Langhe, un viaggio nel gusto e nella tradizione

Dal tartufo alla carne, dai salumi ai formaggi, senza dimenticare la pasta fatta in casa: tipicità che hanno reso le Langhe uno scrigno di sapori che oggi ispira anche le cucine di alto livello in Italia e nel mondo. Ereditate dalla tradizione contadina, le ricette tipiche di Langa richiamano una cucina povera, ma ricchissima di gusto e genuinità

18 ottobre 2021 | 05:00
di Stefano Calvi

Sapori decisi nel piatto. Profumi eleganti che racchiudono l’essenza di un intero territorio avvolto dalle brume invernali: il periodo più suggestivo, quello in cui le nebbie avvolgono gentilmente le morbide colline langarole. È qui che i gusti e i sapori si amalgamano in un ambiente unico in tutto il mondo, che regala prodotti d’eccellenza riconosciuti a livello universale. Per qualità, storia e tradizione. La gastronomia langarola è qualcosa di unico. Si presenta robusta e saporita, rispecchia in pieno i dettami di una tradizione quasi millenaria. È legata a prodotti di un territorio che cambia con il mutare delle stagioni: queste ultime condizionano positivamente l’ambito gastronomico di questo lembo di terra ondulata.

Ereditate dalla tradizione contadina, le ricette tipiche di Langa richiamano una cucina povera, ma ricchissima di gusto e genuinità: dai tajarin agli agnolotti con sughi di carne, dal fritto misto alla lepre al “civet”, e poi i dolci naturalmente, come la torta di nocciole, lo zabaione e il bônet. Questi sono solo alcuni esempi di una grande tradizione che oggi fa tappa anche nei più quotati ristoranti italiani (e non solo). Da queste terre è partita per far breccia nelle cucine stellate.

Le eccellenze enogastronomiche fanno delle Langhe un patrimonio unico al mondo: vero e proprio paradiso per i palati più esigenti, questo territorio sa offrire in ogni periodo dell’anno un connubio di colori, profumi e sapori a cui è difficile rimanere indifferenti. La vera parola d’ordine è qualità. Assoluta. Non solo grandi vini, tra i più quotati e famosi al mondo, ma anche tipicità che hanno reso le Langhe uno scrigno di sapori, in alcuni casi sono prodotti protetti e garantiti da severi disciplinari che ne tutelano la genuinità e ne perseguono la tradizione nel tempo.

 

 

Tartufo bianco, il re della tavola

Andiamo con ordine, partendo dal simbolo di questa terra: il Tartufo bianco d’Alba. È un tubero identificativo di questa zona, raffinato e ricercato, sinonimo, perché no, di lusso. Ogni anno durante la stagione autunnale, dedicata alla vendemmia del Nebbiolo, tra i filari che colorano i fianchi delle colline, si assiste a un rito antico, che vede il “trifulao”, accompagnato dal suo fedele cane, aggirarsi tra i boschi di tigli, querce, pioppi, salici e noccioli, alla ricerca del prezioso tubero. Alba (Cn), l’indiscussa capitale del Tartufo bianco, lo celebra come una vera star, dedicando a questo pregiatissimo fungo ipogeo una Fiera, nata nel lontano 1928 grazie alla geniale intuizione del “Re del tartufo” Giacomo Morra, e oggi divenuta un evento di portata internazionale, giunto ormai alla sua 91ª edizione (dal 9 ottobre al 5 dicembre 2021).

