Ristoranti, per la Michelin conta di più l'etica “green” che l'ambiente di lavoro

Nel mondo della ristorazione, di qualsiasi livello, i tempi correnti inducono, quasi costringono, a prestare attenzione non solo a tematiche green, ma anche legate alle condizioni occupazionali di chi lavora in cucina . Non sarebbe ora, da parte delle guide di settore, di attualizzarsi maggiormente, dando un segnale di attenzione verso questi temi?

14 dicembre 2023 | 05:00
di Alessandro Creta

«Questa tendenza della gastronomia sostenibile riguarda l'ambiente ma anche persone … Abbiamo deciso che la cosa migliore da fare era dire ad alta voce: per noi (violenza e abusi in cucina, ndr) sono cose assolutamente vietate, qualcosa che appartiene a un'altra epoca e non può più esistere… Siamo in un paese di leggi e la giustizia non è una parolina da noi. Funziona in un percorso equo e noi non siamo giudici, non possiamo verificare - per esempio - le affermazioni contrastanti tra un capo cuoco e un dipendente, ascoltare l'uno e poi l'altro e decidere chi ha ragione». Così parlava, intervistata dal Gambero Rosso, Elisabeth Boucher-Anselin, direttrice della comunicazione mondiale per le attività gastronomiche e turistiche della guida Michelin.

Guida Michelin: vale ancora "contare" solo la cucina?

Parole che stonano, o comunque fanno un po’ storcere il naso, in un’epoca in cui si parla di sostenibilità sì ambientale (e i tempi correnti lo richiedono, quasi impongono, considerando la crisi climatica che, solo pochi mesi, fa ci ha portato a un’estate torrida come poche, con conseguenze negative sull’agricoltura che paghiamo oggi e pagheremo anche nei prossimi mesi), ma anche relativa alle condizioni lavorative all’interno delle cucine (ma dei posti di lavoro in generale, aggiungiamo).

E allora lanciamo la provocazione: possibile che la guida di gastronomia più famosa, importante e influente al mondo valuti più importante il no waste, l’utilizzo dei vegetali, l’avere una proposta gastronomica basata sull’orto e sul riciclo delle materie prime (tutte cose, specifichiamo, importanti e significative in un’ottica “green”), più dello stato (fisico, mentale, psicologico) e delle condizioni lavorative di chi, quella cucina, la rende e crea materialmente? Possibile che il risultato finale, i metodi di lavorazione e gli ingredienti abbiano maggiore rilevanza, tanto da avere un premio apposito come la Stella Verde, rispetto a chi quei prodotti li lavora? Possibile, insomma, che al giorno d’oggi rimanga la mera “cucina” al centro dell’attenzione e delle valutazioni, lasciando indietro chi la cucina in questione la crea?

Guida Michelin, l'ambiente è importante. Ma anche le persone

Specifichiamo: non siamo contrari all’attenzione legata alla sostenibilità ambientale, tutt’altro. I tempi correnti inducono, quasi costringono, a spostare i riflettori anche su tematiche green, Riciclo, riuso degli ingredienti, politica no waste, chilometro zero o, ancor meglio, autoproduzione di vegetali e carni sono alla base di una cucina etica, sostenibile.

Come detto i tempi correnti lo richiedono (per quanto non possa essere la cucina a salvare il mondo, ma può dare il suo piccolo contributo come ognuno di noi, nel suo piccolo), ma allo stesso tempo i tempi correnti richiedono anche una costante (e maggiore) attenzione verso le condizioni lavorative di chi in cucina opera e in circostanze nemmeno così rare viene sfruttato (e in non pochi casi ci “vive”, considerando come là dentro possa passarci 10, 12, anche 14 ore della giornata, spesso con turni estenuanti e in parte pagato anche a nero?). Altrimenti il tema della sostenibilità rimarrebbe solo fine a sé stesso.

Le guide di cucina dovrebbero considerare anche l'aspetto umano e lavorativo?

