L'ordinanza dell'on. Francesca Martini sull'uso degli additivi nella Ristorazione, emanata dal ministero della Salute e pubblicata il 19 febbraio scorso sulla Gazzetta Ufficiale, entrando in vigore immediatamente, ha sollevato un polverone nel mondo della Cucina. Riportiamo un'inchiesta che analizza le diverse le opinioni dell'avvocato del foro di Milano, Dante De Benedetti, pubblicatate sul Calandrangolo, il magazine della famiglia Alajmo.
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Le inaccettabili contraddizioni di una normativa confusa
Le riflessioni giuridiche dell'avvocato del foro di Milano, Dante De Benedetti
Sono di quattro tipi i principali elementi di dubbio che, alla prima lettura, emergono dall'ordinanza del ministero:
1. Disparità di trattamento verso chi esercita l'attività di ristorazione nei confronti di chi esercita qualsiasi altra attività e nei confronti dei privati.
2. Incoerenza tra gli obiettivi dichiarati e le misure adottate.
3. Insussistenza dei motivi di urgenza.
4. Genericità e difficoltà interpretative dei divieti introdotti, nonché contraddittorietà dell'impianto normativo utilizzato.
Ma andiamo con ordine.
Ma i ristoratori valgono meno degli altri?
L'art. 1 dell'ordinanza è molto chiaro nel prevedere un divieto di detenzione e di utilizzo di 'additivi e miscele di additivi alimentari per i quali la normativa vigente ha stabilito campi e dosi massime di impiego”. Tali additivi, la cui vendita e il cui impiego sono permessi dalla legge (quest'ultimo, in diversi casi, entro dei limiti quantitativi massimi), sono, quindi, resi fuorilegge dall'Ordinanza (la quale, pertanto, si pone in contrasto con le disposizioni nazionali ed europee - fonti normative di rango superiore - che invece autorizzano sia la loro detenzione sia il loro impiego). Tale divieto, peraltro, non riguarda tutti i soggetti che possono avere a che fare con detti additivi, ma solo 'chiunque operi nel settore della ristorazione”. Ora, è del tutto misterioso per quale ragione una simile limitazione (sulla liceità della quale, come detto, si può seriamente dubitare, atteso che l'impiego degli additivi è consentito da una norma di derivazione Ue) debba riguardare solo chi esercita l'attività di ristorazione. Sul punto, è del tutto insufficiente la spiegazione fornita verbalmente dal sottosegretario Francesca Martini, la quale aveva dichiarato che l'industria non doveva essere colpita da un simile divieto, atteso che al suo interno esiste la figura del responsabile della sicurezza, che garantisce il rispetto dei processi produttivi. Una simile giustificazione, infatti, si rivela, da un lato, contraddetta dall'evidenza dei fatti, dato che nel mondo del lavoro, l'esistenza del responsabile per la sicurezza non impedisce che si verifichino migliaia di incidenti l'anno. D'altro lato, costituisce una sorta di inammissibile processo alle intenzioni nei confronti dei ristoratori, evidentemente ritenuti incapaci di rispettare le norme vigenti in materia di limiti di utilizzo degli additivi.
La normativa europea li consente, quella italiana no
Sono insufficienti anche le motivazioni inserite nel preambolo dell'ordinanza, le quali fanno riferimento al fatto che, nel corso dei controlli, sono stati trovati nelle cucine di alcuni ristoranti degli additivi non etichettati regolarmente. Sul punto, infatti, esistendo già una normativa, sarebbe sufficiente applicare le sanzioni già previste per le violazioni riscontrate, senza introdurre il divieto di detenere ed impiegare anche additivi regolarmente etichettati.
Si tratta, quindi ed in sintesi, di un'ordinanza in palese contrasto con la normativa, nazionale ed europea, che permette l'uso degli additivi in parola, introducendo così un'inammissibile disparità di trattamento nei confronti di chi esercita l'attività di ristorazione rispetto, per esempio, all'industria alimentare. Per assurdo che possa sembrare, pertanto, tutti gli additivi di cui sopra, che siano etichettati o meno in modo corretto, potranno, per l'Ordinanza, essere acquistati, detenuti ed impiegati da chiunque (ivi inclusi i privati consumatori), salvo che dai ristoratori: sulla sensatezza (e, quindi, sulla liceità) di una simile previsione è, quindi, inevitabile avere più di un dubbio.
