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Cosa sta succedendo a bar e ristoranti di Milano tra Covid e smart working

La città più internazionale d'Italia sta vivendo un periodo di grande trasformazione legata al cambiamento delle abitudini delle persone. L'emergenza pandemica, abbinata al massiccio impiego dello smart working, ha di fatto svuotato i locali a pranzo. Il rischio è la perdita di identità a vantaggio delle grandi catene commerciali della ristorazione

di Matteo Scibilia
Responsabile scientifico
16 marzo 2022 | 13:10
Covid e smart working: ora che succede a bar e ristoranti di Milano?
Covid e smart working: ora che succede a bar e ristoranti di Milano?

Cosa sta succedendo a bar e ristoranti di Milano tra Covid e smart working

La città più internazionale d'Italia sta vivendo un periodo di grande trasformazione legata al cambiamento delle abitudini delle persone. L'emergenza pandemica, abbinata al massiccio impiego dello smart working, ha di fatto svuotato i locali a pranzo. Il rischio è la perdita di identità a vantaggio delle grandi catene commerciali della ristorazione

di Matteo Scibilia
Responsabile scientifico
16 marzo 2022 | 13:10
 

La città di Milano è sicuramente la più internazionale del nostro Paese. I suoi grattacieli, la sua metropolitana e i suoi centri finanziari la pongono ai vertici europei, ma prima il Covid, con l'aumento dell'inflazione e ora i venti di guerra, che hanno portato la bolletta alle stelle, in qualche maniera mettono in mostra una certa vulnerabilità legata al sistema della ristorazione. Lo smart working, soprattutto delle grandi aziende, ha e sta trasformando alcuni tratti somatici della vita della stessa, la frenesia, il traffico, le vie e i quartieri più trend stanno mostrando un certo affanno. Migliaia di operatori che lavorano da casa alla fine stanno decretando una difficolta se non la chiusura di centinaia di negozi e soprattutto di pubblici esercizi: le trattorie, i bar, le pizzerie che a mezzogiorno svolgevano una funzione di mensa con i ticket restaurant sono realmente in grande difficoltà. Basti pensare alle prime colazioni del mattino e si puo immaginare quanti caffè e quante brioche in meno siano consumate in una città che vedeva ogni giorno la migrazione in ingresso di centinaia di migliaia di utenti. Sappiamo che anche il sindaco Giuseppe Sala è preoccupato (ha infatti chiesto di rivedere la politica dello smart working e il Governo ha deciso di cambiarla a partire dall'1° aprile, dopo la fine dello stato di emergenza). Una metropoli come Milano non puo reggersi con lo smart working, ma, al di là di ovvie e sicure preoccupazioni, qualcosa nel panorama cittadino sta cambiando. Il rischio è che Milano perda la sua identià e si omologhi a favore delle grandi catene della ristorazione. Una possibile soluzione per arginare questa situazione potrebbe essere rilanciare le ricette milanesi decodificate, al fine di preservare una tradizione culinaria e i suoi storici locali.

Covid e smart working: ora che succede a bar e ristoranti di Milano?

Milano, oltre al Covid ha subito un drastico cambiamento viabilistico

In tutta questa situazione a pesare, oltre al Covid e allo smartworking, ci sono anche altre criticità, basti pensare alla viabilità. L'Amministrazione, pur di rincorrere il consenso, elettorale, ha modificato drasticamente la viabilità. Questa in alcune zone della città è diventata un vero e proprio calvario. Basti pensare e vedere Corso Buenos Aires, una delle vie commerciali più lunghe ed attrattive d'Europa, trasformata in una trappola viabilistica con biciclette e monopattini per nulla rispettosi delle regole, ma soprattutto con parcheggi decimati e quasi inesistenti. Aspetto che non può non incidere sulla crisi che sta vivendo la ristorazione meneghina.

Covid e smart working: ora che succede a bar e ristoranti di Milano?

La lettera di uno storico ex ristoratore meneghino

Prendo spunto da ciò che sta avvenendo a Milano nel settore della ristorazione riferendomi in modo particolare a una lettera. Si tratta di una riflessione che ha scritto Paolo Manfredi, scrittore, osservatore politico ed ex ristoratore, suo era il fantastico I Valtellina in zona Linate, avamposto e testimonianza di una cucina del territorio che esprimeva ed offriva anche ai clienti più frettolosi uno spaccato enogastronomico ricco di storia e cultura. Paolo ha scritto, appunto, una lettera di denuncia che ha affidato alla Rete e ai social network in cui esprime un pensiero, in alcuni passaggi molto crudo, che dice «Addio Milano (un po' meno bella), ho deciso di lasciarti». Cosa sta quindi succedendo a Milano?

