quest’anno se ne perderanno un migliaio.

Si tratta di un dato che dice tutto sulla debolezza di un comparto dove resta comunque “enorme” il numero di ristoranti e di bar in attività. In Italia ci sono quasi 330mila locali dove si mangia o si beve. Numeri che non hanno riscontro in nessun altro Paese europeo. E non è che in Germania o in Francia ci siano spese pro-capite per il fuori casa inferiori alle nostre. Anzi.

Troppi bar e ristoranti per improvvisazioni e privatizzazioni sbagliate

Perché tutto questo? Perché in Italia c’è stata troppa improvvisazione e le privatizzazioni (ideologicamente sbagliate) dell’allora Ministro Pier Luigi Bersani avevano spalancato la porta a chiunque volesse mettersi dietro a un fornello o a un bancone. E ciò, indipendentemente dal fatto che avesse competenze gestionali o, peggio, fosse esperto di igiene degli alimenti e del loro trattamento. Il risultato è che oggi bar, trattorie, fine dining, kebab, pizzerie  o agriturismi sgomitano nelle stesse aree e spesso boccheggiano per restare in vita. In più, questi locali si fanno magari concorrenza sleale rubandosi il personale - scarsamente preparato - a colpi di aumenti di stipendio fuori dal mercato, offrendo posti di lavoro in nero o ricorrendo a strumenti infernali come gli sconti al 50% sui menu proposti da piattaforme che, come The Fork, tutto fanno meno che garantire un mercato trasparente.

Ma - e con ciò sappiamo di toccare un tasto sensibilissimo - non sarebbe allora meglio, avere meno pubblici esercizi, ma averne di più più sani? Invece di avere tanti locali che per sopravvivere magari rischiano di imbrogliare il cliente sulla provenienza dei prodotti (la cui qualità sta scendendo), non sarebbe meglio averne meno, ma con aziende più strutturate e con più capitali alle spalle?

Pubblici esercizi più solidi (e con nuovi format) garantirebbero un'occupazione migliore e più servizi

Imprese con più coperti (e quindi con più spazio) potrebbero fra l’altro avere più opportunità di crescita e carriera per il personale, garantendo a un tempo stipendi più alti e turni di lavoro più “umani”. La possibilità di gestire ambienti più grandi offrirebbe anche l’opportunità di offrire più servizi alla clientela (pensiamo ad orari prolungati dalla prima colazione al dopo cena…) e aumentare quindi la remuneratività. Servono non a caso nuovi format, capaci magari di riunire ad esempio bar e ristorante così da avere più competenze e più turni di lavoro, a vantaggio dei clienti e dei dipendenti che avrebbero orari di lavoro più accettabili.

Già oggi le aziende più solide sono quelle che si sono mantenuti stretti i collaboratori anche nei momenti di crisi (in primis il Covid) e grazie a questo patrimonio di esperienze e knw how possono affrontare meglio le possibili burrasche in arrivo essendo certamente più attrezzate sul piano della qualità del servizio.

Se oggi l’emergenza personale è di fatto rientrata tornando ai livelli del 2019 (oggi ci sono 987mila occupati – media annua – contro i 989mila di 3 anni fa, di cui poco meno dio un terzo nei bar), resta il problema di trovare addetti qualificati. E ciò vale in particolare per Milano dove continua il problema di trovare personale per l'incredibile cambio di luoghi di lavoro. E anche in questo caso una soluzione sembra quella di un rafforzamento strutturale dei pubblici esercizi che, visti la burocrazia, gli affitti e l’assenza di riforme profonde, sembra dover passare per una riduzione significativa del numero delle imprese. Gli operatori superstiti potrebbero contare su una clientela maggiore e su una manodopera più professionale, motivata, appassionata e ben remunerata.

L'inflazione già si fa sentire in bar e ristoranti, una crisi congiunturale potrebbe fare saltare molti equilibri

Il tutto tenendo conto che l’inflazione sta già pesantemente influendo sul mercato del fuori casa. Dal caffè ai menu ci sono stati ritocchi, a volte sensibili, ma le previsioni di contrazione dei consumi portano a immaginare cali di “uscite” a pranzo o a cena (meno volte a settimana, ad esempio). Se ciò trovasse conferma, salterebbero molti equilibri aziendali e il numero dei pubblici esercizi potrebbe calare drasticamente in pochi anni, se non mesi, per la più dura delle leggi di mercato. Quelli che rimarranno avranno però modo, come detto, di rispettare maggiormente dipendenti e fornitori, ma saranno assai più costosi per i consumatori.

Se qualcuno pensa che ci siano alternative, saremo ben lieti di pubblicarle. Per quanto ci riguarda non possiamo che auspicare che alla riduzione del numero di bar e ristoranti, se davvero obbligata, si arrivi attraverso accordi, fusioni o acquisizioni, così da evitare situazioni drammatiche e garantire tutti. L’importante è attrezzarsi per tempo.

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