In questo 2023 di cui abbiamo superato la poco la metà è stato, ed è tuttora, uno dei trending topic principali: il novel food. Gli alimenti a base di insetti e la carne coltivata su tutti hanno fatto discutere molto (non solo a livello italiano), negli ultimi mesi. Qualche anticipazione c’era stata già a fine 2022, poi l’anno di fatto si è aperto, ed è proseguito, all’insegna di una battaglia del Governo contro i cosiddetti “cibi del futuro”. A supporto di una difesa della tradizione gastronomica nostrana che, in fondo, ci sa tanto di mero populismo. Non tanto per l'ideale in sé, di cui comunque si può discutere, quanto per i toni utilizzati. Parlando fin troppo spesso per termini assoluti, come se una cosa (la novità) dovesse necessariamente escludere l’altra (la tradizione).
Fatto sta: se da una parte i cibi a base di insetto (ottenuti per lo più da polveri di grillo, locusta e larve della farina) stanno timidamente facendo capolino nei primi supermercati e panetterie, quello della carne coltivata da noi è un mercato troncato sul nascere per via del provvedimento del Governo a divieto di produzione, importazione e commercializzazione di ogni prodotto di questo genere. Il tutto mentre in Olanda stanno continuando studi e sperimentazioni, negli Stati Uniti hanno già iniziato la vendita in alcuni store della California, così come a Singapore.
In Italia i più sembrano essere attanagliati da un timore comune: quello di veder “tradita” la tradizione gastronomica nostrana a favore di cibi nuovi, i quali soprattutto per la multiculturalità arrivano a interessare pur la nostra identità. La nostra quotidianità. Una fobia (tutta italiana? Tutta Europea?) resa populismo dai vertici politici e dalle grandi associazioni di categoria, per raccogliere quanto più sostegno e consenso possibile tra le masse. Eppure, a ben vedere, non pare niente di nuovo, ma è come se la storia si ripetesse.
Novel food: quando gli insetti erano pomodori e patate
Quella stessa storia di cui, 500 anni fa, fu protagonista il pomodoro. Arrivato in Europa dalle Americhe dopo l’apertura delle prime rotte commerciali tra i due Continenti, l’ortaggio per quasi 200 anni venne considerato velenoso (in quanto qualcuno ne mangiò le foglie, in grosse quantità sì tossiche) influenzando la percezione comune che si ebbe del nuovo arrivato. Al punto che per lungo tempo la pianta venne usata solamente a fini ornamentali.
Vittima di pregiudizi fu anche la patata, così come il cacao, solo per fare un altro paio di esempi. A distanza di qualche secolo, si tratta (chi più chi meno) di alimenti centrali della nostra alimentazione. Addirittura il pomodoro è tra i simboli della dieta mediterranea. La storia si ripete? Con le dovute differenze sì, siamo di fronte a una sorta di deja vù culturale, sociale a alimentare, di cui però in pochi hanno consapevolezza. Lo spiega anche Alberto Grandi, professore dell’Università di Parma che Insegna Storia delle imprese, Storia dell'integrazione europea e autore di libri. L’ultimo dei quali, “Storia delle nostre paure alimentari” più attuale che mai, sulle fobie alimentari del passato e di come queste abbiano influenzato la società dalla quale tali timori sono nati e si sono poi sviluppati.
Novel food, Alberto Grandi: «Timori? Alimentati da Governo e Coldiretti»
Timori un tempo, consuetudini oggi. Abbiamo parlato con Alberto del tema novel food (che, nella storia, ci sono sempre stati), e di quante analogie ci siano tra ciò che è stato e ciò che è ora.
Professore, recentemente ha scritto un libro su come le paure alimentari in passato abbiano caratterizzato la società. Vede delle analogie tra ciò che è stato e ciò che è oggi?
