Squadra che vince non si cambia: uno prende la stella verde Michelin, data ai ristoratori che si distinguono per attenzione e rispetto all’ambiente, e si mette tranquillo. Godiamoci questo momento. Non è proprio il caso di Mirko Gatti, chef di un ristorante da venti coperti a San Fermo della Battaglia (Co): ottenuto il riconoscimento a novembre, ad aprile già si proietta in avanti grazie a un astuto renaming/rebranding/re-qualcosa, come è uso dire nella buffa neolingua che infetta il marketing. E quindi da “Radici” passiamo alla nuova denominazione “Àbitat”, non un semplice ristorante ma una specie di ecosistema, in cui si possano approfondire le tematiche che hanno caratterizzato il locale negli ultimi anni: cucina circolare, spreco zero, territori da valorizzare, natura e poi le 3 F - fuoco, foraging, fermentazioni. Un progetto complesso che si articola in tre direzioni: Àbitat Restaurant, Àbitat Culture Hub e Àbitat Lab.
La sala di Àbitat
Il nuovo format culinario di Àbitat
Quanto all’offerta ristorativa, sin dai primi passi di “Radici” le proposte erano tre: la carta, il menu Habitat e il menu degustazione Native. Il nuovo format lascia inalterati i tre percorsi dedicati rispettivamente agli Habitat Foresta, Mare e Lago, delimitati in un arco di tempo ristretto per raccontare al meglio un determinato ecosistema nella sua migliore stagione, attraverso materie prime inusuali e in eccesso/invasive, oltre che territoriali. Cambia invece il menu degustazione Native, oggi un mix tra piatti più semplici e portate più “spinte”, sempre connotate dall’uso di fermentazioni, cotture a fiamma viva e materie prime in esubero in natura; domani, un vero e proprio itinerario alla scoperta dell'incredibile mondo della cucina circolare a spreco zero.
Àbitat ha soli 20 coperti
Cosa si mangia da Àbitat
Noi, proprio in apertura, abbiamo affrontato il sashimi di pecora e aglio orsino preservato, tanto per tagliare subito i ponti agli equivoci su naturismo e veganesimo: da Àbitat Restaurant si mangia di tutto, fatevene una ragione, anche se vegani e vegetariani possono costruirsi ad hoc la loro esperienza attingendo dal menu. Ha fatto seguito il brodetto di sambuco e funghi, bello sapido, con rapa grigliata, orecchie di Giuda e germogli di bambù; un intermezzo acidulo e fresco a base di asparago croccante fermentato alla rosa canina; il piatto forte, ovvero la pancia di cinghiale fermentata con aglio nero e koji di orzo, grigliata su carbone e laccata con miso di piselli gialli - non so se a qualcuno verrà in mente di chiedere la ricetta e rifarsela a casa, ma di certo ne vale la pena; e perfino chi non ama le frattaglie potrà apprezzare la delicatezza e la singolare consistenza delle animelle cotte a fuoco vivo su legno di larice, laccate con miso d’orzo.
Sashimi di pecora e aglio orsino di Àbitat
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Pancia di cinghiale fermentata con aglio nero e koji di orzo di Àbitat
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Animelle cotte a fuoco vivo laccate con miso d’orzo di Àbitat
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Ad accompagnare il tutto, su consiglio della maître Sara Pau, una selezione di kombucha, il celebre té orientale fermentato, che non può dare le stesse sensazioni delle bevande alcoliche ma di sicuro apre nuovi orizzonti. Le varianti alla rosa canina e allo zafferano e polline, oltre agli infusi di erbe e fiori selvatici, ci hanno svegliato i sensi, notificandoci che quello del vino è un mondo straordinario, ma al di là c’è un altro mondo: guai a scordarselo!
Arriva Àbitat Culture Hub
Proseguendo con le novità, Àbitat Culture Hub è lo spazio dove Mirko Gatti si fa docente e divulgatore della cucina sostenibile e anti-spreco. La raccolta di erbe spontanee, l’approvvigionarsi direttamente da ciò che la natura offre, il rendere queste materie prime protagoniste del menu sta alla base dei Foraging Day, giornate organizzate a cadenza regolare durante le quali chi lo desideri può, con la guida dello chef, esplorare la natura selvaggia alla scoperta di cibi spesso dimenticati.
