La prima cosa che risalta all’occhio varcando l’ingresso della tenuta di San Pietro a Pettine è uno scorcio panoramico mozzafiato dal quale viene quasi voglia di non staccare mai lo sguardo. Entrando nella tenuta della famiglia Caporicci, infatti, in una stradina leggermente in salita, gli occhi in modo naturale finiscono per ammirare il caratteristico borgo di Trevi, paesino arroccato su un versante della collina adiacente l’azienda che, di fatto, cattura lo sguardo per uno scorcio di rara bellezza. E, se siete fortunati, arrivando qui una volta calata la sera in un giorno sereno di luna piena, si può godere di una vista impareggiabile di Trevi illuminato e del nostro satellite, pieno e nitido, che sembra quasi osservarlo dal cielo. Il tutto, in un territorio dalla grande storia, che in passato è stato spettatore tanto del passaggio romano prima e longobardo poi, con resti artistici e culturali che nelle zone limitrofe sono ambasciatori di un retaggio storicamente ricco.
La Cucina di San Pietro a Pettine, in basso, e il borgo di Trevi in alto
San Pietro a Pettine, dove il tartufo è protagonista
Andiamo, però, con ordine. Siamo chiaramente in Umbria, in una località poco distante da Trevi appunto che dà il nome alla tenuta (in origine tartufaia, oggi anche ristorante con camere) San Pietro a Pettine. Tra il verde a poco più di 200 metri d’altezza, quanto basta comunque per ammirare la vallata che si distende sotto ai nostri occhi e arriva, nell’altro versante, ai piedi di Montefalco, sorge quest’azienda specializzata nella coltivazione di tartufi (con una tartufaia di oltre 6 ettari), nella produzione di olio e che da qualche anno a questa parte ha “riqualificato” la sua proposta gastronomica passando da un ristorante più incentrato su piatti tradizionali umbri a ricette più ricercate ed elaborate. Il trait d’union tra queste due realtà? Ovviamente, l’utilizzo e la valorizzazione del tartufo in cucina.
La sala de La Cucina di San Pietro a Pettine
Immerso tra le suggestive colline umbre, tra Assisi e Spoleto, San Pietro a Pettine rappresenta una destinazione unica che coniuga natura, tradizione e alta gastronomia. Un’affascinante tenuta che oggi è il cuore pulsante di una storia familiare che si tramanda da quattro generazioni, radicata nell'amore per il tartufo e per il territorio.
Dal 1948, San Pietro a Pettine incarna un equilibrio tra autenticità e raffinatezza. Il nome stesso deriva dalla chiesa romanica rurale praticamente adiacente al ristorante e che oggi rappresenta un simbolo di continuità storica e culturale. Versanti collinari tutt’intorno popolati dagli ulivi (non a caso, Trevi, è anche conosciuta come Capitale dell’olio extravergine), un mare verde a incorniciare un contesto naturale di rara bellezza. Qui Carlo Caporicci ha dedicato la sua vita alla coltivazione e valorizzazione del tartufo umbro, tesoro e icona gastronomica del territorio. Cresciuto tra le tartufaie della tenuta, Carlo ha raccolto i segreti di famiglia, tramandandoli alla figlia Alice, oggi anima creativa del ristorante e chef de “La Cucina di San Pietro a Pettine”.
Cosa si mangia a La Cucina di San Pietro a Pettine
Chef Alice Caporicci guida la cucina con uno stile che coniuga la tradizione gastronomica umbra con la sua personale soggettiva. La sua filosofia si basa sul concetto di "togliere e pulire", un viaggio verso l'essenza della cultura culinaria regionale. Attraverso ingredienti selezionati e una ricerca attenta, i piatti della chef reinterpretano i sapori locali, creando accostamenti raffinati in grado di valorizzare il protagonista indiscusso del posto in cui ci troviamo: il tartufo, presente (nelle sue tante varietà) di fatto tutto l’anno. Il menù, stagionale e dinamico, ruota attorno alle tipologie di tartufo della tenuta, dal pregiato bianco al nero uncinato, accompagnato ora a verdure ora a carni ma anche al dessert.
Coniglio ed erbe di campo, La Cucina di San Pietro a Pettine
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Pincisgrass con paté di fegato di pollo
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Agnello, verza e ricotta di pecora, La Cucina di San Pietro a Pettine
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Il dessert alla nocciola, cioccolato e tartufo
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Ogni piatto rappresenta una celebrazione del territorio, rispettando la sostenibilità e valorizzando le eccellenze locali. Questo approccio permette a “La Cucina di San Pietro a Pettine” di offrire piacevoli esperienze gastronomiche in cui il noto (e spesso abusato) fungo ipogeo trova una bella esaltazione generale. Cosa si mangia quindi? Disponibile sia la carta sia il menu degustazione, con la possibilità di abbinare un wine pairing da 3 o da 5 calici. In una sala elegante, che a uno stile contemporaneo abbina anche tratti rustici testimoni del passato di una struttura che fu nel Medioevo refettorio di frati di clausura, carni e verdure si alternano in un piacevole valzer. Si comincia con il Coniglio d’autunno, accompagnato da erbe di campo, funghi e more, per poi proseguire con un mix di finocchio e anguilla esaltato dalla presenza di tartufo uncinato. Molto buoni i fusilloni alla zucca con caccialepre (erba selvatica) e yogurt di mandorla ma il confronto tra i due primi piatti va al Pincisgrass (conosciuto, specialmente nelle Marche, come Vincisgrasso), un cannolo al forno in bianco ripieno di fegatini di pollo, topinambur e con tartufo nero pregiato. Per gusti personali convince un po’ meno l’agnello con verza, ricotta di pecora, mentre il saluto finale della chef è affidato a un dessert che combina nocciola, gianduia e lingotto al cacao con tartufo nero pregiato.
La Cucina di San Pietro a Pettine
06039 San Pietro a Pettine (PG)
Tel 334 536 3028