Ecco come la mafia punta ai ristoranti. A Palermo la malavita stava gettando le basi per un impero
Prima del Covid erano 5mila i ristoranti nelle mani della criminalità organizzata, ma molti di più quelli a rischio. Il giro d'affari delle agromafie era di 24,5 miliardi di euro ed è in crescita a causa della pandemia . Nel capoluogo siciliano scattano i domiciliari per il proprietario del Carlo V per intestazione fittizia aggravata dal metodo mafioso
15 aprile 2021 | 14:32
La ristorazione è nel mirino della mafia, ormai è un dato di fatto accertato da tempo. Ma da un anno a questa parte il fenomeno è diventato ancor più diffuso a causa della crisi che sta colpendo il settore e che sta portando tanti imprenditori - bisognosi di liquidità - a rivolgersi sempre più spesso ai boss. Italia a Tavola sin dall'aprile dell'anno scorso aveva preannunciato questo rischio, lanciando l'allarme e invitando a tenere alta l'attenzione alla luce di continui dati (e testimonianze) allarmanti che toccavano anche gli alberghi. Venezia era stata una delle primissime città d'arte ad annunciare che - già nel corso del primo lockdown - arrivavano offerte "sospette" per rilevare strutture ricettive.
L’ultimo fatto di cronaca relativo a questa preoccupante relazione tra mafia e accoglienza arriva da Palermo: i carabinieri del nucleo investigativo infatti hanno accertato che il boss Giuseppe Calvaruso, arrestato a Pasqua, puntava a nuovi investimenti nel centro storico di Palermo tra cui uno al ristorante Carlo V, in piazza Bologni.
Due i prestanome coinvolti nell’operazione criminale, i fratelli Giuseppe e Benedetto Amato, il primo è titolare del ristorante incriminato.
«Quello che vogliamo fare insieme a te è creare veramente un impero - diceva Benedetto al boss e non sospettava di essere intercettato dai carabinieri del nucleo Investigativo - e poi consolidarlo, da campare di rendita». Calvaruso rispondeva: «Ci sono tutte le prerogative».
L’allarme era scattato già poco dopo lo scoppio della pandemia, ma ora sono i numeri a confermarlo. Quelli del Cerved dicono - ad esempio - che in provincia di Napoli hanno cambiato proprietà 663 tra aziende e negozi, ovvero il 2% del totale che rappresenta un dato molto superiore alla media degli altri anni. Un caso isolato? No, perché anche a Roma questo turn-over sfrenato e sospetto è diffuso: tra fine febbraio e metà ottobre 2020 sono state cedute 1.265 attività.
Tirando le somme nazionali, il Cerved - specializzato nell’analisi del rischio delle imprese - disegna uno scenario da allarme rosso: 9.921 aziende hanno cambiato titolare in Italia dal 28 febbraio al 15 ottobre 2020; 140mila società sono a rischio usura e riciclaggio, il doppio rispetto all’anno passato. Secondo l’agenzia di informazioni commerciali e di rating Cerved sarebbero circa 10mila i ristoranti esposti a rischio di usura o riciclaggio, quasi 2mila gli alberghi e 1.800 le agenzie di viaggio
E se i numeri di oggi sono già preoccupanti, il futuro non promette niente di buono: un quinto delle 723mila società di capitali attive in Italia sono a rischio default e la crisi di liquidità - tra i primissimi problemi - fa gola a chi ha invece molto denaro contante da ripulire.
Sulla questione il neo Premier, Mario Draghi si è mostrato “sul pezzo” nel suo discorso al Senato spiegando che il rischio di infiltrazioni è reale e che servono verifiche più incisive sui cambi societari, specie per gli esercizi commerciale e il settore turistico alberghiero.
La ristorazione dal canto suo non è messa tanto meglio. Nell’ultimo anno hanno cambiato gestione 586 società su oltre 33mila (con un’incidenza dell’1,8%). A queste se ne aggiungono 500 legate all’ingrosso di alimentari. L’agroalimentare in genere è da tempo bersaglio facile e florido per la criminalità organizzata che riesce a “fatturare” grazie a questo 24,5 miliardi di euro.
