Dieta vegana, vale davvero la pena rinunciare al gusto di un piatto gourmet?

L'1 novembre si celebra il World Vegan Day, un'occasione per riflettere su un fenomeno che, almeno per quanto riguarda l'Italia, sta crescendo e vede gli uomini più "fedeli" delle donne . Ma sia dal punto di vista nutrizionale che di piacere nello stare a tavola, quanto incide questo "credo" sulla qualità della vita?

01 novembre 2021 | 05:00
di Vincenzo D’Antonio

Vegani si diventa e oggi tutti coloro che lo sono diventati possono festeggiare perchè è il World Vegan Day. Impossibile che vegani si nasca per quanto vero è che molto difficoltosamente si sopravviverebbe nei primi anni di vita senza assunzione di latte. E il latte, si sa, è alimento di origine animale.

Ergo, l’assunto secondo cui saremmo tutti vegani per sorta di vocazione universale e di destino segnato dell’umanità, suona palesemente debole.

 

 

Una scelta di vita, non solo alimentare

Ciò non toglie che il divenire consapevolmente vegani è scelta di vita, ben aldilà delle pur connotanti scelte alimentari, verso cui non si può non nutrire rispetto. E nell’ambito delle regole di carattere alimentare, spiccano proibizioni pesanti: carne, pesce, uova, latte, formaggi, miele. Per vegano infatti si intende una persona che ha deciso in modo consapevole di eliminare dalla propria alimentazione quotidiana tutti gli alimenti di origine animale. Un vegano non mangia carne (anche pesce, ovviamente), uova, latte e suoi derivati, miele.

 

Sarà mica del tutto insulso il modo di dire “né carne né pesce” a voler intendere “ma di cosa parliamo”, “ma dove si trova l’ubi consistam”. E non che si poteva portarla a lungo e far diventare la locuzione: “né carne e né pesce e né uova e né latte e né formaggi e né miele”. troppo lunga, suvvia!

 

Eccellenze locali "proibite"

Probabilmente da quel limbo melanconico che è l’osservanza a tavola delle regole vegane, con le proibizioni di cui sopra, si può trarre salvezza se ci si consente qualche eccezione.

 

 

La cucina sarda

Prima eccezione concessa ai vegani sardi. Costoro sono dispensati dalla proibizione di godere di quel dono della loro tradizione culinaria che si chiama “sebàda”. La sebàda o “seada” è l’essenza della cucina sarda. A farci riflessione profonda, la sebàda è di palese vocazione vegana. Difatti è formata da due sottili dischi di pasta di semola e strutto, con i bordi dentellati, che racchiudono dell’ottimo formaggio pecorino sardo, fritti in strutto e cosparsi di miele. Per essere piatto vegano, basta omettere lo strutto, il formaggio e il miele: restano i due dischi di pasta di semola. Se il risultato non fosse dei migliori... ecco, si ricorre all’eccezione!

 

La cucina veneta

Seconda eccezione concessa ai vegani veneti. Costoro sono dispensati dalla proibizione di godere di quel dono della loro tradizione culinaria che è il baccalà alla vicentina. Il baccalà alla vicentina si ottiene da pezzi interi di baccalà brasati nel forno con le cipolle nel latte. A tendere è davvero un piatto vegano, è sufficiente avere l’accortezza di non usare né il baccalà e né il latte. Restano le cipolle, che pur sempre qualcosa è. Questo piatto vegano prende il nome di “baccalà scappato”. Se proprio non fosse di gradimento, e allora ecco, si ricorre all’eccezione!

 

Cucina piemontese

Terza eccezione concessa ai vegani piemontesi. Costoro sono dispensati dalla proibizione di godere di quel dono della loro tradizione culinaria che è il vitello tonnato piemontese, un piatto ad evidente vocazione vegana. Gli ingredienti principali della ricetta classica sono il girello di vitello, le uova sode, il tonno sottolio e le acciughe. Ecco, facciamo a meno di questi ingredienti e restiamo con carote, cipolla, sedano, alloro, chiodi di garofano, prezzemolo, capperi, limone. Una squisitezza ridenominata “vitello tonnato scappato”. Può piacere come può anche non piacere. In tale secondo caso, si fa ricorso all’eccezione.

 

Vegani con eccezione?

Insomma, non è che alimentarsi secondo i dettami del veganismo è cosa melanconica. Si tratta solo di saper governare le eccezioni e così consentire sovente l’utilizzo di carne, pesce, uova, latte, formaggi e miele. Essere vegani ed esserlo nella coerente accezione integerrima, sì, siamo tutti d’accordo.

 

E però, suvvia, nell’arco delle 24 ore della giornata, consentirsi di sospendere il comportamento vegano in due soli momenti: a pranzo e a cena.

 

I vegani italiani crescono

Ma ciò che porta spesso al contrasto tra "onnivori" e vegani è proprio nell'integerrimità di questi ultimi che - lasciando da parte ogni tipo di disquisizione culturale, politica, filosofica - vengono spesso criticati dai medici che non ritengono la dieta vegana sempre così sicura e sana, sebbene riconoscano dei punti a favore anche rispetto alla classica Dieta mediterranea.

Eppure in Italia il fenomeno non si placa benchè le percentuali siano ancora molto basse: stando ai dati del Rapporto Italia 2021 di Eurispes presentato a maggio i vegani sono il 2,4% della popolazione, mentre nel 2020 era il 2,2%. Tra questi si è verificato un inaspettato sorpasso: gli uomini sono il 2,7% contro il 2% delle donne. C’è anche chi afferma di non seguire attualmente una dieta priva di prodotti animali, ma di averlo fatto in passato: sono il 6% degli uomini e il 7,3% delle donne.

 

I rischi del veganesimo

Ma quali sono i maggiori fattori di rischio per chi segue in modo impeccabile la dieta vegana? Sia chiaro che qualsiasi regime alimentare simile è assolutamente in disequilibrio con le reali necessità dell'essere umano, quindi potenzialmente dannoso nel lungo termine se non compensato artificialmente.

Risulta insufficiente e necessita spesso dell'integrazione alimentare o del compenso farmacologico l'apporto di:

  • Alcune vitamine: cobalamina (vit. B12), calciferolo (vit. D);
  • Acido docosaesaenoico (DHA) ed eicosapentaenoico (EPA) – due importantissimi acidi grassi semi-essenziali omega 3;

e spesso anche di:

  • certi amminoacidi essenziali;
  • ferro, calcio, zinco, e Iodio.

Pertanto, la dieta vegana non è un regime alimentare consigliabile, specie in periodi "delicati" della vita come l'infanzia, la gravidanza, l'allattamento e la terza età. La dieta vegana tende a far consumare quantità eccessive di fibra alimentare e altri antinutrienti tipo chelanti (ossalati e fitati) e inibitori delle proteasi, favorendo il malassorbimento dei pochi principi nutritivi introdotti.



Il rischio cardio-vascolare associato alla dieta vegana è senz'altro minore rispetto ad una dieta tradizionale contenente grassi animali saturi e colesterolo, ma ciò non toglie che tutte le altre carenze del caso aumentino significativamente il rischio altre complicanze nutrizionali; tra queste ricordiamo: osteoporosi, anemia perniciosa, anemia sideropenia, ipotiroidismo, neuropatie e spina bifida nel feto.

Per queste ragioni, l'adozione della dieta vegana richiede un'attenta supervisione medica in grado di prevenire o colmare eventuali carenze alimentari attraverso l'uso ponderato di integratori specifici ed alimenti fortificati.

 

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