Vini italiani all'estero, prezzi in calo: ma il peggio deve ancora venire?

Rallentano ancora le vendite di vino italiano in Germania, nel Regno Unito e negli Stati Uniti, ovvero nei tre principali mercati della domanda mondiale. Negli Usa, i prezzi continuano a calare , a causa soprattutto di un elevato invenduto, e questo mette anche a rischio la futura qualità delle bottiglie del nostro Paese

03 agosto 2024 | 16:35
di Vincenzo D’Antonio

Mai vorremmo essere tra coloro i quali, postura da menagramo assumendo, con viso accigliato e severo dicono: “Il peggio deve ancora venire”. Non mancano sanguigne espressioni dialettali per definire costoro, e forse il termine “iettatore” è tra essi addirittura tra i più gentili. Tuttavia, e ciò cruccia alquanto, ci si vede costretti, puntuale disanima di scenario avendo compiuto, ad affermare che, per quanto attiene il wine business del nostro Bel Paese…il peggio deve ancora venire. 

Vini italiani, i numeri del primo semestre 2024

Volete che nei primi giorni di agosto, con il primo semestre finalmente consuntivato, non vengano sfornate e sciorinate nuove, aggiornate tabelle? L’Osservatorio dell’Unione italiana vini è doverosamente impietoso: rallentano ancora le vendite di vino in Germania, nel Regno Unito e negli Stati Uniti, ovvero nei tre principali mercati della domanda mondiale.

 

Per leggere l’evoluzione dei suddetti mercati, e senza indorarci da soli la pillola, piuttosto che analizzare in toto il primo semestre 2024, facciamo disgiunzione tra primo (gennaio-marzo) e secondo (aprile-giugno) trimestre. I volumi, secondo trimestre su primo trimestre, si decrementano di circa il 4%. Di conseguenza anche i valori non sono lusinghieri. Dati ce ne sono ancora tanti, tutti, senza dubbio alcuno, rigorosamente veritieri e tutti intriganti per quanto innescano spunti di riflessione.

Come vanno i vini italiani negli Usa?

Però adesso facciamo cosa altra e ponendo focus soltanto sul mercato Usa, analizziamo il pricing del vino italiano nel periodo aprile-luglio sulle quattro principali piattaforme di e-commerce b2c. Quadrimestre sfalsato rispetto alle convenzioni statistiche che trattano i quarter, ovvero i trimestri, però molto utile soprattutto in ottica b2c (e quindi praticamente sell-out) per come è fotografia dei consumi primaverili ed estivi. Dunque, repetita iuvant, stiamo analizzando il solo mercato Usa di esso i prezzi dei vini italiani presenti su quattro piattaforme e-commerce b2c, periodo osservato il quadrimestre aprile-luglio. Non vi è pertanto osservazione sul canale horeca e non vi è osservazione sull’intero primo semestre 2024.

 

Ciò detto e ribadito, eccoci all’analisi puntuale. La media della numerica delle etichette presenti nell’offering delle quattro piattaforme è in numero di 834. Di queste, ben il 20% sono italiane: 168. Ciò a dimostrazione che nel b2c online i vini italiani godono di una conoscenza/confidenza maggiore rispetto al canale Horeca, laddove, a beneficio di vini francesi, spagnoli, argentini, cileni, neozelandesi e ovviamente made in Usa, il peso percentuale addirittura si dimezza.

Vini italiani negli Usa, come cambiano i prezzi?

Il mese di aprile, probabilmente con la complicità dello Spring Break, che all’incirca coincide con le nostre festività pasquali, ha visto un full price dei nostri vini attestato ad una media di 64 dollari ($). I primi special price si sono già visti nel successivo mese di maggio, allorquando il prezzo medio era già calato fino ad attestarsi su 61$. Ben consapevoli che sul mercato Usa non è rimarchevole la distinzione in abbinamento con il cibo tra vini bianchi e vini rossi, nel senso che tranquillamente il bevitore statunitense sorseggia un austero vino rosso anche con il pesce. Meraviglia o comunque stimola riflessione, notare che tra i cali di prezzo più accentuati ed anche più frequenti ci sia il nostro blasonato Barolo Docg. In valore assoluto, sconto medio di 15$ con un conseguente prezzo aggiornato di 105$ a fronte del full price del mese precedente pari al 120$.

 

Le note sorprendenti proseguono analizzando il mese successivo, ovvero giugno. La scure del nuovo prezzo, vistosamente più basso rispetto al precedente, cala principalmente sulla Toscana, laddove il nuovo prezzo di un Toscana Igp diviene di 13$ invece del full price di 16$ del mese di aprile. A fronte di parva materia, appena 3$, si palesa vistosamente, fenomeno molto simile al Barolo Docg, il calo di prezzo del Brunello di Montalcino Docg: dal full price di 140$, al prezzo scontato di 125$. Anche qui, in valore assoluto, lo sconto è di 15$.