Le infiltrazioni mafiose sono particolarmente preoccupanti per la filiera agroalimentare con la ristorazione indebolita finanziariamente dal crack di 41 miliardi nel 2020 a causa delle conseguenze dell’emergenza Covid. La criminalità è arrivata a controllare cinquemila locali con l’agroalimentare che è divenuto una delle aree prioritarie di investimento della malavita che ne comprende la strategicità in tempo di crisi perché consente di infiltrarsi in modo capillare nella società civile e condizionare la via quotidiana della persone. L’allarme contenuto nella Relazione semestrale della Dia trova particolare fondamento nella filiera agroalimentare dove pesa la crisi di liquidità generata dalla pandemia in molte strutture economiche che sono divenute più vulnerabili ai ricatti e all’usura.
Le operazioni delle Forze dell’Ordine svelano gli interessi delle organizzazioni criminali nel settore agroalimentare ed in modo specifico nella ristorazione nelle sue diverse forme, dai franchising ai locali esclusivi, da bar e trattorie ai ristoranti di lusso e aperibar alla moda fino alle pizzerie. In questo modo la malavita si appropria di vasti comparti dell’economia green dai campi agli scaffali, distruggendo la concorrenza e il libero mercato legale e soffocando l’imprenditoria onesta, ma anche compromettendo in modo gravissimo la qualità e la sicurezza dei prodotti, con l’effetto indiretto di minare profondamente l’immagine dei prodotti italiani e il valore del marchio Made in Italy.
L’ultimo fatto di cronaca relativo a questa preoccupante relazione tra mafia e accoglienza arriva da Palermo: i carabinieri del nucleo investigativo infatti hanno accertato che il boss Giuseppe Calvaruso, arrestato a Pasqua, puntava a nuovi investimenti nel centro storico di Palermo tra cui uno al ristorante Carlo V, in piazza Bologni.
Due i prestanome coinvolti nell’operazione criminale, i fratelli Giuseppe e Benedetto Amato, il primo è titolare del ristorante incriminato.
Cosa hanno scoperto le indagini
I fratelli Amato sono finiti agli arresti domiciliari con l'accusa di intestazione fittizia aggravata dal metodo mafioso. E la società che gestisce il ristorante Carlo V è stata sequestrata: le indagini coordinate dal procuratore aggiunto Salvatore De Luca, dai sostituti procuratori Dario Scaletta e Federica La Chioma hanno ricostruito gli ultimi investimenti di Calvaruso, capo del mandamento mafioso di Pagliarelli e manager in giro per il mondo. Sigilli anche per la società di ristrutturazioni edilizie "Edil professional", per una Porsche Cayenne, una Range Rover sport e un gommone, anche questi beni di Calvaruso intestati ai due imprenditori.«Quello che vogliamo fare insieme a te è creare veramente un impero - diceva Benedetto al boss e non sospettava di essere intercettato dai carabinieri del nucleo Investigativo - e poi consolidarlo, da campare di rendita». Calvaruso rispondeva: «Ci sono tutte le prerogative».
Le intercettazioni: "Gli amici ci vogliono, Peppe"
Le intercettazioni non lasciano spazio ad alcun dubbio circa l’intento mafioso che c’era dietro all’operazione. Stando a quanto riporta La Repubblica, Giuseppe Amato si lanciava in grandi lodi per l'amico boss appena uscito dal carcere: "Tu hai avuto quello che hai avuto. Diciamo che tu sei mancato... le persone come te mancano Peppe. Le persone perbene come a te mancano, Capito?". Calvaruso era compiaciuto per tante lodi: "E lo so". Amato ribadiva: "Le persone come te mancano. A noi ci sei mancato... Io, mio fratello siamo sbandati...ora ci sei di nuovo... abbiamo bisogno... perché sei una persona educata... una persona di fondamentale...di etica, di certi principi... Questo è il discorso. E purtroppo... bisogna sempre migliorare nella vita. Gli amici ci vogliono, Peppe". Parole che valgono più di un trattato di sociologia criminale. Il boss Calvaruso, "una persona educata, di certi principi". Giuseppe Amato come il boss Calvaruso viaggiava molto: era rientrato a Palermo lunedì, da un viaggio d'affari a Lanzarote, nelle isole Canarie, dove voleva investire in un altro ristorante.Il primo contatto nel 2017
Ma proprio a testimonianza del fatto che l’attività mafiosa è intensa nel mondo della ristorazione, le indagini hanno rilevato che c’è un pregresso. Il giorno di Ferragosto del 2017, il boss Settimo Mineo, l'anziano di Cosa nostra che stava ricostituendo la Cupola, fu pedinato dai carabinieri mentre andava a pranzo con la moglie al ristorante Carlo V. Fece il nome di Giuseppe Calvaruso: "Ci ha presentato un amico nostro", disse. E la risposta fu chiarissima: "Signor Mineo non ci sono problemi". Il pranzo fu offerto dalla casa, of course. Per i magistrati ci sarebbe stato un "accordo segreto fra Calvaruso e i fratelli Amato - questo è scritto nel provvedimento del gip - finalizzato a realizzare investimenti comuni destinati ad accrescere la loro ricchezza personale". Calvaruso era il vice di Mineo. Pagliarelli, clan della zona orientale di Palermo, puntava alla leadership nella riorganizzazione di Cosa nostra. Ma il progetto è stato fermato. Almeno per ora.Napoli e Roma tra le province più colpite
L’allarme era scattato già poco dopo lo scoppio della pandemia, ma ora sono i numeri a confermarlo. Quelli del Cerved dicono - ad esempio - che in provincia di Napoli hanno cambiato proprietà 663 tra aziende e negozi, ovvero il 2% del totale che rappresenta un dato molto superiore alla media degli altri anni. Un caso isolato? No, perché anche a Roma questo turn-over sfrenato e sospetto è diffuso: tra fine febbraio e metà ottobre 2020 sono state cedute 1.265 attività.
