Dai locali all'ultimo grido alle tradizionali osterie, passando per i wine e i cocktail bar. Tutte le tipologie di attività che operano nel campo della ristorazione sono tenute a tenere nella giusta considerazione il cosiddetto beverage. Lo sa bene Giacomo Pini, consulente, esperto di marketing della ristorazione e fondatore di GpStudios. L'autore dei fortunati volumi "Risto Boom. Crea il successo del tuo locale", "L'Arte del Breakfast" e "Il marketing territoriale dell'Italia che non ti aspetti. Come vendere i luoghi magici fuori dai circuiti turistici commerciali" spiega come investire efficacemente nel beverage portando immediati benefici ai ricavi.
Il ruolo del beverage nella ristorazione
Per il fondatore di GpStudios il ruolo del beverage varia rispetto alla tipologia del locale.
«In alcune tipologie di pubblici esercizi come i cocktail bar, ad esempio, il beverage rappresenta il cuore dell’offerta, e grande rilevanza può assumerla ovviamente anche nelle caffetterie. Tuttavia, anche in altri format il beverage costituisce un elemento molto importante: si pensi alla proposta di birre artigianali in pizzeria o alla carta vini, caffè e liquori che in un ristorante tradizionale può far aumentare le vendite dal 15% al 30%».
L'“effetto benefico” di bevande e spirits sullo scontrino
Per Pini il beverage può decisamente contribuire innanzitutto ad aumentare il livello quantitativo dello scontrino medio. «Dopodiché a livello più emozionale, esperienziale e qualitativo, può diventare una leva per arricchire l’esperienza del cliente, amplificandone l’approccio sensoriale e influenzando il percepito finale», ha spiegato l'esperto di marketing della ristorazione.
Bevande e spirits al ristorante: come si vendono sul menu
Ma, come è concretamente possibile vendere al meglio la proposta di beverage di un locale tramite la sua carta?
«La vera domanda è: perché i clienti dovrebbero chiedere una bottiglia del miglior vino anziché la solita etichetta che trovano anche al supermercato? - ha ripreso Giacomo Pini - Certamente, oggi siamo di fronte a un pubblico che inizia a essere più acculturato rispetto a ciò che beve, più interessato a provare novità. E questo alza l’asticella per i ristoratori, che dovrebbero puntare tutto sulla ricerca di etichette locali, che premiano territorialità e sostenibilità. Tuttavia, il cliente deve essere guidato nella sua scelta soprattutto se è lui per primo a richiedere un consiglio per decidere quale bevanda abbinare al proprio piatto, e in questo senso il personale di sala e la carta cocktail o la carta vini la fanno da padroni. Lo scopo è di proporre qualcosa di coinvolgente per l’ospite, che, dopo un periodo di instabilità socio-economica e politica che ha modificato la sua capacità di spesa, oggi è molto più attento al ritorno emozionale e istruttivo dell’esperienza che decide di acquistare. Se proposto nel modo corretto, sfruttando magari tecniche di vendita suggerita, il beverage rappresenta una vera e propria opportunità per aumentare lo scontrino medio totale per ciascun cliente».
Bevande e spirits al ristroante: come si determina il pezzo di vendita
Secondo il fondatore di GpStudios «il prezzo per il beverage da inserire in carta deve essere determinato alla stessa stregua con cui si determinano i prezzi di tutte le portate di un menu con proposta food - ha ripreso Pini - Innanzitutto, bisogna valutare i costi, e in questo caso specifico parliamo di beverage cost. Così come il food cost, il beverage cost tiene in considerazione tutti gli ingredienti utilizzati per creare miscele, bevande e drink. Per calcolarlo è importante prestare attenzione ai dosaggi, che devono essere super precisi, così come ovviamente al prezzo d’acquisto per ogni ingrediente e di tutti gli altri componenti, compresi ghiaccio e garnish (termine anglofono che definisce la guarnizione per i cocktail, ndr). Poi, per determinare il prezzo finale di vendita, bisogna valutare tipologia di format, concorrenza, livello e stato della domanda, obiettivi d’impresa, posizionamento».
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Per Pini per i ristoratori, in ambito di food and beverage è arrivato il tempo di osare.
«I consumatori stanno diventando più avventurosi con i loro gusti e cercano nuove innovazioni sulle bevande tradizionali - ha ripreso l'esperto di marketing della ristorazione - Non a caso da un paio di anni a questa parte hanno spopolato i twist sui grandi classici, ed è nato un profondo interesse per gli specialty coffee e gli speciality drinks, oltre che per analcolici, mocktails (abbreviazione inglese delle parole “mock” e “cocktail” che significa “finti cocktail) e ready to drink. Per i bar e le caffetterie il consiglio è di cercare una specializzazione, magari su un’offerta più particolare che possa attirare nuovi clienti soprattutto tra le generazioni più giovani, se il modello di business lo permette, puntando tanto sull’aspetto visivo quanto sul contenuto che deve essere autentico e di qualità. I cocktail bar, invece, dovrebbero cavalcar l’onda dei classici dal twist unico e proporre declinazioni dei cocktail più in voga, magari utilizzando ingredienti stagionali nelle preparazioni per variare più spesso la proposta e cercando di convincere così i clienti, anche i più fedeli, a tornare più volte e in compagnia di un gruppo sempre nuovo, sfruttando così il potenziale del passaparola positivo. Rendersi gli specialisti del beverage può anche dare autorità nello sfruttare lo storytelling per creare più mistero e conoscenza intorno a ogni singolo cocktail, avvicinando così anche i meno esperti in fatto di drinks. Infine, ai ristoranti consiglio di fare tanta ricerca per costruire una carta vini e liquori all’altezza del menu e delle aspettative della clientela, sfruttando le tecniche del menu engineering e di pricing strategico per ottenere risultati certi».
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Alberto Lupini
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