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Italian sounding e agromafie Danni per 72,5 miliardi di euro

Le falsificazioni del Made in Italy e l'azione criminale delle agromafie sono le vere spine nel fianco del settore agroalimentare. Sono responsabili di una perdita annua totale pari a 72,5 miliardi di euro. Ma con una radicale azione di contrasto le esportazioni agroalimentari potrebbero triplicare

19 gennaio 2012 | 10:48
Italian sounding e agromafie Danni per 72,5 miliardi di euro
Italian sounding e agromafie Danni per 72,5 miliardi di euro

Italian sounding e agromafie Danni per 72,5 miliardi di euro

Le falsificazioni del Made in Italy e l'azione criminale delle agromafie sono le vere spine nel fianco del settore agroalimentare. Sono responsabili di una perdita annua totale pari a 72,5 miliardi di euro. Ma con una radicale azione di contrasto le esportazioni agroalimentari potrebbero triplicare

19 gennaio 2012 | 10:48
 

Contraffazione, agropirateria e agromafia. Sono questi i fattori che mettono sempre più in ginocchio il settore alimentare italiano. Complessivamente le contraffazioni e le agromafie causano al settore agroalimentare nazionale una perdita annua pari a 72,5 miliardi di euro. La Coldiretti ha allestito oggi, 19 gennaio, a Palazzo Rospigliosi a Roma un incontro per presentare i risultati della prima relazione della Commissione parlamentare sulla contraffazione e la pirateria nell'agroalimentare, al quale hanno partecipato, tra gli altri, il ministro delle Politiche agricole Mario Catania, il procuratore antimafia Pietro Grasso e il presidente della Coldiretti Sergio Marini. Il volume d'affari delle agromafie ammonta oggi a 12,5 miliardi di euro (pari al 5,6% dell'intero business criminale), tanto che nella lotta alla contraffazione alimentare gli stessi metodi di indagine utilizzati nel contrasto ai reati di mafia. Allarmante il problema della falsificazione e contraffazione: le imitazioni dei prodotti simbolo del Made in Italy a tavola (parmigiano, pecorino, prosecco, ecc.) spesso vengono commercializzate con nomi che ricordano quelli veri ('Italian sounding”). Il loro commercio sottrae all'export nazionale un grande volume d'affari. Secondo le stime della Coldiretti, se si intervenisse contro questi 'falsi d'autore” l'export agroalimentare (che ha registrato un forte calo nel 2011) potrebbe addirittura triplicare.

Italian sounding, in fumo 60 miliardi di euro all'anno
Le esportazioni agroalimentari potrebbero addirittura triplicare con una radicale azione di contrasto al falso Made in Italy. è quanto afferma il presidente della Coldiretti Sergio Marini sulla base dei risultati della prima relazione sulla contraffazione e pirateria  nell'agroalimentare elaborata dalla Commissione parlamentare di inchiesta.

Secondo l'analisi Coldiretti/Eurispes, per giungere a un pareggio della bilancia commerciale del settore agroalimentare italiano, a importazioni invariate, sarebbe sufficiente recuperare quote di mercato estero per un controvalore economico pari al 6,5% dell'attuale volume d'affari del cosiddetto 'Italian sounding”, ovvero quei prodotti con nomi che 'suonano come italiani”, ma che italiani non sono affatto e che invece costano all'economia del nostro Paese ben 60 miliardi di euro all'anno.

A essere colpiti sono i prodotti più rappresentativi dell'identità alimentare come è stato evidenziato dall'esposizione della Coldiretti sui casi più eclatanti di pirateria alimentare divisi per regione. Se sul piano nazionale le recenti operazioni hanno scoperto falsa mozzarella di bufala Dop, ma anche vino ed olio etichettati come Doc e Dop senza documenti di tracciabilità, a livello internazionale sono state scovate aberrazioni, dai pomodori San Marzano coltivati in Usa al 'Parma salami” del Messico, dal Parmesao del Brasile allo Spicy thai pesto statunitense, dall'olio Romulo con tanto di lupa venduto in Spagna al Chianti prodotto in California, ma anche una curiosa 'mortadela” siciliana dal Brasile, un 'salami calabrese” prodotto in Canada, un barbera bianco rumeno e il provolone del Wisconsin.

