«I ristoranti? Sono uno dei punti d’arrivo della filiera agro-alimentare e ovviamente risentono del condizionamento di un sistema inquinato e controllato. Ma spesso a soffrire è tutto il settore turistico che, da decenni, fatica a decollare in una delle aree e delle riserve naturalistiche più belle del Mediterraneo».
Luciano Armeli Iapichino non usa giri di parole per descrivere la Sicilia di oggi (che, a quanto pare, non è molto diversa da quella di qualche anno fa): le agromafie controllano parte dei territori e delle attività della regione, al punto che a rimetterci non è soltanto il settore dell’agricoltura, ma anche quelli della ristorazione e del turismo.
Il controllo delle agromafie si estende dalla terra al turismo
I numeri, a livello nazionale, sono inquietanti e la profonda crisi innescata dall’epidemia di Covid 19 non ha fatto che spianare la strada alle organizzazioni criminali che, approfittando della
debolezza economica di tante attività, provano ora ad ampliare ulteriormente il loro controllo non solo in Sicilia, ma un po’ ovunque in Italia. Una piaga che, secondo l’ultimo rapporto di Eurispes, muove interessi per circa
24,5 miliardi di euro, con un balzo a doppia cifra (+12,4%) negli ultimi 12 mesi.
Autore di tante inchieste sulle agromafie in Sicilia, Luciano Armeli Iapichino ha appena pubblicato “
I vicerè delle agromafie. Storia di sbirri, bovini, malarazza, antimafia e mascariamenti”, un libro-denuncia su quanto accade proprio in Sicilia e in particolare sui Nebrodi.
Partendo dall’esperienza raccontata nel suo ultimo libro, in quale misura il fenomeno delle agromafie ritiene essere ancora pervasivo in Sicilia e, più in generale, nel Paese? Quando si parla di agromafie si fa riferimento a
un macrocosmo di reati e di illeciti che variano dal condizionamento dei prezzi di raccolta alla produzione e alla distribuzione dei prodotti; dall’abigeato e, quindi, dalla macellazione clandestina (che porta inevitabilmente al problema della sicurezza alimentare) al fenomeno del caporalato, alle truffe AGEA, ai controlli dei mercati.
Per una definizione più precisa della misura del fenomeno “agromafie” è necessario quindi fare riferimento ai Rapporti sulle stesse degli ultimi anni.
La situazione appare, comunque, abbastanza critica se si pensa che quasi tutti i settori alimentari (agrumi, ittico, vitivinicolo, ortofrutticolo, alcune ramificazioni della Grande Distribuzione Organizzata) sono controllati da consorterie criminali. La Sicilia non fa eccezione. Nel mio ultimo libro si fa riferimento, in modo particolare, alle vicende e alle operazioni antimafia dell’area messinese nebroidea, nel settore agro-zootecnico, spesso legate a un malcostume che si registra da decenni a livello regionale.
Luciano Armeli Iapichino
Quali sono gli ambiti più colpiti? Il focus della mia inchiesta, per esempio, fa riferimento all’accaparramento dei fondi comunitari nel settore come dicevo agro-zootecnico, meglio conosciuto come “
truffe AGEA”. E la prima cosa che è emersa all'istante è che
i soggetti beneficiari dei fondi, di solito figure di spicco delle consorterie criminali o altre roteanti nella loro orbita d’influenza, hanno richiesto la consulenza di professionisti (agronomi, veterinari, notai …) che hanno studiato i complessi quadri normativi di riferimento (una giungla burocratica non di facile lettura) per presentare alle consorterie criminali la risoluzione delle criticità e i suggerimenti necessari per il raggiungimento delle erogazioni.L’
operazione Gamma Interferon portata avanti dalla squadra dei vegetariani, ovvero la Polizia di Stato del Commissariato di Sant’Agata Militello a guida dell’ex vice-questore aggiunto Daniele Manganaro, ha svelato, tra l’altro un sistema di collusione (se le attività processuali ancora in corso dovessero confermarlo) che riconduceva a una commercializzazione abusiva di farmaci veterinari, all’omissione di denunce di capi infetti e di controlli di farmaco-vigilanza da pensare a una vera e propria emergenza sanitaria nascosta.
In che misura le agromafie coinvolgono agricoltori e imprenditori e in particolare i ristoratori? Sui Nebrodi (ma non solo) erano pochi soggetti criminali legati al mondo agro-zootecnico a tenere sotto-scacco un’intera area popolata anche da piccole aziende sane, costrette a subire vessazioni o a co-esistere nell’azione illegale relativa alla gestione dei canoni d’affitto. Dai prestanomi familiari alle finte acquisizioni di aziende, dalle firme anomale ai fascicoli aziendali non aggiornati, dagli atipici controlli di profilassi alle strane risoluzioni anticipate dei contratti … una miriade di anomalie che hanno avuto come conseguenza una pioggia di interdittive antimafia. Poi sono scattate le operazioni che hanno messo a nudo parte del sistema: una di queste è l’operazione “Nebrodi” del 15 gennaio 2020. A legare agricoltori e imprenditori alla criminalità, oltre la zona grigia, è stato necessario anche la connivenza di certi CAA, i Centri di Assistenza Agricola, che supportano le imprese agricole nella predisposizione delle richieste di ammissioni ai benefici comunitari.
I ristoratori, che rappresentano uno dei punti d’arrivo della filiera agro-alimentare, risentono ovviamente del condizionamento di un sistema inquinato e controllato. Spesso a soffrire è tutto il settore turistico che, da decenni, fatica a decollare in una delle aree e delle riserve naturalistiche più belle del Mediterraneo. Nonostante gli sforzi di piccoli-grandi imprenditori che hanno raggiunto nel tempo livelli d’eccellenza nel settore della ristorazione e della produzione/commercializzazione dei prodotti, il quadro generale risente sempre delle limitazioni che un sistema marcio presenta. Pare, cioè, non arrivare mai, almeno per questa area, il salto di qualità tanto anelato quanto anche promesso da una classe dirigente spesso non all’altezza. E questa è anche un’altra storia.
Il fenomeno del caporalato è ancora diffuso? I casi di cronaca quotidiana rilevano un fenomeno abbastanza preoccupante connesso a quello migratorio ed evidente in alcune aree del territorio nazionale. E il caso della StraBerry di Milano (se le accuse dovessero essere confermate) dimostra che questo fenomeno si registra a qualsiasi latitudine e oltre ogni sospetto.
Cosa impedisce allo Stato di intervenire in maniera massiccia per debellare questo fenomeno? Risponderei con un’altra domanda che forse può fungere da risposta a questa: cosa impedisce lo Stato di debellare la mafia dopo quasi un secolo di mattanze? Risposta universale: lo Stato colluso.
Sino a quando i sistemi criminali sono garantiti dal sistema politico, dalla connivenza delle mele marce, dall’indifferenza dei più, allora questo Paese resterà un Paese a modernizzazione e civiltà incompiute. Nonostante gli sforzi dei suoi uomini migliori: magistrati e forze dell’ordine. Che pur ci sono.