Nelle Langhe ci sono varie specie di tartufo, ma è quello bianco il più ricercato per il suo aroma intenso, capace di evocare piacevoli sensazioni all’olfatto e al palato. La sua maturazione avviene a partire dalla tarda estate e la sua ricerca parte dalla metà di settembre fino a fine gennaio. Molteplice il suo impiego nella cucina langarola, preferibilmente sui cibi caldi che ne esaltano l’aroma e con sughi leggeri: ideale sulla fonduta, sui tajarin al burro e salvia, sui risotti alla piemontese, ma anche sulla carne cruda all’albese, sull’insalata di funghi porcini o di ovuli reali. In tanti lo apprezzano anche sull’uovo al tegamino. Va pulito con delicatezza spazzolandolo e va preparato rigorosamente qualche minuto prima di servirlo in tavola. Come? Essenzialmente a crudo, tramite un affetta-tartufo lo si prepara in sottilissime scaglie sul piatto regalando alla preparazione stessa un sapore inconfondibile. Riconoscibile in tutto il mondo come sinonimo di qualità e di langa.

 

Primi piatti gustosi e sostanziosi

Veniamo ai primi piatti. Alzi la mano chi non ha mai mangiato i tajarin? Si tratta di uno dei piatti simbolo della tradizione gastronomica langarola, sono tagliatelle all’uovo molto sottili, solitamente servite con burro e salvia, accompagnate da una “spolverata” di tartufo bianco d’Alba. Un piatto rappresentativo del territorio, che addirittura risale, secondo alcuni scritti, al ‘400. Una pasta sostanziosa, particolarmente ricca per via del numero elevato di tuorli d’uovo necessari per prepararla.

Accanto ai tajarin come non citare i plin, ovvero i ravioli al plin. Termine dialettale piemontese che significa pizzicotto, ovvero il gesto che chef o semplici massaie fanno per chiudere la sfoglia che racchiude in sé il ripieno. Non a caso questa varietà di pasta ripiena nasce nel mondo contadino, dove vi era l’usanza di non sprecare nulla di quello che avanzava a tavola. La prassi ormai consolidata prevede per il ripieno l’uso di arrosto di vitello (sottopaletta o arrosto della vena), arrosto di maiale (la coscia) e poi anche spinaci, bietole, verza o carota. La sfoglia, rigorosamente tirata a mano, secondo gli “integralisti” di questa ricetta, deve essere sottile quanto lo può essere un velo da sposa, così da poter vedere nell’agnolotto finito e richiuso la nota verde della verdura del ripieno in trasparenza. Il condimento più corretto è il sugo delle carni arrostite, ma spesso si rivelano ottimi con burro e salvia. Inoltre per i puristi l’agnolotto dal plin andrebbe servito scondito, non nel piatto ma su di un canovaccio di canapa, per gustare al meglio il sapore delle carni e delle verdure presenti nel ripieno.

 

La norcineria piemontese

Passiamo poi ai salumi di Langa. I tanti borghi che animano le colline ospitano ancora storiche botteghe dove si possono degustare, anche in loco, prodotti tipici della norcineria piemontese. I salami di diversa forma e stagionatura, così come i piccoli cacciatorini, sono tutti insaccati conditi con sale, vino e un po’ d’aglio (a seconda del vino usato nella lavorazione della carne la denominazione potrà essere al Dolcetto, al Barolo, ecc.). Il lardo, profumato con spezie, erbe aromatiche e ginepro, è una tipica goloseria da gustare crudo, a fettine sottili, per accompagnare taglieri con formaggi e relative marmellate e miele. Cotto può essere un’ottima variante per il soffritto. La pancetta arrotolata, odorosa di pepe e spezie, è un’ulteriore protagonista nelle merende in Langa, sicuramente eccezionale da assaggiare cruda, tagliata a fette non molto spesse, ad accompagnare pane cotto al forno o i tipici grissini friabili piemontesi. Da degustare assolutamente la salsiccia (famosa quella di Bra, tutelata da un Consorzio) che viene lavorata e insaccata in piccoli budelli che le conferiscono la tipica forma allungata.

