«Non mi dimetto e vado avanti». Con queste sei parole, pronunciate a Gedda in Arabia Saudita, la ministra del Turismo Daniela Santanchè chiude (almeno per ora) la strada alle dimissioni dopo il suo rinvio a giudizio nell'inchiesta su Visibilia. È lei stessa a ribadire la volontà di restare in sella nonostante gli attacchi delle opposizioni e le crescenti pressioni interne al governo, che chiedono a gran voce un passo indietro per evitare uno stillicidio mediatico che rischia di trascinare l'intera maggioranza.

La ministra Santanchè non si dimette dopo il rinvio a giudizio per falso in bilancio
Caso Santanchè, l'invito alla riflessione di Giorgia Meloni
Nei giorni successivi alla decisione del giudice di rinviarla a giudizio, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni non l'ha formalmente "scaricata" ma neppure difesa "a spada tratta". Ha piuttosto sottolineato come sia necessaria una valutazione da compiere con la ministra stessa e, soprattutto, dalla ministra stessa: «È una valutazione che va fatta con il ministro Santanchè e che anche, forse, deve fare soprattutto il ministro Santanchè» pesando «quanto questo possa impattare sul suo lavoro di ministro». Anche il ministro della Difesa, Guido Crosetto, si è limitato a un commento sibillino, spiegando che: «È una questione che devono affrontare la premier e la Santanchè. Soprattutto la Santanchè».
La Santanchè resiste e non lascia il ministero del Turismo
Fatto sta che, almeno per il momento, la titolare del dicastero del Turismo si mostra determinata a resistere. Secondo un retroscena raccontato dal Corriere della Sera, Santanchè avrebbe confidato ai suoi collaboratori: «Escludo che Giorgia mi chiederà di dimettermi. Perché dovrebbe? Nelle condizioni attuali ne sarei sorpresa. Tajani e Salvini mi hanno difesa. Io posso stare anche antipatica, ma non sono una parlamentare qualunque». Lo stesso quotidiano riferisce che la premier sia «arrabbiata e delusa» dalla rigidità della ministra, la quale starebbe esponendo la maggioranza a un fuoco mediatico costante. Non si esclude, dunque, che alla fine possa essere la stessa Meloni a chiedere formalmente un passo indietro, se i guai giudiziari dovessero aggravarsi nei prossimi mesi.

Santanchè e le dimissioni: la ministra sembra determinata a resistere
Intanto, la Santanchè continua a respingere ogni ipotesi di dimissioni, ma non trascura di puntualizzare che, se la situazione lo imponesse, sarebbe pronta a uscire dal governo: «Io so dove sta la verità, i fatti mi daranno ragione - avrebbe detto ai suoi, sempre secondo il Corriere - Giorgia non ha alcuna ragione di chiedermi le dimissioni su un reato che Feltri ha definito "una stupidaggine". Se poi dovesse chiedermele, lascerò un minuto dopo». La ministra ha spiegato che la sua posizione rimarrà solida fintanto che si limiterà a dover rispondere di falso nelle comunicazioni societarie, ma qualora dovesse essere rinviata a giudizio anche per truffa allo Stato (per aver ottenuto indebitamente dei fondi destinati alle imprese colpite dalla crisi pandemica mentre i dipendenti continuavano a lavorare regolarmente), allora la decisione sarebbe inevitabile: «Mi dimetterò subito e non perché ho torto, ma perché mi sono chiare le implicazioni politiche».
Perché Daniela Santanchè è stata rinviata a giudizio?
Il rinvio a giudizio - deciso dal Tribunale di Milano il 17 gennaio scorso, su richiesta dei pm Giuseppina Gravina e Luigi Luzi -, ricordiamo, riguarda presunte irregolarità nei bilanci di Visibilia Editore e Visibilia Editrice tra il 2016 e il 2022, in particolare sul valore dell'avviamento societario che, secondo la Guardia di finanza, avrebbe dovuto essere azzerato già dal 2016 ma che fu invece mantenuto a bilancio per una cifra intorno ai tre milioni di euro. Questo primo processo, di fatto, rappresenta solo un pezzo dell'inchiesta più ampia, che potrebbe sfociare in ulteriori sviluppi e, con essi, aprire nuove crepe all'interno della coalizione di governo.