A rischio 140mila società di capitali
Tirando le somme nazionali, il Cerved - specializzato nell’analisi del rischio delle imprese - disegna uno scenario da allarme rosso: 9.921 aziende hanno cambiato titolare in Italia dal 28 febbraio al 15 ottobre 2020; 140mila società sono a rischio usura e riciclaggio, il doppio rispetto all’anno passato. Secondo l’agenzia di informazioni commerciali e di rating Cerved sarebbero circa 10mila i ristoranti esposti a rischio di usura o riciclaggio, quasi 2mila gli alberghi e 1.800 le agenzie di viaggio
E se i numeri di oggi sono già preoccupanti, il futuro non promette niente di buono: un quinto delle 723mila società di capitali attive in Italia sono a rischio default e la crisi di liquidità - tra i primissimi problemi - fa gola a chi ha invece molto denaro contante da ripulire.
Sulla questione il neo Premier, Mario Draghi si è mostrato “sul pezzo” nel suo discorso al Senato spiegando che il rischio di infiltrazioni è reale e che servono verifiche più incisive sui cambi societari, specie per gli esercizi commerciale e il settore turistico alberghiero.
Agromafie, business da 24,5 miliardi
La ristorazione dal canto suo non è messa tanto meglio. Nell’ultimo anno hanno cambiato gestione 586 società su oltre 33mila (con un’incidenza dell’1,8%). A queste se ne aggiungono 500 legate all’ingrosso di alimentari. L’agroalimentare in genere è da tempo bersaglio facile e florido per la criminalità organizzata che riesce a “fatturare” grazie a questo 24,5 miliardi di euro.
Le infiltrazioni mafiose sono particolarmente preoccupanti per la filiera agroalimentare con la ristorazione indebolita finanziariamente dal crack di 41 miliardi nel 2020 a causa delle conseguenze dell’emergenza Covid. La criminalità è arrivata a controllare cinquemila locali con l’agroalimentare che è divenuto una delle aree prioritarie di investimento della malavita che ne comprende la strategicità in tempo di crisi perché consente di infiltrarsi in modo capillare nella società civile e condizionare la via quotidiana della persone. L’allarme contenuto nella Relazione semestrale della Dia trova particolare fondamento nella filiera agroalimentare dove pesa la crisi di liquidità generata dalla pandemia in molte strutture economiche che sono divenute più vulnerabili ai ricatti e all’usura.
Le operazioni delle Forze dell’Ordine svelano gli interessi delle organizzazioni criminali nel settore agroalimentare ed in modo specifico nella ristorazione nelle sue diverse forme, dai franchising ai locali esclusivi, da bar e trattorie ai ristoranti di lusso e aperibar alla moda fino alle pizzerie. In questo modo la malavita si appropria di vasti comparti dell’economia green dai campi agli scaffali, distruggendo la concorrenza e il libero mercato legale e soffocando l’imprenditoria onesta, ma anche compromettendo in modo gravissimo la qualità e la sicurezza dei prodotti, con l’effetto indiretto di minare profondamente l’immagine dei prodotti italiani e il valore del marchio Made in Italy.
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Alberto Lupini
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