Il comune denominatore degli esempi di imitazione e contraffazione di prodotti agroalimentari italiani è la spinta motivazionale da cui tali comportamenti traggono origine e si diffondono a livello globale. Tale spinta motivazionale consiste nell'opportunità, per un'azienda estera, di ottenere sul proprio mercato di riferimento un vantaggio competitivo rispetto alla concorrenza, associando indebitamente ai propri prodotti valori riconosciuti ed apprezzati dai consumatori stranieri, come quelli del vero Made in Italy agroalimentare, in primis la qualità. Una concorrenza sleale nei confronti dei produttori nazionali con il rischio che, soprattutto nei Paesi emergenti come la Cina, si radichi tra i consumatori un falso Made  in Italy che non ha nulla a che fare con il prodotto originale e che toglie invece spazio di mercato ai prodotti autentici.

300mila nuovi posti di lavoro dalla lotta alla contraffazione
Dopo il contrasto all'evasione fiscale prende il via la lotta alla contraffazione dalla quale possono venire fino a 300mila nuovi posti di lavoro con il fatturato del falso Made in Italy che solo nell'agroalimentare ha raggiunto i 60 miliardi di euro. «Il fatto che per effetto della falsificazione vengano sottratti all'agroalimentare nazionale ben 164 milioni di euro al giorno - ha affermato il presidente della Coldiretti Sergio Marini - dimostra che il contrasto all'evasione fiscale, la lotta alla contraffazione e alla pirateria rappresentano per le Istituzioni un'area di intervento prioritaria per recuperare risorse economiche utili al Paese e generare occupazione». La lotta alla contraffazione alimentare è considerata prioritaria dalla maggioranza dei cittadini anche rispetto ad altri settori come il tessile: le frodi a tavola sono le più temute da 6 italiani su 10 secondo un'indagine Coldiretti/Swg. Ai rischi per la salute si sommano i danni di immagine provocati al Made in Italy che nell'alimentare è il più copiato a livello internazionale per i grandi risultati raggiunti sul piano della qualità.



Agromafie, business da 12,5 miliardi di euro
Il recente sequestro da parte della questura di Trapani di beni immobili e terreni per un valore di 25 milioni di euro a Michele Mazzara, 52 anni, indicato dagli investigatori come fedelissimo del boss Matteo Messina Denaro, dimostra l'interesse della criminalità organizzata per l'agroalimentare con il volume d'affari delle agromafie che ammonta oggi a 12,5 miliardi di euro all'anno (il 5,6% dell'intero business criminale). Le imprese agricole e i consumatori subiscono l'impatto devastante delle strozzature di filiera su cui si insinua un sistema di distribuzione e trasporto gonfiato e alterato troppo spesso da insopportabili fenomeni di criminalità che danneggiano tutti gli operatori. L'effetto è un crollo dei prezzi pagati agli imprenditori agricoli, che in molti casi non arrivano a coprire i costi di produzione, e un ricarico anomalo dei prezzi al consumo che raggiungono livelli tali da determinare un contenimento degli acquisti. I prezzi della frutta triplicano dal campo alla tavola anche per effetto delle infiltrazioni della malavita nell'attività di trasporto messe spesso in luce nell'attività investigativa. Le agromafie investono i loro ricchi proventi in larga parte in attività agricole, nel settore della trasformazione alimentare, commerciale e nella grande distribuzione con il reinvestimento dei proventi illeciti che ha come corollario il condizionamento della libera iniziativa economica e la concorrenza sleale. Inoltre le associazioni criminali, attraverso le suddette pratiche estorsive, finiscono per determinare l'aumento dei prezzi dei beni al consumo. A rischio è anche la qualità e sicurezza alimentare dei prodotti alimentari con la vendita di prodotti alimentari 'spacciati” come Made in Italy ma ottenuti in realtà con materie prime importate, speso di bassa qualità.