Tutti possono acquistarli e usarli, i cuochi no
Dalla lettura dei cosiddetti 'considerando” (si tratta della parte introduttiva del provvedimento), dovrebbero emergere gli obiettivi dell'ordinanza stessa. Sono di particolare interesse i seguenti 'considerando”: 'Considerato che l'Autorità sanitaria, nell'ambito di controlli effettuati nel settore della ristorazione ha accertato la presenza e l'utilizzazione di additivi e miscele di additivi etichettati in modo non conforme alla normativa vigente in materia e, comunque, in modo tale da poter costituire un rischio per la salute pubblica”. La 'pietra dello scandalo”, quindi, sarebbe l'individuazione, nelle cucine di alcuni ristoranti, di additivi (o miscele di additivi) 'etichettati in modo non conforme”. Ciò, sempre per l'Ordinanza, avrebbe potuto 'costituire un rischio per la salute pubblica”.
Il tema, però, era diverso e banalissimo: gli additivi non correttamente etichettati non dovevano essere messi in commercio. Sarebbe bastato, quindi, fare rispettare questa norma già esistente per evitare tutto il problema. Invece, si è deciso di intervenire introducendo un inedito divieto per cui ai ristoratori (ed incomprensibilmente solo a loro) è vietato acquistare ed usare additivi, anche se correttamente etichettati. Si tratta, quindi, di un caso piuttosto evidente di incoerenza tra interesse tutelato (somministrazione ai consumatori solo di prodotti correttamente etichettati) e misura adottata (divieto di utilizzo riferito anche a prodotti correttamente etichettati).
Serve di più una corretta informazione
Di contenuto oscuro è, invece, il successivo considerando, in forza del quale: 'Considerato che l'impiego degli additivi alimentari non deve indurre in errore i consumatori”. Non si capisce, infatti, come una simile affermazione possa trovare, come conseguenza, il divieto imposto dall'ordinanza a chi esercita l'attività di ristorazione. L'induzione in errore si affronta con un divieto, ma, laddove si ritenga effettiva, con una corretta informazione. Ad oggi, chi esercita l'attività di ristorazione, deve rispettare all'utilizzo degli additivi imposti norme vigenti. Non è, quindi, chiaro cosa i consumatori potrebbero essere indotti in errore. Laddove si ritenesse tale errore possa consistere nel ' sapere” (che, comunque, sarebbe cosa diversa rispetto all'errore) che i ristoratori utilizzano determinati additivi, la risposta avrebbe dovuto essere l'introduzione (del resto, come si vedrà, parzialmente prevista dall'art. 2 dell'ordinanza) ai ristoratori di comunicare quali gli additivi utilizzati nei loro ristoranti non certo il divieto di impiegarli, in considerazione della circostanza, ribadita, che si tratta di prodotti il utilizzo è già autorizzato e disciplinato normativa esistente).
Un divieto incoerente con la tutela della salute
Anche il successivo "considerando" porta alla medesima conclusione: il ministro della Salute ha adottato una misura (il divieto imposto ai ristoratori) del tutto incoerente con l'obiettivo ufficialmente perseguito e riportato nel preambolo dell'Ordinanza. Si afferma, infatti: 'Considerato, in particolare, che l'assenza delle istruzioni per l'uso sull'etichetta degli additivi, delle miscele di additivi alimentari e ingredienti impiegati nella ristorazione può comportare un rischio per i consumatori con esigenze dietetiche particolari”. Sul punto, le incoerenze sono molteplici.
1. Qualsiasi negligenza nell'etichettatura va, come detto, sanzionata secondo le norme sull'etichettatura stessa e non certo vietando la detenzione e l'impiego di prodotti che siano correttamente etichettati. Se, infatti, il rischio è causato 'dall'assenza delle istruzioni per l'uso sull'etichetta degli additivi”, è evidente che nessun rischio possa essere generato dall'utilizzo di additivi che riportino sull'etichetta le istruzioni per l'uso e che, quindi, nessun senso abbia vietare l'utilizzo di additivi in regola con le norme sull'etichettatura.
2. Se, invece (ma ciò, comunque, l'Ordinanza non dice), il rischio riguardasse la eventuale carenza di informazione di un soggetto 'con esigenze dietetiche particolari” (e, quindi, si ritiene, di soggetto con allergie e/o intolleranze), la misura adottata sarebbe da un lato sproporzionata (basterebbe, infatti, imporre l'indicazione dell'uso degli additivi in un cartello nel locale, al pari di quanto avviene con pasticcerie e gelaterie, per esempio) e, da un lato, insufficiente (atteso che l'intolleranza o l'allergia potrebbero riguardare anche prodotti non dichiarati e diversi dagli additivi quali, per esempio, un qualsiasi condimento).
