Senza stelle, ma con i ristoranti pieni: i segreti del successo di Langosteria

Intervista ad Enrico Buonocore, che nel 2007 ha dato vita a un nuovo modello di fine dining diventato oggi una realtà con sette ristoranti e con ricavi che si aggirano attorno ai 40 milioni di euro . Una vera e propria mosca bianca nel contesto dell'alta ristorazione, che in molti casi, anche stellati, fatica invece a sostenersi e a crescere

17 novembre 2023 | 07:00
di Gianluca Pirovano

«Ho aperto il secondo ristorante perché il primo era sempre pieno. E così via...». A dircelo non è uno qualunque, ma Enrico Buonocore, l'imprenditore che nel 2007 ha dato vita a Langosteria, una realtà partita da un locale in via Savona, a Milano, e che oggi può contare su sette ristoranti (diventeranno otto con l'apertura a Londra il prossimo anno). Nel 2022 ha fatto registrare ricavi per quasi 40 milioni di euro. Una vera e propria mosca bianca nel mondo dell'alta ristorazione che sta attraversando un generale periodo di grande crisi. Qui, pur senza stelle, si continua invece a crescere e a raccogliere successi, non soltanto dal punto di vista economico, ma soprattutto dal punto di vista dei consensi. Langosteria, a sedici anni dalla sua nascita, è diventata per molti sinonimo di eleganza e qualità del prodotto, ma non solo. Ha sviluppato una riconoscibilità assoluta. Merito di una comunicazione d'impatto e di location di altissimo livello. Uno stile chic, che non diventa però freddo. Un'eleganza "informale", che è in fondo eleganza vera ed è anche estremamente riproducibile. Fa quasi sorridere, quindi, sentire le parole di Enrico su come tutto sia nato. Fa sorridere, ma anche pensare a quanto, alle volte, basti un'idea chiara per sostenere un intero progetto e trasformarlo nel gruppo più ricco della ristorazione italiana. Langosteria, stando ai dati dell'Ufficio Studi Pambianco, registra ricavi come nessun altro in Italia e con ogni probabilità crescerà ancora. Si parla, infatti, di 56 milioni di euro nel 2023, rispetto ai circa 40 di cui abbiamo parlato in precedenza.

Langosteria, un'eccezione nell'alta ristorazione

Con Enrico Buonocore, allora, abbiamo provato a capire dove si nasconda la forza di Langosteria e come sia nato questo mondo che tanto sembra piacere in Italia, ma non solo.

In un contesto in cui la crisi del fine dining sembra inarrestabile, Langosteria rappresenta un’eccezione, per crescita e successo. Qual è il motivo? In cosa si differenzia da un fine dining tradizionale?
Langosteria continua a crescere e a migliorarsi continuamente, grazie ai nuovi progetti che affrontiamo senza sosta. Per sostenere questa crescita abbiamo creato un sistema organizzativo efficace e sostenibile che ci permette di focalizzare costantemente la nostra attenzione sui bisogni dei nostri clienti, offrendo un modo di mangiare molto riconoscibile, che i clienti affezionati possono scegliere anche più volte in una settimana, senza timore. Inoltre l’energia e il ritmo che si respirano nei ristoranti Langosteria rendono l’esperienza indimenticabile.

Dal 2007, anno di nascita di Langosteria, sono passati parecchi anni. Come è cambiata Langosteria e in cosa, invece, è rimasta uguale? E come si arriva partendo da un locale a Milano a creare un gruppo in grado di essere tra i punti di riferimento dell’alta ristorazione?
L’azienda è cambiata moltissimo, cresciuta e organizzata in maniera manageriale rispetto al 2007 per far fronte a sfide sempre più complesse in mercati anche molto differenti.Quello che è rimasto uguale è lo spirito con cui affrontiamo ogni servizio, mettendo sempre il cliente al centro della nostra attenzione e portando a tavola solo il meglio, frutto di ricerca continua ed incessante nonché di un’esecuzione sempre attenta e coerente.

Il turnover molto basso del personale è un’altra contro tendenza di Langosteria.Quali sono i motivi? Come si spiega la carenza di personale nella ristorazione?
Abbiamo imparato in questi anni, anche dalle nostre esperienze internazionali, che è fondamentale nella gestione delle risorse umane dare il giusto peso all’equilibrio tra vita lavorativa e vita privata. A volte non sono sufficienti un salario attrattivo e un’organizzazione strutturata, c’è bisogno di un clima familiare che sia fertile e rassicurante. Questo ci viene spesso riconosciuto anche dai nostri clienti.

Tra le forze di Langosteria ci sono l’internazionalità e la forza del brand, che ha un’identità molto riconoscibile. Come avete costruito un modello così versatile e in grado di essere replicato anche all’estero?
L’esercizio più difficile è sempre quello di scalare restando fedeli alle proprie origini. È fondamentale scegliere location che possono dare espressione alla marca, andando nei luoghi dove l’esperienza ha valore. Si cresce facendo cose nuove senza perdere mai l’attenzione al dettaglio e la tensione all’eccellenza che caratterizzano il nostro brand.

Quali sono le differenze che ha notato tra il mercato italiano e il mercato estero? Ci sono accorgimenti particolari o proposte differenti che mettete in campo per i ristoranti fuori dall’Italia?
In ogni nostra impresa cerchiamo di riproporre sempre gli ingredienti che hanno fatto il successo di Langosteria. A Parigi ad esempio c’è una clientela molto preparata, amante della buona tavola e del buon bere. Il nostro successo è stato frutto di un’idea chiara e coerente che abbiamo replicato in quella città senza concedere deroghe ai nostri credo culinari.

Quando è nata Langosteria aveva già in testa una sviluppo di questo genere o inizialmente non era questa l’idea di business? In cosa può ancora crescere il gruppo?
Assolutamente no! Ho aperto il secondo ristorante perché il primo era sempre pieno, e così via. La progettualità strutturata è arrivata negli ultimi 5 anni e con Parigi il sogno è diventato un progetto molto concreto. Cresceremo ancora su nuovi mercati e nella capacità di trasformare il nostro pubblico affezionato in una community di livello globale.

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