Formaggi d’eccellenza, tutelati dalla Dop

Dai salumi ai formaggi il passo è breve. Uno dei formaggi più acclamati dai gourmet è la Robiola di Roccaverano, oggi un pregiato formaggio che dal 1979 ha ricevuto la denominazione Dop. È un formaggio a pasta molle che si può anche spalmare se molto fresco e morbido. Ha dimensioni ridotte, con un diametro di circa 10-15 cm e un peso indicativo di 400 grammi se fresca, molto meno dopo una breve stagionatura. Il disciplinare della Dop prevede l’utilizzo di latte crudo intero di capra in purezza o in rapporto variabile in misura minima del 50% con latte crudo intero di vacca e/o pecora in misura massima del 50%, proveniente da mungiture consecutive, effettuate in un arco di tempo tra le 24 e le 48 ore. Il Presidio Slow food della Robiola di Roccaverano tutela i produttori che hanno deciso di riprendere la produzione della formaggetta tradizionale, ovvero quella prodotta esclusivamente con il latte crudo di capra. È ideale da tavola, nell’antipasto con un filo d’olio ed un po’ di pepe e da cucina. Si conservano anche sott’olio oppure asciutte nei barattoli ermeticamente chiusi.

Nell’Alta Langa albese ed astigiana troviamo un’altra produzione d’eccellenza che si fregia della Dop: il Murazzano. Si presenta come una sottile forma cilindrica con facce piane leggermente orlate e senza crosta, da fresco presenta un colore bianco, tendente al paglierino dopo la sua stagionatura. Viene prodotto con latte ovino in purezza, oppure miscelato a latte vaccino (in misura massima del 40%). Il Murazzano ha una pasta morbida leggermente consistente, a volte con occhiature, di gusto fine e dolce quando viene presentato fresco e piano invece a prodotto stagionato.

A questi due grandi prodotti si aggiungono altre classiche produzioni che generalmente vengono conosciute con il termine robiola. Alcune aromatizzate con vinaccia oppure con tartufo. Altre produzioni casearie tipiche delle langhe sono la morbida e dolce ricotta (seiras) e il bross o bruz, la saporitissima crema ricavata facendo fermentare le robiole in piccoli orci di coccio o vetro.

 

Carni pregiate per piatti da intenditori

Poi c’è il mondo della carne. Sono diversi gli allevamenti della classica carne bovina di Fassone Razza Piemontese, considerata oggi tra le carni più pregiate grazie alle ottime caratteristiche nutrizionali e dietetiche essendo una carne magra, tenera e saporita. Si può definire un alimento ottimamente bilanciato indispensabile per una dieta varia. Con carni genuine nasce un altro piatto identificativo del territorio: la carne cruda all’albese, un antipasto entrato nei menu di importanti ristoranti internazionali. Addirittura si narra che la carne cruda in Piemonte abbia origini millenarie, mangiata dai primi popoli che si insediarono in queste terre. La carne deve essere necessariamente freschissima, tagliata a coltello come una volta. Condita con un po’ di olio di oliva extravergine, qualche goccia di limone ed insaporita con sale e pepe. Per renderla ancora più accattivante può essere servita con scaglie di Grana Padano e, nella stagione giusta, con una generosa grattata di Tartufo bianco d’Alba oppure con funghi porcini.

Altro antipasto classico è il vitello tonnato, un piatto cosiddetto freddo, per tutte le stagioni, in particolare quelle calde. La ricetta è estremamente facile da realizzare. La carne, il girello di Fassone, marinata con vino, verdure e aromi, viene ben cotta in pentola e poi fatta rigorosamente raffreddare con un passaggio anche in frigorifero. A questo punto viene tagliata a fettine sottili e servita con la salsa tonnata. Ovvero una gustosa “crema” a base di tonno sott’olio, tuorli d’uovo, acciughe, aceto, capperi, succo di limone e un poco di fondo di cottura. Gusto deciso e al tempo stesso delicato che va a braccetto con le fettine di vitello disposte sul piatto piano. L’utilizzo del tonno nella salsa si trova nelle versioni più “moderne” della ricetta come quella proposta da Pellegrino Artusi; precedentemente l’aggettivo tonnato stava probabilmente a significare cucinato alla maniera del tonno. Non a caso sono diverse le regioni italiane che si contendono la paternità del piatto (per esempio Lombardia e Veneto), ma è del tutto probabile, nonostante non esista un documento che lo attesti, che l’origine si possa collocare proprio in Piemonte.