Un "buco nero" all'origine della normativa
Ancora, il successivo considerando specifica che 'Considerato che l'impiego degli additivi alimentari deve presentare vantaggi e benefici per il consumatore”. Ora, non è dato sapere da dove tale convinzione tragga origine, ma a nessuno è chiaro in quale modo il consumatore possa 'trarre vantaggio e beneficio” dall'impiego degli additivi. Ciò, a qualsiasi livello, industriale, privato e della ristorazione. Gli additivi sono, per l'appunto, degli additivi e ciò che rileva è solo se il loro utilizzo sia compatibile con la salute dei consumatori. A tale domanda è stata data risposta positiva con la normativa europea e nazionale menzionata nel preambolo dell'ordinanza, per cui i legislatori hanno già ritenuto che il consumatore possa assumere, nei limiti previsti dalle norme stesse, detti additivi. L'intervento dell'ordinanza è, quindi, sul punto, privo di qualsiasi appiglio normativo e, prima ancora, logico. L'ordinanza stessa, quindi, appare evidentemente viziata anche con riguardo all'inappropriato uso che il Ministro ha fatto del proprio potere normativo.
Non c'era alcuna necessità di urgenza
3. Una previsione normativa quale quella introdotta dall'ordinanza avrebbe dovuto seguire un percorso che, però, è stato omesso in nome di non chiariti motivi di urgenza. Sul punto, l'ultimo considerando precisa che 'Considerato che i richiamati motivi di urgenza non consentono la preventiva notifica alla Commissione dell'Unione europea della presente norma, ai sensi della direttiva 98/34/CE e in particolare l'art. 9, paragrafo 7”. Purtroppo, però, di tali motivi di urgenza non vi è traccia nell'ordinanza, né si capisce quali essi potrebbero essere, atteso che, solo per esempio si tratta di intervenire in deroga ad una normativa in vigore da anni, senza che alcuna urgenza concreta sia emersa (il fatto di avere trovato in qualche cucina dei prodotti non correttamente etichettati, infatti, certo non può essere considerato motivo di urgenza); dal giorno della 'firma in diretta” dell'Ordinanza a quello della pubblicazione della stessa, sono passati circa due mesi e non risulta che in tale periodo si sia verificata alcuna situazione dannosa per la salute dei consumatori. Inoltre, ai sensi dell'ultimo punto del preambolo, nell'ordinanza si afferma che 'Ritenuto necessario introdurredisposizioni urgenti nel settore della ristorazione con particolare riguardo alla detenzione e all'impiego di additivi e miscele di additivi alimentari”.
Che il Ministro lo abbia ritenuto 'necessario”, infatti, è verosimile, dato che l'ordinanza è stata emessa, ma si tratta di inciso autoreferenziale.
Molto meno chiaro, però, è quali sarebbero i motivi che hanno fatto ritenere questa necessità al Ministro stesso, atteso che, come detto, la materia era ed è già ampiamente disciplinata da fonti normative superiori. Anche su questo punto, quindi, l'ordinanza pare difficilmente difendibile.
Un divieto incoerente con la tutela della salute Ma infine, cosa sono le 'sostanze gassose”? Venendo, infine, al 'merito” della disciplina introdotta, non può in primo luogo non censurarsi la grave superficialità con la quale essa si esprime, costringendo a difficili, se non impossibili, ricostruzioni interpretative. Già dalla lettura dell'art. 1, infatti, sorgono diversi dubbi:
- chi sono i soggetti che, ai fini dell'Ordinanza, 'esercitano l'attività di ristorazione” (comma 1)?
-cosa deve intendersi per 'sostanze gassose” ai sensi del terzo comma? In ogni caso, per il momento tralasciando le, comunque rilevanti, incertezze interpretative (e, quindi, applicative) di cui all'Ordinanza, la norma pare costruita secondo una struttura che prevede due linee di intervento: una serie di divieti, imposta dall'art. 1 e la previsione di alcuni obblighi informativi, introdotti dal successivo art. 2.
Ora, la prima osservazione riguarda il fatto che, incomprensibilmente, siano stati introdotti contemporaneamente sia dei divieti sia degli specifichi obblighi informativi. Ai sensi dell'art. 2, infatti, i ristoratori dovranno: 'assicurare la corretta informazione ai consumatori sull'aggiunta di additivi e di miscele di additivi nelle preparazioni alimentari” (comma 1), nonché 'informare il consumatore sull'eventuale presenza di allergeni di cui al decreto legislativo n. 114 del 2006, di cui alle premesse, negli additivi e miscele di additivi impiegati” (comma 2). Questi obblighi informativi sarebbero stati, infatti, sufficienti a disciplinare la materia e sarebbero stati coerenti anche con gli obiettivi dichiarati nei 'considerando”. Nel momento in cui ai consumatori fosse garantita la 'corretta informazione” in merito agli additivi ed agli allergeni usati, infatti, qualsiasi potenziale rischio sarebbe sicuramente prevenuto e nessuna ragione vi sarebbe per impedire la detenzione e l'impiego di additivi che, in qualsiasi parte del mondo, qualsiasi soggetto può liberamente acquistare ed utilizzare.
