Ferran Adrià: il fine dining è vivo, ma i giovani chef non sognano più le stelle

Per il genio catalano, oggi molti giovani preferiscono creare ristoranti accoglienti e vivere la loro passione, piuttosto che inseguire le stelle. L'alta cucina ha cambiato il comparto, ma non è più l'obiettivo di tutti

22 febbraio 2025 | 17:14

Cosa cercano davvero i giovani chef oggi? A quanto pare, non più l'élite dell'alta cucina, ma piuttosto un ristorante accogliente, in cui vivere la propria passione senza rincorrere stelle Michelin. Questo, in sintesi, il pensiero di Ferran Adrià, il genio catalano che ha rivoluzionato il fine dining mondiale con il suo El Bulli, intervistato recentemente dall'edizione spagnola di SiéteCanibales e ripreso da La Repubblica. Un dialogo sincero, in cui Adrià riflette sul futuro della gastronomia e sul vero significato di innovazione, competizione e talento. E il punto è chiaro: l'alta cucina ha cambiato il mondo, ma forse non è più il sogno di tutti.

La rivoluzione che viene dall'alto (cucina)

Per Adrià, non c'è dubbio: «Il piacere di mangiare e la qualità del cibo oggi sono tutto. Ed è chiaro che questo movimento è stato promosso dall'alta cucina». Un pensiero semplice, ma denso di significato, soprattutto se arriva da chi ha riscritto le regole del gioco. La sua non è nostalgia per un tempo passato, ma una riflessione lucida sul peso sociologico della rivoluzione culinaria che lui stesso ha guidato. El Bulli, chiuso nel 2011, non è stato solo un ristorante tristellato in Catalogna, ma un laboratorio di idee e tecniche che hanno trasformato il concetto stesso di mangiare fuori. Adrià lo sa bene e sottolinea come l'eredità di quel cambiamento si veda ovunque, persino nei programmi tv come Masterchef: «Non esisterebbe se questa rivoluzione non avesse avuto un impatto sulla società che deve essere studiato da una prospettiva sociologica».

Ma non si tratta solo di tecnica e piatti avveniristici. Per Adrià, alla base della sua filosofia ci sono valori semplici ma essenziali: «rispetto, onestà, generosità e gratitudine». Valori che, secondo lui, sono stati vitali per portare avanti quella che definisce una vera rivoluzione del fine dining. Competere, sì, ma senza calpestare nessuno: «Puoi essere competitivo senza essere un bastardo» dice senza troppi giri di parole. E lo dice con l'autorevolezza di chi ha vissuto la competizione ai massimi livelli, in un contesto dove, tra oltre otto milioni di ristoranti nel mondo, solo 149 possono vantare tre stelle Michelin.

I giovani chef? Sognano l'accoglienza, non l'élite

Il tema più delicato, però, è quello delle nuove generazioni. Oggi, secondo Adrià, i ragazzi non cercano più di entrare nell'élite della ristorazione mondiale. Vogliono piuttosto aprire un locale accogliente e vivere di cucina, senza inseguire il mito delle stelle: «La maggior parte di loro vuole solo avere un ristorante accogliente, guadagnarsi da vivere. Non vogliono far parte di quella super-élite che è ciò che ci ha portato qui» ammette.

Un cambiamento di mentalità che non sembra dispiacergli, anche se riconosce che c'è ancora molto da fare per sostenere il talento vero. La mancanza di borse di studio, per esempio, è un limite reale: «Non può essere che una ragazza o un ragazzo con un talento straordinario non possa venire in un'università come la Macc per mancanza di soldi». Alla fine, quando gli viene chiesto cosa avessero lui e i suoi colleghi agli inizi che manca ai giovani di oggi, Adrià risponde con disarmante semplicità: «Essere ingenuo, innocente». Quella leggerezza che, forse, è stata la vera forza della sua rivoluzione.

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Alberto Lupini


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