 

La chiusura del Pont de Ferr è sintomatica

Registrando una delle ultime nobili chiusure ristorative della città, il Pont de ferr, luogo e presidio di una civiltà estetica ed enogastronomica dei locali sui Navigli milanesi, Manfredi nella sua lettera denuncia una sorta di cupola di non cultura, di cocktail scadenti, con ricarichi spaventosi, figlia di una movida degradante, per cui l'Amministrazione comunale poco fa per arginarla. Il rischio per Manfredi è che ora anche l'Isola e Brera seguano il degrado dei Navigli. Noi naturalmente, riportiamo lo sfogo ed il giudizio di Paolo Manfredi, ma qualcosa vorremmo aggiungere, non c'è ombra di dubbio che incredibilmente, anche in quest'ora post Covid, che ha comportato la chiusura di decine di attività commerciali, nuove attività di ristorazione abbiano in qualche maniera riaperto, ma niente che si possa collegare a quella storia e a quella cultura che il Pont de Ferr trasmetteva. Le nuove aperture, spesso sono attività di somministrazione molto cheap, che trasmettono, se giri a piedi la città, la sensazione di un enorme stomaco che invade la stessa.

Milano sta perdendo la sua identità gastronomica ed estetica

Il sottoscritto, oltre che osservatore e scrittore della rivista è un cuoco, ristoratore da oltre 30 anni, con anche il privilegio di essere un consigliere di Epam/Fipe di Milano, l'associazione di riferimento del settore dei pubblici esercizi; non solo, con anche la delega alla salvaguardia ed alla valorizzazione del cultura gastronomica in questo caso, di Milano e le sue province, per cui il grido di dolore di Paolo Manfredi, mi e ci trova alquanto attenti e preoccupati.

Non c'è dubbio che Milano, grazie ad una innegabile globalizzazione, stia perdendo, per esempio una sua identità culturale enogastronomica, ma anche una visibilità estetica, una trasformazione di offerta sempre più appannaggio di grandi catene commerciali, che hanno reso le vie cittadine con le insegne di brand nazionali ed internazionali identiche a vie di altre grandi città. Una situazione che Tripadvisor da qualche settimana sta diffondendo. Tripadvisor afferma che Milano è la citta gastronomicamente parlando più amata dagli stranieri, e certamente non c'era bisogno di questa recensione. A Roma è più facile imbattersi in trattorie o osterie che offrono una cucina del territorio, molto più che a Milano. In città imperano i sushi-bar, pizzerie di grandi catene, una cucina etnica sempre più presente, chiaro che a Milano ci sia una ristorazione etnica di eccellenza, il sottoscritto, ama la vera cucina cinese, ma adora quella indiana, ma tenendo conto della grandezza della città, con i suoi costi è sempre più difficile scoprire ristoranti che offrono ricette della tradizione, sempre più fagocitate da una presenza di pesce di mare onnipresente.

Covid e smart working: ora che succede a bar e ristoranti di Milano?

Una soluzione: «Rilanciare le ricette milanesi codificate»

Lanciamo quindi da queste pagine una provocazione all'Amministrazione comunale. Qualche anno fa si fece in collaborazione con la Camera di commercio e con Epam una grande operazione legata alla conservazione delle ricette e degli ingredienti milanesi, le famose Deco, le Denominazioni comunali da una idea di Gino Veronelli. Dodici ricette vennero codificate, come retaggio di una cultura milanese che non doveva scomparire. Milano, per esempio, rischia, o forse l'ha già persa, la sua leadership con il panettone, che ormai si produce in tutta Italia con varianti, sicuramente gustose ma che nulla hanno del prodotto originario. Eppure viene sempre chiamato panettone, come se la bresaola venisse prodotta a Bari, piuttosto che a Palermo, i valtellinesi ne avrebbero di che lamentarsi, uno speck prodotto a Napoli potrebbe riaccendere i conflitti con l'Alto Adige, e così via. Perchè quindi non riaprire un tavolo su cui discutere delle Deco milanesi, creare un nuovo percorso magari agevolando chi propone i piatti della tradizione? Anni fa qualcuno ci aveva provato con il risotto giallo, e fu un grande successo. Io stesso provai a creare la Confraternita dell'Ossobuco. Forse è arrivato il momento di riprovarci al grido di «Il Panettone è di Milano».

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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