«L’analogia è l’elemento di continuità. I cibi nuovi creano sempre diffidenza, sia siano nuovi perché magari figli di un’invenzione recente, vedi carne coltivata, sia perché arrivino da lontano, vedi gli insetti. Questo è il filo conduttore della questione e niente è cambiato rispetto al passato. E parlando nello specifico dell’Italia, è difficile introdurre un alimento nuovo nella nostra tradizione. C’è però anche l’effetto opposto: i cibi nuovi creano attrazione in quanto novità, ma ciò lo vediamo quasi esclusivamente nelle nuove generazioni».
È più una diffidenza di stampo culturale, sociale o prettamente gastronomica?
«È sia culturale sia sociale, e ciò va ad influenzare la tradizione gastronomica. Secondo me il caso paradigmatico è quello degli insetti. Non è che non li mangiamo perché ci fanno schifo, ma ci fanno schifo perché non li mangiamo. Noi pur non sapendolo ci cibiamo anche di cose peggiori ma la diffidenza è sempre questa: se un cibo non fa parte del nostro panorama gastronomico allora lo evitiamo a prescindere, ci fa paura, lo consideriamo inaccettabile. Poi, e ce lo insegna la storia, piano piano lo accetteremo. È successo anche per il pomodoro e la patata, anche i prodotti derivati dagli insetti prima o poi faranno parte della nostra quotidianità. La speranza sono le giovani generazioni, decisamene più aperte, curiose e “tolleranti” rispetto a quelle precedenti».
La politica quanto influenza l’opinione popolare in tal senso, e quanto l'opinione popolare influenza la politica?
«Sono convinto che questo Governo stia volutamente costruendo una narrazione basata su 3 asset principali: cibo, casa e automobile. Sta passando l’immagine di come l'attuale maggioranza stia difendendo il Paese da quella che viene presentata come un’aggressione esterna, da parte dell’Europa, dalla quale è necessario difendersi. Per quanto riguarda il cibo è forte anche l’influenza di Coldiretti, e non capisco perché i Governi italiani, non solo questo ma anche quello precedente, si debbano allineare sulla posizione della Coldiretti. Sicuramente poi politica e opinione popolare si sostengono a vicenda: la politica spinge molto su questi temi, sulla tradizione, e dall’altro lato l’opinione pubblica alimenta le scelte politiche. Per l’italiano medio la nostra cucina è l’ultimo baluardo identitario rimasto, e in quanto tale va difeso. Quindi è facile per il Governo cavalcare il tema. È però anche molto pericoloso: con la legge sulla carne coltivata ci stiamo dando la zappa sui piedi, privandoci di un possibile mercato che invece all’estero, tra Stati Uniti, Singapore e Olanda, si sta sviluppando. Non è però una cosa della destra, è trasversale. Diciamo che puntare sul populismo è come fare un gol a porta vuota».
Pensa che tra magari 500 anni insetti e derivati potranno esser considerati come oggi consideriamo il pomodoro?
«Ne sono certo, per quanto del futuro nessuno può parlare con sicurezza. Se dovessi rispondere da storico però direi di sì. Forse non saranno proprio gli insetti, magari nel frattempo cambieranno alcune cose, ma è evidente che tra qualche secolo mangeremo cose differenti da quelle di oggi. E verranno considerate tradizione. È la storia a testimoniarcelo. Mi sono anche fatto l’idea, da onnivoro, che stia anche avvenendo uno spostamento sempre più forte verso una dieta vegana, perché in non pochi casi reputo il loro regime alimentare più sostenibile ed efficiente per quanto riguarda l’utilizzo delle risorse. Si dovrà comunque andare verso un mix in cui la carne coltivata sia la base dell’apporto proteico, e contestualmente verrà liberata quella parte di terreni oggi destinati al foraggio e cibo animale a favore delle coltivazioni per l’uomo. Vedo questa soluzione intermedia, con una tendenza verso il veg. Il futuro dell’uomo sarà mix di nuove tecnologie e trasformazione dei consumi: è evidente però che il modello attuale, e quello propugnato da Coldiretti e Governo, a fronte di 9-10 miliardi di persone in tutto il mondo, non è e non sarà più sostenibile. Credo sia palese come bisognerà fare qualcosa di diverso da ciò che stiamo facendo ora».
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Alberto Lupini
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