Il foraging secondo Àbitat
«Il foraging - puntualizza Mirko Gatti - è un’attività che richiede una preparazione seria, perché ovviamente non tutto si può raccogliere in qualunque stagione. Bisogna fare delle scelte e documentarsi per bene prima di tagliare, scavare e strappare: a volte facendo attenzione a non togliere la radici, a volte aiutando la pianta a produrre di più perché la liberi al momento giusto dei boccioli. Negli ultimi tempi stiamo lavorando molto sulle specie aliene e invasive, che in ambito vegetale rappresentano una sfida simile a quella che il famigerato granchio blu, ovvero il gambero della Louisiana, pongono in campo faunistico. Prendiamo ad esempio questo Poligono del Giappone, che viene dall’Oriente e si diffonde con grandissima facilità: è un tipo di rabarbaro selvatico, presente ormai in tutta Europa, in grado di penetrare dappertutto facendo danni notevoli non tanto all’ecosistema in sé quanto alle opere edilizie, all’asfalto, alle piastrelle, ai muri di mattoni: oltre ad essere inarrestabile, è quasi inestirpabile grazie alle radici che scendono fino a otto metri. A fine Febbraio produce dei germogli, somiglianti ad asparagi bianchi, e come tali si cucinano: quando cresce la pianta, fino a diventare un arbusto, i rametti giovani e teneri, croccanti e aciduli, si possono fare a rondelle per guarnire una tartare o del pesce marinato. Ma si possono usare anche le foglie più tenere, da friggere in pastella. Su questo pendio, più in basso, potete vedere il Topinambour selvatico, che non troverete mai in fondo al bosco o in un alpeggio, ma piuttosto vicino a un casolare abbandonato o al margine di una strada di collina. Il gusto è quello classico, carciofoso, più intenso di quello che si porta a casa dal supermercato: a novembre in genere vengo qui e scavo per estrarre il tubero dal terreno. Si usano pure le foglie, che sanno anch’esse di carciofo, arricchito da una nota vegetale/minerale più intensa, quella che è comune negli spinaci, tanto per intenderci. Ecco poi la pianta del Nasturzio: utilizziamo il gambo, per le sue note speziate e piccanti, che ricordano la senape, ed una volta sfiorito il fiore vengono fuori i semi, che facciamo fermentare come se fossero capperi».
Lo chef di Àbitat, Mirko Gatti, e il Poligono del Giappone
Grazie all’esperienza di Mirko Gatti, in meno di un’oretta e mezzo di foraging ne abbiamo messe di erbette in canestro, assaggiandole dal vivo quasi tutte: ricordiamo ancora i germogli croccanti della Felce Matteuccia e i suoi toni di sottobosco; il Tarassaco di colore giallino, da sfruttare in toto, dal fiore al cappero, dalla foglia alla radice; la Cicuta, che va lasciata là dov’è ad evitare di fare una strage; l’Alliaria, che rivela il suo aroma pungente quando ne prendi in mano una foglia e la strofini; e sempre ai bordi della strada l’Acetosa, di grande freschezza, acidula e limonina. Un panorama amplissimo e affascinante, e manca lo spazio per descrivervi il Crespino amarognolo, l’Artemisia per le infusioni in alcol, la Senape selvatica, l’Iperico speziato, l’Olmaria mielata per la pasticceria… una breve passeggiata mette a disposizione tutto questo verde supermercato a costo zero, basta sapere dove mettere le mani.
Che cosa è Àbitat Lab
E dopo la raccolta, lo smercio, per chiudere il ciclo: grazie al terzo progetto, Àbitat Lab, la stella verde Michelin andrà a posarsi anche su un laboratorio di produzione di infusi, bevande fermentate e succhi, frutto del lavoro quotidiano su foraging e fermentazioni, che saranno a disposizione degli ospiti.
Lo chef di Àbitat, Mirko Gatti e le sue preziose fermentazioni
Un proposito ambizioso, che prenderà vita non prima del prossimo anno, ma che punta a trasformare una filosofia in cucina in una filosofia di pensiero, condivisibile con il maggior numero possibile di gente che ci crede: che un mondo più verde e sostenibile, a partire da quello che portiamo in tavola, sia possibile.
Àbitat
Via Henry Dunant 1 - 22042 San Fermo della Battaglia (Co)
Tel 349 068 3973