I grandi vini della zona, il Barolo in particolare, sono l’ideale “rinforzo” per un brasato, un grande classico della cucina piemontese, indicato per i pranzi delle feste. Il cappello del prete è il taglio più usato, ricavato dal quarto anteriore del bovino, ovvero i muscoli della spalla dell’animale. Si presta alle cotture lente. Oppure al lesso o bollito piemontese, altra grande tipicità di questa terra, ideale da accompagnare ai sontuosi vini. Questo piatto, che riassume la storia culinaria langarola, si accompagna ai bagnetti, alle salse di langa e all’immancabile bagna caoda. Pochi e semplici ingredienti, verdure in particolare, sanno impreziosire questi “ammennicoli”: possono essere serviti cotti o crudi a seconda del gusto. In quelli “verdi” c’è una predominanza di prezzemolo; in quelli rossi di verdure di terra.

 

La bagna caoda, un grande classico

La regina delle salse di langa è la famosa bagna caoda, la sua preparazione prevede solo tre ingredienti: l’aglio, l’olio d’oliva e le acciughe sotto sale. Tre elementi che, mescolati insieme, formano un composto a dir poco magico. La saporitissima bagna va servita bollente in ciotole di coccio dove possono essere intinte verdure fresche (sedano, cavolo, verza, cardo, peperone) o cotte (particolarmente indicate sono le patate lesse, il cavolfiore, la barbabietola rossa) e tutto deve essere accompagnato da abbondante pane cotto nel forno a legna e da Barolo.

 

Fritto misto alla piemontese e ricette a base di cacciagione

È in assoluto il piatto delle feste e delle grandi cerimonie per i piemontesi. Una ricetta che si rifà alla tradizione popolare, quando si macellava nei cascinali sulle colline langarole e si tendeva a non buttare via assolutamente nulla. È così che nasce il fritto misto alla piemontese: un piatto unico nel panorama gastronomico italiano capace di coniugare sapori dolci e salati. Quando si macellava tra le mura domestiche era una vera festa: i membri della famiglia si spartivano i pezzi e gli scarti di macellazione che venivano poi impanati con semplice pangrattato e poi fritti. È davvero complicato trovare una vera e proprio ricetta originale perché, con il tempo, sono state fatte diverse aggiunte. Ad esempio è facile imbattersi in altri prodotti piemontesi come amaretto, carni miste e verdure. Assolutamente per la parte salata ci devono essere gli avanzi di macellazione del vitello, il cosiddetto quinto quarto. Di base non mancano polmone, animelle, cervella, salsiccia di suino, fettine di vitello e fegato che vengono fritti insieme alla parte dolce costituita dall’amaretto, dal semolino e dalla frutta, principalmente mela.

Per quanto riguarda la cacciagione le cucine piemontesi regalano la lepre al civet. Il gusto deciso della selvaggina è controbilanciato dagli altrettanti sapori forti del civet, un intingolo simile al classico stufato preparato con cipolla e vino. Anche se non si conosce bene l’origine del termine, per alcuni deriva dal francese per altri dall’occitano, in ogni caso il termine cive sta ad indicare l’erba cipollina, perché essenzialmente è un piatto preparato con cipolle e cipollotti. Si tratta di una ricetta piuttosto impegnati, che richiede ore di lavoro a partire dalla marinatura della lepre che le toglie il sapore aggressivo della carne.