è, quindi, anche sotto tale aspetto che l'Ordinanza rivela la sua matrice illogicamente (e, quindi, ingiustamente) sanzionatoria nei confronti di chi esercita attività di ristorazione che, per assurdo, si vede prescrivere degli obblighi informativi riguardanti l'utilizzo di additivi che, nella stragrande maggioranza, gli è stato vietato di utilizzare. Il difetto principale: un'inaccettabile discriminazione.
Non si entra nel merito degli aspetti applicativi dell'Ordinanza che, essendo essenzialmente inerenti la tecnica della ristorazione, esulano da queste poche annotazioni giuridiche. L'Ordinanza si rivela, nel suo complesso, censurabile sotto molteplici aspetti e, soprattutto, inaccettabilmente discriminatoria nei confronti della categoria dei soggetti che 'esercitano attività di ristorazione”, di talchè si riterrebbe indispensabile la sua riformulazione, in modo coerente con il quadro normativo vigente e con il mercato del settore.
Ma infine, cosa sono le "sostanze gassose"?
Venendo, infine, al 'merito” della disciplina introdotta, non può in primo luogo non censurarsi la grave superficialità con la quale essa si esprime, costringendo a difficili, se non impossibili, ricostruzioni interpretative. Già dalla lettura dell'art. 1, infatti, sorgono diversi dubbi:
- chi sono i soggetti che, ai fini dell'Ordinanza, 'esercitano l'attività di ristorazione” (comma 1)?
-cosa deve intendersi per 'sostanze gassose” ai sensi del terzo comma? In ogni caso, per il momento tralasciando le, comunque rilevanti, incertezze interpretative (e, quindi, applicative) di cui all'Ordinanza, la norma pare costruita secondo una struttura che prevede due linee di intervento: una serie di divieti, imposta dall'art. 1 e la previsione di alcuni obblighi informativi, introdotti dal successivo art. 2.
Ora, la prima osservazione riguarda il fatto che, incomprensibilmente, siano stati introdotti contemporaneamente sia dei divieti sia degli specifichi obblighi informativi. Ai sensi dell'art. 2, infatti, i ristoratori dovranno: 'assicurare la corretta informazione ai consumatori sull'aggiunta di additivi e di miscele di additivi nelle preparazioni alimentari” (comma 1), nonché 'informare il consumatore sull'eventuale presenza di allergeni di cui al decreto legislativo n.114 del 2006, di cui alle premesse, negli additivi e miscele di additivi impiegati” (comma 2). Questi obblighi informativi sarebbero stati, infatti, sufficienti a disciplinare la materia e sarebbero stati coerenti anche con gli obiettivi dichiarati nei 'considerando”. Nel momento in cui ai consumatori fosse garantita la 'corretta informazione” in merito agli additivi ed agli allergeni usati, infatti, qualsiasi potenziale rischio sarebbe sicuramente prevenuto e nessuna ragione vi sarebbe per impedire la detenzione e l'impiego di additivi che, in qualsiasi parte del mondo, qualsiasi soggetto può liberamente acquistare ed utilizzare.
è, quindi, anche sotto tale aspetto che l'Ordinanza rivela la sua matrice illogicamente (e, quindi, ingiustamente) sanzionatoria nei confronti di chi esercita attività di ristorazione che, per assurdo, si vede prescrivere degli obblighi informativi riguardanti l'utilizzo di additivi che, nella stragrande
maggioranza, gli è stato vietato di utilizzare.
Il difetto principale: un'inaccettabile discriminazione
Non si entra nel merito degli aspetti applicativi dell'Ordinanza che, essendo essenzialmente inerenti la tecnica della ristorazione, esulano da queste poche annotazioni giuridiche. L'Ordinanza si rivela, nel suo complesso, censurabile sotto molteplici aspetti e, soprattutto, inaccettabilmente discriminatoria nei confronti della categoria dei soggetti che 'esercitano attività di ristorazione”, di talchè si riterrebbe indispensabile la sua riformulazione, in modo coerente con il quadro normativo vigente e con il mercato del settore.
Dante De Benedetti, avvocato a Milano
Il Calandrangolo - Magazine della famiglia Alajmo
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