Carne coltivata, dal governo un “no” che non serve
La scelta del governo di assoluto divieto sa di improvvisazione, mancanza di analisi della realtà di un Paese, l’Italia, che in fatto di cibo, soprattutto di qualità, non ha rivali al mondo
Un no che non serve, penalizzante per l'Italia. Serve, invece - ed è una priorità urgente - la salvaguarda e tutela del territorio per governare e aprire al futuro il Paese delle mille e mille colline e delle eccellenze agroalimentari. Improvvisazioni, risentimenti, personalismi, imposizioni, contraddizioni, ignoranze e altro ancora non fanno parte della buona politica e meno che mai delle giuste scelte, soprattutto quando riguardano il futuro dell'Italia. Il riferimento è al disegno di legge riguardante il divieto della produzione, importazione e vendita della carne coltivata in laboratorio, approvato dal governo Meloni su proposta e iniziativa del ministro dell'Agricoltura e sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida. Un decreto-legge che, in un primo momento, il presidente Sergio Mattarella non ha firmato, ma, poi, subito dopo ha promulgato, richiamando l'attenzione a quello che deciderà l'Unione europea in merito. L'Ue dirà sì - ne siamo certi - alla produzione, commercializzazione e vendita della carne coltivata e si adopererà anche per promuoverne il suo consumo.
Carne coltivata, ha senso “escludersi” dal mondo?
Mesi fa la notizia, riportata da un notiziario che si occupa di enogastronomia, raccontava di un investimento complessivo di 800 miliardi di dollari per la produzione, promozione e commercializzazione di questa carne, che viene coltivata in generatori fabbricati in Italia. Come dire che, dopo l'approvazione del ddl, non potranno essere utilizzati in Italia, solo esportati se richiesti. Vietare quello che altri finanziano ha senso se si ha un'alternativa nelle mani e si ha la capacità di utilizzarla per renderla vincente. Altrimenti vuol dire isolarsi dal mondo e non essere parte di un processo di processi dettati dai tempi di un sistema, il neoliberismo delle banche e delle multinazionali, che affida all'intelligenza artificiale il suo futuro.
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Un mondo nelle mani del dio denaro, il dio assoluto, onnipotente che, nel corso di alcuni decenni, sta procurando solo disastri nel momento in cui, non avendo il senso del limite e del finito, depreda e distrugge la nostra madre terra e, non solo, anche consolidati valori, a partire dal tempo, oltre che risorse legate alla natura, sempre più scomposta nei suoi elementi fondamentali. La situazione che vive il clima è solo la manifestazione più evidente e più preoccupante per il futuro dell'umanità.
Carne coltivata, il no del governo sa di improvvisazione
La scelta del governo di assoluto divieto di un prodotto - già preso il via con prime iniziative di promozione per la sua diffusione quando sarà pronto e in piena produzione - sa di improvvisazione, mancanza di analisi della realtà di un Paese, l'Italia, che in fatto di cibo, soprattutto di qualità, non ha rivali al mondo. Il primato delle Indicazioni geografiche (887) e dei prodotti tipici tradizionali (5.550), frutto dell'origine, il territorio, e non solo, anche dell'intelligenza dei nostri coltivatori e trasformatori, ne sono una dimostrazione. Un patrimonio enorme da contrapporre, invece di dire solo no, che ha in sé la forza e la possibilità di risultare vincente nel confronto con la carne coltivata e qualsiasi altro prodotto derivante dall'intelligenza artificiale.
Carne coltivata, bastava una legge di salvaguardia delle tipicità
Un patrimonio che ha enormi potenzialità, tutte da esprimere, se viene compresa l'importanza dell'origine della qualità e della diversità, il territorio. Bastava l'approvazione di una legge di salvaguardia, tutela e valorizzazione del territorio per evitare sceneggiate, perdite di tempo e prossime brutte figure con il no espresso dalla legge approvata, ora sotto esame.
Una straordinaria occasione, ancora una volta persa, essenziale per il mantenimento delle risorse e dei valori che il territorio esprime e che il mondo ammira. Essenziale, anche, per ridare spazio e forza all'azienda coltivatrice, la sola in grado, con la scelta del biologico, di affermare la sostenibilità ambientale, come pure di provvedere al recupero dei terreni e delle colture abbandonate. In pratica la predisposizione e approvazione di una legge finalizzata a un blocco del consumo di territorio (2,5 metri quadri ogni secondo che passa viene distrutto) dall'assalto di altro cemento e asfalto, e, ultimamente, sempre più da impianti di energia “pulita”. Energia che sta diventando “sporca” per il furto di suolo fertile e, come tale delle nostre eccellenze dop e igp; delle imprese agricole e di trasformazione; delle aree interne: dei paesaggi e delle tradizioni, dei luoghi e del loro spirito “genius loci”. Un impoverimento che pagheranno le nuove generazioni e tutto e solo per alimentare il consumismo, il cuore pulsante del sistema della finanza.
Una classe politica e di governo, come le precedenti, che non sa il valore e il significato del territorio, la sua centralità per un nuovo domani.
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Alberto Lupini