Movida e quiete notturna: i locali rivendicano il ruolo di “controllo”

La sentenza della Cassazione che a Brescia ha previsto una responsabilità diretta dell’amministrazione comunale preoccupa i gestori, che però evidenziano l’inutilità di un giro di vite. Per questo, sarebbe invece meglio optare per degli interventi equilibrati e collaborativi nei confronti degli stessi locali

10 giugno 2023 | 05:00
di Giambattista Marchetto

A dare fuoco alle polveri è stata una discussa sentenza della Corte di Cassazione, secondo la quale il mancato controllo sugli schiamazzi notturni che portasse danni alla salute per i residenti in zone particolarmente “animate” dalla movida porta dritti ad un risarcimento del danno da parte della pubblica amministrazione, nello specifico da parte dei Comuni. Il caso gestito dalla suprema Corte riguardava dei privati che hanno ottenuto un risarcimento per i danni alla propria vita privata portati dalla cosiddetta “malamovida” e dunque dai rumori notturni incontrollati, ma la sentenza ha subito riacceso le polemiche sulla vita notturna soprattutto nelle città universitarie. Quel che però ha evidenziato la pronuncia giurisprudenziale è allo stesso tempo la non responsabilità dei locali rispetto ai comportamenti nottambuli degli avventori una volta usciti dagli spazi gestiti.

Malamovida, un problema da gestire allineando gli sforzi delle amministrazioni locali

«Il nodo è complesso da un punto di vista degli equilibri nelle città - ammette Luciano Sbraga, direttore del centro studi Fipe-Confcommercio - ma va riconosciuto che questa sentenza ha fatto chiarezza sulla non responsabilità del gestore di un locale notturno rispetto ai comportamenti poco corretti che prendano forma fuori dal locale stesso». Questo non significa che il mondo del fuori casa voglia lavarsene le mani, anzi. «Non intendiamo certo negare il problema - ammette Giancarlo Banchieri di Fiepet-Confesercenti - e se da un lato ci sono persone maleducate che vanno a disturbare il sonno in aree residenziali, dall’altro riteniamo che sia un problema da gestire allineando gli sforzi delle amministrazioni locali, delle forze dell’ordine e di noi gestori che possiamo contribuire a fare educazione. Tutti assieme dobbiamo provare a gestire il problema, perché ovviamente sono cambiati i modelli di divertimento nel corso degli anni, ma non si può pensare di risolvere tutto con un tocco di bacchetta magica».

Movida, i timori di una stretta "inutile"

La preoccupazione, esplicitamente dichiarata, dei rappresentanti dei pubblici esercizi è che le amministrazioni cittadine prendano “la strada più facile” e decidano una stretta sugli orari di chiusura dei locali. «I timori ci sono - rimarca Banchieri - ma in realtà la sentenza di Brescia certifica un fatto: se chiudi i locali un’ora o due ore prima non risolvi il problema, perché i comportamenti peggiori vengono messi in atto fuori e quando i locali sono già chiusi. La chiusura anticipata sarebbe una scorciatoia inefficace, perché è evidente che i clienti non andrebbero a letto prima, ma rimarrebbero in strada». In effetti la sentenza non chiama in causa i gestori dei locali. «Non esiste un rapporto causa-effetto e questo rende chiara l’inutilità di un giro di vite - ribadisce Sbraga - perché si deve partire da un presupposto: le persone non vogliono rimanere in casa. Se si chiudono i locali, non rimangono tra le mura domestiche. E anzi, mentre i pubblici esercizi hanno spazi insonorizzati e dehors dotati di soluzioni per attutire i rumori, nel momento in cui chiudono e la movida si riversa sulla strada senza controllo va solo peggio».

In questo senso i locali notturni «non solo non sono il problema - chiosa - ma sono anzi parte della soluzione». Perché in fondo la malamovida, secondo il referente Fipe, non è attribuibile a chi lavora con professionalità nella somministrazione (controllata), ma piuttosto nell’acquisto indiscriminato di alcolici tra minimarket, take away e distributori automatici. «Nei locali il personale di servizio è in grado di controllare l’approccio all’alcol - conclude Sbraga - mentre quando manca la figura di riferimento si perde il controllo». E a quel punto diventa una questione di ordine pubblico.

Movida, l'equilibrio tra lavoro e quiete

Le voci dei gestori confermano questo approccio. «Sono assolutamente d'accordo con la legge - rivendica Lorenzo Murray proprietario di Classico, che ha un locale anche nell’animata Corso Como a Milano - perché il disturbo da movida viene da coloro che infrangono le regole servendo da bere per le strade e non solo al tavolo, come è consentito. In tanti anni di ristorazione nessuno mai si è lamentato e noi facciamo anche serate karaoke e con musica dal vivo». «Partiamo dal presupposto che si deve convivere con una certa armonia e rispettandosi - osserva Faramarz Poosty, general manager del Locale a Firenze - e indubbiamente se ci sono zone o quartieri che diventano luoghi di ritrovo per i giovani la situazione si anima. La presenza di locali crea movimento. Tutto sommato però si tratta di tenere sotto controllo l’impatto di una vita fuori casa che non crea disturbo a priori. Non può essere però il gestore di un locale a intervenire, perché noi siamo responsabili all’interno del nostro spazio, mentre non abbiamo competenza fuori».

Da Milano a un piccolo borgo, la linea è la stessa. «È sempre stato un problema far convivere la necessità di lavorare nelle ore piccole e il legittimo diritto al silenzio dei residenti - osserva Emiliano Baroldi della Vineria Baroldi a Mori (Tn) - e ci deve essere un passo in avanti da parte di entrambe le ‘fazioni’. Dalla parte del locale provvedendo ad una insonorizzazione interna e a una educazione dei clienti rumorosi, dall’altra parte ci deve esser la consapevolezza di permettere al gestore di lavorare serenamente almeno fino all’orario concordato, perché avere le forze dell’ordine costrette a intervenire alle 21 per schiamazzi mi sembra eccessivo».

Il tema è delicato e uno spunto viene dal confronto con altre città europee, dove ci sono organi preposti - come la cosiddetta “polizia del silenzio” a Barcellona, suggerisce Poosty da Firenze - che possono avere un’azione di dissuasione senza esser per forza repressivi, garantendo peraltro anche una certa sicurezza.

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Alberto Lupini


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