 

Nocciola protagonista di dolci irresistibili

Chiudiamo questo viaggio tra i sapori langaroli con i dolci. Ed in particolari quelli legati alla classica Nocciola Tonda Gentile di Langa che si fregia del marchio Igp. Un prodotto che nasce nel cuore dell’Alta Langa e che vede in Cortemilia la capitale indiscussa di questa produzione, una varietà considerata tra le migliori al mondo. Qui i vigneti lasciano il passo ai noccioleti. Sono estensioni tenute alla perfezione e ben curate che regalano una fisionomia particolare al territorio che si estende tra il Tanaro e il Bormida e permettono ai produttori, a fine estate, nel pieno della maturazione, di raccogliere a terra le loro nocciole in modo rapido e veloce. Gran parte degli agricoltori trasforma la nocciola in azienda producendo semilavorati o pasta di nocciola.

Non a caso tutta la produzione di questa zona è destinata all’industria dolciaria per poi essere trasformata in crema gianduia (ad Alba la Ferrero ha creato il mito Nutella) oppure utilizzata per dolciumi come i baci di dama e i brutti ma buoni. Fino ai torroni, come quelli prodotti dalla ditta Sebaste nella zona di Grinzane Cavour. Non dimentichiamo le tipiche torte: molte pasticcerie le fanno anche di sola farina di nocciola, prodotti dolciari ideali come fine pasto oppure da colazione. La tradizione dolciaria dei paesi di Langa è fortemente legata all’utilizzo della sua nocciola come ingrediente unico per insaporire e rendere così ancora più buoni i suoi rinomati dolci: basta entrare in una pasticceria qualunque di uno dei tanti paesi di Langa per provare questa emozione culinaria.

Tra i dolci al cucchiaio non si può non ricordare il bonèt, un classico tra i più apprezzati, tra i dessert più antichi della tradizione piemontese che mixa l’irresistibile gusto del cioccolato a quello degli amaretti e nelle versioni moderne anche quello del rum. Il nome richiama lo stampo di rame dove veniva preparato che ricorda, per la sua forma a tronco di cono basso, quella del classico bonèt, ovvero un berretto tondeggiante usato dai piemontesi nelle ricorrenze. Tra le preparazioni più utilizzate c’è lo zabaione, una crema di tuorli d’uovo e zucchero, arricchita generalmente da un vino liquoroso. Un dolce in cui inzuppare la pasticceria secca, a inizio Novecento usato come ricostituente per il suo valore energetico.

Questa è l’ultima golosità di questo viaggio variegato e saporito in una terra riconosciuta in tutto il mondo come la patria del buon gusto. Una terra magica dove la storia del suolo si mescola con la storia della sua gente, di coloro che l’hanno vissuta nel tempo trasformandola in un luogo simbolo dell’eccellenza enogastronomica. La terra di Langa è sempre stata difficile e faticosa da lavorare: la malora, di fenogliana memoria, ci ricorda infatti che i contadini che vivevano sulle Langhe ancora negli anni Cinquanta faticavano, e non poco, nella vita dei campi. Ma sono le difficoltà a cambiare l’uomo, che ha saputo negli anni trasformare queste dolci colline in un patrimonio mondiale del gusto. Un paradiso per i palati più esigenti, questo territorio sa offrire in ogni periodo dell’anno un connubio di colori, profumi e sapori a cui è difficile rimanere indifferenti.

 

 

Viaggio alla scoperta dei borghi più suggestivi delle Langhe

Individuare un itinerario nelle Langhe è cosa difficile. Perché ce ne sarebbero troppi. È un territorio particolarmente suggestivo, ricco di angoli naturalistici e storici da mozzare il fiato. È una zona caratterizzata da continui saliscendi che lambiscono la sommità delle morbide colline collegando piccoli e suggestivi borghi tra i più belli d’Italia. Basta guardarsi attorno per emozionarsi ammirando i filari di Nebbiolo o Barbera che nascondono tra le loro foglie panorami molto più ampi dove, sulla sommità, si stagliano castelli, rocche e casali. Vi propongo un tour dei cosiddetti “belvedere”, ovvero quei luoghi che offrono le cartoline più suggestive dell’intera zona grazie a terrazze panoramiche (storiche o naturali) che si aprono su colline che si disperdono a vista d’occhio. Insomma, guarderemo le Langhe dall’alto, quasi a volo d’uccello. Un percorso di quasi 35 km, da fare in giornata, fermandosi ad ammirare il paesaggio dai belvedere.

