L’obbligo del Pos non funziona. Resta il nodo commissioni: sono davvero costi insostenibili?

A un mese dall'introduzione delle sanzioni per i commercianti che rifiutano i pagamenti elettronici le multe sono state pochissime. Nessun terremoto quindi, ma un tema resta al centro del dibattito: la rimozione delle commissioni. Vediamo quanto costano alle attività

01 agosto 2022 | 17:44
di Gianluca Pirovano

È passato un mese dall'introduzione delle sanzioni per i commercianti che si rifiutano di accettare pagamenti elettronici. Dal 30 giugno scorso infatti commercianti e professionisti non possono più rifiutare i pagamenti tramite carte di debito, di credito o prepagate, pena una sanzione pecuniaria pari a 30 euro, aumentati del 4% del valore della transazione per la quale sia stata rifiutata l’accettazione del pagamento. L'obbligo del Pos c'era già da tempo, dal 2014, ma non era prevista nessuna multa. 

Nonostante in molti abbiano contestato la misura, puntando il dito sulle commissioni, trenta giorni dopo non sembra esserci stato nessun terremoto. 

Multe per chi rifiuta le carte: in un mese pochissime sanzioni 

Andiamo con ordine e partiamo dal fulcro della nuova misura: le sanzioni. In un mese, si contano sulle dita di una mano. C’è il caso del tabaccaio in provincia di Rovigo che per non accettare 1,8 euro con bancomat dovrà pagare allo Stato 30,07 euro e quello del gelataio di Rimini che voleva 20 euro in contanti: per lui la sanzione della Guardia di Finanza arriva a 30,8 euro. Poi qualche protesta qua e là, senza particolari scossoni o entusiasmi. Insomma, tutto nella norma

La protesta continua 

Eppure a molti commercianti, bar e ristoranti su tutti, continua a non andare giù l'obbligo. Il motivo? Ancora una volta, le commissioni. Già lo avevano detto in tempi non sospetti le associazioni di categoria. «Il pagamento col Pos è uno strumento utile e garantisce al tempo stesso trasparenza e tracciabilità - aveva spiegato Aldo Cursano, vicepresidente di Fipe, la Federazione italiana pubblici esercenti - È anche uno stimolo al consumo e quindi ritengo giusto che tutti si adeguino. Al tempo stesso vorrei che vengano necessariamente eliminati i costi legati alle transazioni finanziarie per ogni pagamento. È una spesa inutile che si somma alle altre in un momento di crisi». 

 

 

Ancora più dura era stata Confcommercio: «Non si può pensare di incentivare i pagamenti elettronici attraverso il meccanismo delle sanzioni, quello che serve per raggiungere questo obiettivo è una riduzione delle commissioni e dei costi a carico di consumatori ed imprese, anche potenziando lo strumento del credito d’imposta sulle commissioni pagate dall’esercente, e introdurre la gratuità per i cosiddetti micropagamenti». 

Due voci autorevoli, rappresentative di migliaia di commercianti che chiedono a gran voce un cambiamento

Ma quanto pesano le commissioni? 

Tutto chiaro, ma quanto pesano realmente le commissioni? A dirlo è La Stampa: possono arrivare fino al 5% dell’importo a cui, però, bisogna aggiungere l’affitto del Pos, le spese una tantum oltre ad eventuali manutenzioni. Se però si tratta di un’attività stagionale, in molti casi, c’è un aggravio di spesa del 50%. D’altra parte se fino a 5 euro le commissioni sono azzerate, l’importo minimo - per cifre superiori - è pari a 50 centesimi con il paradosso che per due cappuccini e due brioche, un barista paga una commissione del 10%.

Anche per questo, il governo Draghi nel 2021 aveva scelto di spostare gli incentivi all’utilizzo della moneta elettronica dai consumatori agli esercenti. Per sostenere i pagamenti, quindi, fino al 31 dicembre 2022 è stato aumentato dal 30% al 100% il credito d’imposta sulle commissioni e fino al 30 giugno valeva lo stesso anche per l’affitto dei Pos, ma la misura non è stata rinnovata.

Una giungla di accordi 

Un regolamento dell’Unione europea ha già tagliato le commissioni interbancarie allo 0,2% per transazione quando si utilizza il bancomat e allo 0,3% nel caso delle carte di credito; ma nessun piccolo commerciante italiano paga così poco. Secondo uno studio recente la commissione media pagata è dello 0,9%: lo 0,54% finisce delle tasche dei circuiti internazionali (Visa, Mastercard, Amex, etc etc); il resto in quello delle banche italiane. Per i piccoli esercenti il conto è decisamente più salato: 1,32%, con lo 0,78% direttamente nelle casse degli istituti di credito italiani.

È però particolarmente complesso entrare nel dettaglio, soprattutto perché spesso i contratti vengono negoziati singolarmente e le condizioni cambiano con frequenza. Sempre La Stampa ha analizzato due casi simbolici, Unicredit e Intesa San Paolo. 

Unicredit fornisce il proprio Pos dietro al pagamento una tantum di 100 euro a cui aggiungere un canone mensile che oscilla tra i 30 e gli 80 euro. Ancora più ampio è, invece, lo spettro delle commissioni per transazione. Quando si tratta di Pagobancomat, Unicredit trattiene tra il 2,25% e il 2,3%; le transazioni con carta di credito, invece, oscillano tra il 3,55% e il 4%.

Intesa Sanpaolo, invece, chiede 200 euro per installare il Pos oltre a un canone mensile che varia da 15 a 80 euro (ma con una maggiorazione del 50% per i servizi stagionali). Le commissioni oscillano dall’1,8% per il Pagobancomat fino al 4,45% per alcune carte di credito.

C'è poi Banca Sella che applica una commissione dello 0,95% sui circuiti internazionali, incluse carte business, e dello 0,45% su PagoBancomat. Poste Italiane invece presenta una commissione che va dal 2,8% al 4,5% a seconda del circuito utilizzato, per una cifra massima che va da 1,80 euro ai 3,80 euro.

Non solo banche 

Ci sono le banche quindi, ma ci sono anche moltissime nuove società digitali con offerte differenti. Parliamo per esempio di Sum Up, che ha percentuali tra l'1 e il 2% e una gestione burocratica semplificata o Nexi, con attivazione a 18 euro e commissione unica a 1,89% ma con azzeramento delle commissioni fino al 31/12/2022.

Proprio Nexi nei mesi scorsi ha stretto un accordo con Fipe che permette alle attività di  disporre delle soluzioni di incasso digitale a condizioni agevolate, garantendosi così l’opportunità di sfruttare tutte le potenzialità offerte dai pagamenti digitali: dai servizi a forte valore aggiunto, che permettono di ampliare l’offerta ai propri clienti – come il food delivery, i servizi e-commerce, i programmi di fidelizzazione del cliente - fino ai Pos più evoluti che offrono maggiore sicurezza, più velocità e più comodità.

 

Eppure cresce 

Insomma, ormai avrete capito che la situazione è tutto fuorchè semplice. Eppure, stando ai dati forniti da Banca d'Italia, gli strumenti per i pagamenti elettronici continuano a crescere. Nel 2012 i Pos attivi erano 1,5 milioni, lo scorso anno 4,2 milioni; le carte in circolazione sono passate da 72 a 106,1 milioni. Contestualmente, il numero di Atm dove prelevare contanti è sceso dai 43.349 del 2015 ai 37.405 dello scorso anno.

Tutto bene? Non proprio. Le transazioni effettuate in contanti continuano a rappresentare il 62%. Un dato che, in conclusione, dimostra come la strada in questa direzione sia ancora parecchio lunga. 

 

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