Archiviate le inattese dimissioni “irrevocabili” dei 5 consiglieri-imbottigliatori, il Consorzio Oltrepò pavese ha cooptato i sostituti e ora volta pagina, proseguendo nell’attuazione del programma che aveva portato nei mesi scorsi alla presidenza di Francesca Seralvo e ad un deciso cambio di registro per il terzo polo produttivo del vino italiano. La nomina dei nuovi consiglieri non è stata accompagnata da recriminazioni o polemiche coi dimissionari, le cui accuse, giudicate strumentali, erano state subito respinte dalla maggioranza dei consiglieri, come aveva riportato in esclusiva Italia a Tavola.
I nuovi 5 consiglieri del consorzio Oltrepò
Al posto di Quirico Decordi, Federico Defilippi, Renato Guarini, Pierpaolo Vanzini e Valeria Vercesi il consiglio del Consorzio ha quindi cooptato Alessio Brandolini (socio di Fivi con azienda a San Damiano al Colle), Stefano Torre (enologo direttore di Monsupello), Cristina Cerri (titolare di Travaglino), Stefano Dacarro (titolare dell'azienda La Travaglina) ed Edoardo Scanavino (titolare di Montelio), tutti esponenti di spicco del mondo enologico pavese. Rafforzando un’immagine esterna importante (i nuovi consiglieri rappresentano tutte aziende storico e di prestigio del territori), il Consorzio può ora tornare a lavorare nella sua completezza per attuare una strategia che punta sulla valorizzazione di tutto il mondo Oltrepò, puntando in particolare sulla filiera completa dei produttori, così come si fa nelle zone vinicole di maggiore successo in tutto il mondo.
Un obiettivo che non è mai stato così chiaro e condiviso in passato a livello del Consorzio, realtà che oggi sembra invece in grado di animare positivamente la maggioranza dei produttori proponendo uno scenario di crescita e valorizzazione quasi insperata.
Sostituiti in consiglio i dimissionari imbottigliari che non volevano il cambiamento?
Resta certo la conseguenza di una frattura interna (una delle tante con cui negli anni l’Oltrepò ha dovuto fare i conti) che per la maggioranza dei consiglieri non si spiega se non facendo ricorso – come ha recentemente dichiarato la presidente Seralvo - alla «paura e alla difficoltà di digerire il cambiamento». E forse mai parole apparentemente semplici possono spiegare il senso di dimissioni che avevano l’obiettivo di bloccare, o almeno rallentare, proprio il processo di cambiamento avviato con il recente rinnovo del Consorzio che, per la prima volta dopo anni, ha visto il successo dell’alleanza formata dai produttori di filiera (le cantine private che si occupano dalla coltivazione alla vendita delle bottiglie) e le due cantine sociali (Terre d’Oltrepò e Torrevilla, che da sole costituiscono la maggior produzione di vino del territorio).
Si rafforza l'intesa privati-cantine sociali e si punta a una riorganizzazione produttiva
Un’intesa nata per puntare su nuovi assetti produttivi e organizzativi capaci di valorizzare tutti i produttori, aumentando qualità e remunerazione. Un asse che punta ad archiviare una volta per tutte l’immagine di un territorio un tempo noto per il vino “sfuso”, nonché per la vendita delle uve proprio agli imbottigliatori, che in genere non hanno grandi vigneti di proprietà, che fino alla passata gestione (non dimentichiamolo mai) erano determinanti in ogni scelta del Consorzio.
Questa strategia poggia anche su un piano industriale che, per la prima volta, punta a ruoli di service per tutto il territorio da parte delle due cantine sociali, che possono mettere a disposizioni impianti ed aumentare così la possibilità di aumentare le produzioni dei privati e permettere a tutti di guadagnare di più (un po’ come avviene ad esempio nello Champagne). Una possibile rivoluzione sul territorio che forse ha preoccupato alcuni imbottigliatori, perché potrebbero perdere lavoro o clienti mano a mano che le cantine private si rafforzano e non vendono più uva, ma bottiglie proprie.
Più bottiglie e meno vino sfuso o vendita di uve
Un cambiamento per molti versi obbligatorio per un territorio dalle potenzialità enormi come l’Oltrepò e che è in linea con ciò che stanno progressivamente facendo alcune delle realtà private più importanti del territorio. Basti un esempio. Conte di Vistarino era storicamente la più grande tenuta agricola dell’Oltrepò (oltre 800 ettari) e delle sue uve solo una piccola parte veniva trasformata direttamente in uno dei migliori Pinot neri della zona. Il resto andava agli imbottigliatori. Ora la cantina sta progressivamente aumentando la parte lavorata direttamente per le sue linee premium. E questa è la strategia che gran parte delle cantine potrebbe adottare, riducendo la marginalità degli imbottigliatori, che pure restano una componente fondamentale del sistema. Una realtà che riguarda anche la vendita di uve ad altri territori...
Certo gli imbottigliatori hanno per parte loro legittimi interessi aziendali e stupisce forse che la loro opposizione sia emersa solo dopo 5 mesi dall’insediamento di una presidenza nata su un programma chiaro e definito (e votata all'unanimità anche dagli imbottigliatori), che non nascondeva il cambio di strategia e di interessi. Certo la denuncia dei dissidenti per un rischio di dissesto finanziario del Consorzio (chiusosi con una situazione positiva sotto la precedente gestione di Gilda Fugazza) potrebbe allarmare gli amministratori, ma su questo punto la presidente Seralvo, che già aveva invitato a maggiore “lealtà”, è stata più che chiara: «Non lo trovo corretto da parte loro - dice - è un’affermazione priva di logica. Come si può accusare un nuovo Cda della situazione degli ultimi quattro anni? Oltretutto, la destinazione dei fondi per la promozione - principale voce di spesa del Consorzio - era stata approvata dal precedente Consiglio. Al di là dei costi per il cambio della figura del direttore (Carlo Veronese è stato sostituito da Riccardo Binda con un voto condiviso in cda, ndr), non abbiamo ancora approvato altre spese. Stiamo anzi lavorando per ridurre i costi di gestione del vecchio Consiglio. Saremo pienamente responsabili del bilancio 2026».
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Che faranno ora gli imbottigliatori?
A questo punto va detto che l’essere usciti dalla “stanza dei bottoni” farà peraltro perdere un po’ di peso e “potere” ad imbottigliatori che, come Renato Guarini e Quirico Decordi, sono pezzi da novanta a livello di produzione e in passato sono sempre stati determinanti nelle scelte del Consorzio. E a maggior ragione sarà da capire il loro ruolo e i prossimi passi avendo minacciato di uscire anche dal Consorzio (dopo essersi dimessi dal Consiglio di amministrazione) per mettere in crisi il sistema dell’Erga Omnes e quindi bloccare l’attività dell’ente. In realtà, pare che questa minaccia potrebbe essere un’arma spuntata perché i “bollini” per la vendita di vini Doc degli imbottigliatori non arriverebbero che al 12% circa del totale. Come dire che anche uscendo dal Consorzio con quei numeri non ne impedirebbero certo il lavoro. Magari sarebbe il caso di valutare una soluzione B per restare in gioco…
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Alberto Lupini
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