Partiamo da Verduno e dal Parco del Belvedere: la verde terrazza panoramica vi regala una vista straordinaria sulla Langa del Barolo e lo sguardo spazia fino all’Alta Langa con i paesi di Serravalle Langhe e Roddino. Il Belvedere è ideale per le famiglie, vi accoglie con un parco giochi per bambini e panchine dove trascorrere qualche ora alla ricerca della frescura nelle giornate particolarmente calde. Verduno ha visto nascere il Beato Sebastiano Valfrè e nelle cantine del Castello, l’enologo Paolo Francesco Staglieno ha saputo elaborare con il regnate Carlo Alberto di Savoia le tecniche di invecchiamento che hanno fatto diventare celebre nel mondo l’uva Nebbiolo, oggi meglio conosciuta per il Barolo, “il re dei vini”.

Poi ci spostiamo a La Morra, il paese più alto della Bassa Langa con i suoi 513 metri slm. Raggiungiamo a piedi piazza Castello caratterizzata dalla torre campanaria alta 31 metri costruita tra il 1709 e il 1711 sui resti della preesistente torre medievale a testimonianza dell’antico castello della famiglia Falletti, abbattuto nel 1544 dalle truppe francesi.

Il tour prosegue in auto fino a Monforte d’Alba. Il borgo è davvero suggestivo, risalente al X secolo sulle pendici di un ripido colle con le sue strette vie e le case costruite nella pietra. L’alto campanile romanico spicca tra i tetti del centro storico: camminando per raggiungerlo scoprirete la dimora patrizia dei Marchesi Scarampi del Cairo, le Confraternite delle Umiliate e di San Agostino, testimonianze architettoniche del XV secolo e l’auditorium dedicato al pianista Horszowski, piccolo anfiteatro dall’acustica perfetta, sede dal 1986, di concerti e rappresentazioni teatrali.

L’atmosfera medievale la si respira anche qualche chilometro più avanti: non perdervi la vista mozzafiato dal castello di Serralunga d’Alba che domina le celebri colline del Barolo con la sua slanciata verticalità. La particolare struttura architettonica è un donjon francese, esempio unico in Italia, la cui costruzione si colloca fra il 1340 e il 1357 per volontà della famiglia Falletti che fece di questo maniero un edificio destinato al controllo delle produzioni agricole locali. Dall’ultimo piano del castello, l’antico camminamento di ronda militare, si gode del panorama circostante a 360° fino alle colline del Roero e alla cortina della Alpi.

Tornando in direzione di Alba si nota Diano d’Alba, paese che fa capolino sulla dorsale destra. Diano è famosa per i suoi vigneti, per il Dolcetto di Diano d’Alba Docg e per il suo Belvedere. Qui anticamente sorgeva il castello, poi occupato e distrutto da Vittorio Amedeo I nel 1632, dopo essere stato a lungo conteso tra le potenze dei Savoia, dei Marchesi del Monferrato, del Ducato di Milano e da Venezia. Diano vanta una storia millenaria, tanto che l’origine del suo nome sembra attribuibile al culto della dea Diana, protettrice della caccia e dei boschi. Nel Medioevo il paese diventò una contea con potere politico superiore addirittura a quello di Alba, per poi passare con la pace di Cherasco, nel 1631, sotto il territorio controllato dalla famiglia Savoia.

 

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Alberto Lupini


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