 

Ma vediamo adesso cosa è accaduto nel mese di luglio. Ci verrebbe da dire, ma non vi è facezia perché la situazione non lo consente, che con luglio si assiste alla democratizzazione dello special price: non solo i blasonati Barolo Docg e Brunello di Montalcino Docg, in ancillare compagnia del Toscana Igt, bensì altri cinque vini. Eccoli: Falanghina del Sannio Dop, Barbera d’Alba Dop, Prosecco Doc, Cesanese d’Affile Igp, Cannonau di Sardegna Doc. Calo medio del prezzo pari a 5$, ovvero dal full price di 24$ allo special price di 19$. Anche qui, contrariamente ai dati che emergono dall’ampia disanima dell’intero semestre su tutti i canali dei tre principali mercati, una sorpresa: anche lo “spumantino nostrano”, il nostro onnipresente Prosecco, denota un significativo calo di prezzo. In definitiva, ragionando sulla media, dal full price di 64$ del mese di aprile, siamo arrivati allo special prime di 55$ del mese di luglio.

Vini italiani, perché calano i prezzi?

Si è detto, svogliata postura di menagramo assumendo, che il peggio deve ancora venire. Si sarebbe portati a pensare che questo “peggio” prossimo venturo sia un ulteriore calo dei prezzi. E invece no, non è detto che è questo ciò che avverrà. Probabilmente avverrà ben altro. Perché l’imprenditore a capo della piattaforma di e-commerce b2c ritara il prezzo dei vini e ricorre allo special price? Evidentemente perché comincia a pesargli, come onere finanziario e come logistica, l’invenduto. Cioè, il suo acquisto, quindi quanto per lui è costo del prodotto, che in ottica del suo fornitore (distributore/importatore che sia) è sell-in, non produce margine e addirittura non produce rientro dell’uscita, in quanto non c’è il suo sell-out. Ce lo ricordiamo sempre, vero, che la bottiglia è venduta quando è bevuta?

 

Special price, promozione, fortissimo push con le leve di marketing e  l’invenduto si dimezza, addirittura si abbassa al punto tale che la giacenza diviene quasi fisiologica. Tutto bene? Purtroppo, no. Siamo ancora al peggio che deve venire. Adesso i bravi salesmen fornitori della piattaforma, famelici come sono (anche loro “tengono famiglia”) si ripresentano dall’imprenditore e gli dicono: “Com’è che per un periodo non hai riacquistato?” E giù a sciorinare l’elenco delle etichette a loro catalogo. “Abbiamo notato che hai fatto promozione, di sicuro è andata bene. . . . eccoci, siamo pronti ad acquisire i nuovi ordini, così ricomponiamo lo stock del tuo magazzino”.

 

L’imprenditore ad effettuare riacquisto forse non ci pensa nemmeno. Ma poniamo che invece ci pensi e voglia effettivamente fare un nuovo ordine. Secondo voi, secondo noi, rinegozia a partire dal precedente importo sul rigo della sua fattura di acquisto? Certo che no. Rinegozia, con dovizia di fattuali argomentazioni, a prezzo più basso e stante il suo elevato potere negoziale (non dimentichiamoci che anche il distributore/importatore ha i suoi magazzini pieni) effettivamente  a parità di volumi ottiene decremento dei valori. Per questa volta, insomma, ha passato il cerino acceso al suo fornitore, all’anello a monte della sua supply chain (catena di fornitura).

Vini italiani, prezzi in calo: chi paga davvero?

E il distributore/importatore cosa fa? Diventa il benefattore, si converte alla caritatevole missione delle Dame di San Vincenzo e quindi abbatte le sue revenue streams (flussi di fatturato) e se ne sta buono buono? Sicuramente no. A sua volta pretenderà un riallineamento dei prezzi verso il basso dal suo fornitore. È al fornitore italiano che passa il cerino acceso. Il fornitore che tra vigneto e cantina, trascorre l’anno intero (e poi il successivo e il successivo ancora) a fare vino e a fare in modo che questo suo vino si venda in modalità tale da consentirgli remunerazione. Deve sottostare, altrimenti i magazzini non si svuotano e (letteralmente) non si sa più dove mettere il vino (ancor prima di imbottigliarlo) nella cantina: c’è ancora quello della vendemmia dello scorso anno.

 

Innesco sciagurato del volano vizioso: “Il mio importatore Usa (ma anche UK e anche Germania e anche. gli altri mercati) mi chiede di pagarmi il vino ad un prezzo minore. Sono in situazione bere/affogare. Costretto, mi adeguo. Ma devo salvaguardare i margini. E allora riduco i costi”. Riduzione dei costi, già nel termine breve, ma molto di più nel termine medio significa decremento della qualità del vino. Il consumatore se ne accorge e non lo compra più, si disaffeziona.  “Eh, ed io ora che me ne faccio? È tutto qui in cantina. Lo vendo applicando un forte sconto, ma così non conseguo utile e non posso investire in niente. E se non investo scompaio”.

Vini italiani, prezzi in calo: c'è soluzione?

Eccolo, sta qui quel peggio che deve ancora venire. E, si badi bene, non abbiamo menzionato, colpevolmente continuando a buttare la polvere sotto il tappeto, l’inesorabilità del cambiamento climatico ed altri fattori (personale competente) che di certo aggravano e non alleviano lo scenario. Ipotesi di soluzione? Certamente sì: dove c’è un problema c’è una soluzione e quando si è bravi si riesce sempre a capovolgere le minacce in opportunità.

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Alberto Lupini


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