Nell'agroalimentare i metodi d'indagine dell'antimafia
Estendere nella lotta alla contraffazione alimentare gli stessi metodi di indagine utilizzati nel contrasto ai reati di mafia. è una della proposte a costo zero formulate della prima relazione sulla contraffazione e pirateria nell'agroalimentare elaborata dalla Commissione Parlamentare di inchiesta presentate nella sede della Coldiretti. Tra le proposte a costo zero formulate vi è, innanzitutto l'inserimento nel codice penale del delitto di associazione a delinquere finalizzato alla commissione del reato di contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari. Per coloro che commettono tale reato è poi opportuno prevedere l'interdizione dall'esercizio delle attività d'impresa, in modo da escludere lo sviluppo di successive iniziative economiche nell'ambito del settore alimentare. E ancora, ai fini della maggiore conoscibilità per i consumatori di comportamenti delittuosi, si deve prevedere l'obbligo di pubblicare le sentenze in caso di condanna per i delitti in materia di frodi e di false indicazioni di origine. Come la relazione della Commissione presieduta dall'Onorevole Giovanni Fava ha sottolineato, occorre dotare gli organismi di polizia giudiziaria di poteri investigativi già previsti nella disciplina antimafia - come ad esempio la capacità di condurre operazioni sotto copertura - anche per il contrasto dei reati in materia di tutela della salute. Infine, è necessario aggredire il patrimonio dei soggetti dichiarati responsabili dei reati di contraffazione e adulterazione attraverso la confisca dei beni utilizzati per la commissione degli stessi reati.

Le tasse degli italiani finanziano il finto pecorino
La produzione di pecorino e caciotta in Romania come la vendita all'estero di salame calabrese fatto però negli Stati Uniti sono state finanziate con le tasse degli italiani senza alcun beneficio per il Paese ma facendo anzi concorrenza sleale a tutte le produzioni tipiche espressione vere del territorio.

La Coldiretti ha avviato una mobilitazione sui finanziamenti accordati dalla finanziaria pubblica Simest a iniziative che danneggiano il Made in Italy. Un evidente caso di 'utilizzo improprio di risorse pubbliche”, destinate alla produzione e distribuzione di prodotti alimentari nati all'estero, presentati come italiani, ma che nulla hanno a che fare con il tessuto produttivo del Paese. Un esempio concreto su dove colpire per evitare non solo che le risorse pubbliche vengano sprecate, ma che facciano addirittura danni al Made in Italy.

La Coldiretti denuncia che l'attività della 'Società italiana per le imprese all'Estero Simest Spa”, società finanziaria controllata dal ministero dello Sviluppo economico si indirizza verso investimenti in attività di delocalizzazione che sottraggono colpevolmente opportunità di lavoro e occupazione al sistema Italia. In sintesi, il ministero dello Sviluppo, attraverso la Simest, sta finanziando imprese italiane per produrre e commercializzare all'estero prodotti che di italiano hanno solo il nome.

Prodotti che nascono all'estero, con materia prima e manodopera estere. è il caso dell'azienda casearia Lactitalia che è partecipata da Simest al 29,5% e produce in Romania formaggi con nomi italiani  'Caciotta” e 'Pecorino”, ma lo Stato italiano promuove le vendite all'estero del salame calabrese prodotto negli Stati Uniti e venduti a New York dalla salumeria Rosi del Gruppo Parmacotto. Per il presidente Sergio Marini non è politicamente, economicamente e moralmente accettabile che lo Stato, che rappresenta tutti i cittadini italiani, finanzi direttamente o indirettamente la produzione o la distribuzione di prodotti alimentari che contaminano il valore del territori facendo concorrenza sleale a tutte le produzioni tipiche vere espressioni di quei territori.


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