Non sarebbe ora, in qualche modo, di riuscire a tenere in conto (nel giudizio complessivo, o con uno a parte) anche delle risorse e della loro condizione umana? Da questo punto di vista è auspicabile un cambio di rotta, un’evoluzione, della Michelin stessa, così come delle altre guide gastronomiche? Giustamente, obietterebbe qualcuno, le guide in questione valutano la cucina e la sua resa qualitativa, e non possono (riescono?) ovviamente a considerare ciò che invece in una cucina accade. E cosa accade, allora, nella cucina? In fin troppi casi, ma qui parliamo di ogni livello di ristorazione, turni sfiancanti, sfruttamento, lavoro in nero, contratti spesso inesistenti o fittizi, tutele che sono solamente un miraggio. Traslasciando chi ancora, ma fortunatamente sempre di meno, crea un'atmosfera lavorativa "militaresca", retaggio di un mondo che pare appartenere ormai al passato.

La Michelin, e le sue colleghe, non possono certo entrare in cucina per valutare tutto ciò, ma nel caso in cui ci fossero anche delle avvisaglie di tali elementi, non sarebbe utile sospendere il giudizio, in attesa di verifiche e accertamenti di chi di competenza? E nel caso in cui tutto ciò, o una parte di ciò, dovesse essere accertato, allora la Michelin (e le altre guide) potrebbe non solamente prendere posizione, ma anche regolarsi di conseguenza annullando, perché no, l’eventuale valutazione.

Perché ok la qualità della cucina, ma oggi sembra indispensabile che il giudizio non rimanga limitato a ciò che si trova nel piatto, se dietro a quel piatto memorabile, quel filetto così succoso, quel dessert così ghiotto (sì, la Michelin ha dedicato un premio anche ai dolci) c’è una persona sfruttata, un lavoratore le cui tutele e diritti non sono rispettati. Alla luce di ciò rimarrebbe il giudizio positivo legato a una ricetta, a un’esperienza completa, qualora si venisse a sapere che nel dietro le quinte non vengono osservati, rispettati, i diritti lavorativi fondamentali? Non vengono rispettate, in buona sostanza, le persone. Una guida più etica insomma, che parli di sostenibilità e rispetto non solo verso l’ambiente ma in primis verso le persone, non sarebbe una guida più “giusta” e morale?

Via le stelle a chi si macchia di abusi in cucina: nel 2021 la petizione 

Non abbiamo scoperto, o svelato, niente di nuovo dopotutto. Già nel 2021 si parlava di qualcosa di analogo, se non identico, quando fece il giro del web una petizione, lanciata da un gruppo di cuochi britannici, che raccoglieva firme per invitare la Michelin a togliere le stelle ai ristoranti "macchiati" da casi di abusi. Nell'occasione l'iniziativa nacque da un caso di cronaca avvenuto in un ristorante di Tom Kitchin, 44 anni, star chef del Regno Unito. In uno dei suoi due locali a Edimburgo, lo stellato "The Kitchin", due chef senior vennero sospesi perché accusati, da alcuni ex dipendenti, di aver creato un clima di lavoro «tossico e violento». Uno avrebbe bruciato l’avambraccio di un cuoco con una teglia appena uscita dal forno, l’altro avrebbe lanciato piatti a terra e spaventato i sottoposti in continuazione. 

«Le recenti accuse di abusi presso il ristorante dello chef stellato Michelin Tom Kitchin - recitava il testo della petizione - hanno evidenziato i gravi problemi spesso subiti negli hotel, pub e ristoranti britannici, molti dei quali molto noti e famosi. Questo comportamento spaventoso di abuso sistematico, glorificato da alcuni cosiddetti “chef famosi” e da molti altri professionisti, è vile e degradante e non trova posto in un ambiente di lavoro moderno. È giunto il momento per i marchi globali come Michelin di denunciare questi chef che presentano un'immagine sana al pubblico ma che abusano sistematicamente e gestiscono le loro cucine "tribali" con tutte le tecniche di gestione di una banda di delinquenti di strada. Le persone nel settore dell'ospitalità sono ben consapevoli di tutti i problemi ma sono riluttanti a criticare, ma ora crediamo che tutte le sponsorizzazioni e i riconoscimenti assegnati a nome di un marchio dovrebbero essere revocati in caso di provata prova di abuso».

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Alberto Lupini


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