La pubblicità nel settore food e hospitality continua a perpetuare stereotipi di genere con una persistenza sorprendente, nonostante viviamo in un'era in cui la sensibilità su questi temi dovrebbe ormai essere acquisita. Secondo uno studio Nielsen del 2023, il 62% delle pubblicità nel comparto della ristorazione presenta ancora donne in ruoli di servizio o decorativi, mentre gli uomini appaiono come chef o esperti nell'84% dei casi.
Non trovate ci sia qualcosa di profondamente anacronistico in questi numeri? Come se fossimo ancora all'epoca in cui si pensava che le donne in cucina potessero al massimo preparare un soufflé, ma guai a far loro impugnare un coltello da chef. Eppure, i dati parlano chiaro: i brand che adottano una comunicazione inclusiva ottengono risultati migliori. Una ricerca di McKinsey ha evidenziato che le aziende del settore hospitality con campagne marketing gender-balanced registrano un aumento della customer loyalty del 23% e un incremento del 17% nel valore del brand. La parità non è solo una questione etica, ma anche un intelligente (e conveniente) approccio di business.
Lo squilibrio nella comunicazione e nel recruiting
Questo squilibrio nella comunicazione si riflette direttamente nei processi di recruiting e nella gestione delle risorse umane. Secondo l'ILO (International Labour Organization - Agenzia specializzata delle Nazioni Unite che promuove la giustizia sociale e i diritti umani soprattutto riguardanti il lavoro), gli annunci di lavoro nel settore hospitality utilizzano un linguaggio inconsciamente orientato al genere nel 71% dei casi.
Termini come “determinato” e “competitivo” dominano negli annunci per posizioni dirigenziali, mentre “cordiale” e “collaborativo” appaiono più frequentemente nelle posizioni di front-desk e servizio clienti. Perché, ovviamente, tutti sappiamo che essere collaborativi è incompatibile con la leadership, giusto? E la determinazione deve essere un'esclusiva maschile, come le cravatte a righe o la tendenza a non chiedere indicazioni quando ci si perde per strada.

Donne e leadership nell’ospitalità: il divario invisibile che frena le carriere
Un altro fenomeno preoccupante è quello che gli esperti chiamano “similarity attraction effect": i manager tendono ad assumere persone simili a loro. In un settore dove il 72% delle posizioni dirigenziali è occupato da uomini (Hospitality Management Association, 2023), questo circolo vizioso è difficile da interrompere.
È un po' come guardare all'infinito il proprio riflesso in due specchi paralleli: alla fine vedi solo te stesso, moltiplicato all'infinito, affascinante per un esperimento di fisica, disastroso per la gestione delle risorse umane. Le conseguenze sono evidenti: il talento femminile rimane spesso intrappolato nei livelli intermedi o operativi. Il famoso “soffitto di cristallo” nel settore hospitality è particolarmente spesso, con solo il 20% di donne nei consigli di amministrazione delle principali catene alberghiere internazionali, nonostante rappresentino il 58% della forza lavoro complessiva. A quanto pare, il vetro utilizzato in hospitality è di qualità superiore, resistente persino ai picconi più affilati.
La disparità nelle percezioni e aspirazioni
Non è solo una questione di chi viene assunto, ma anche di come chi già lavora percepisce le proprie possibilità di carriera. Un sondaggio condotto da Hospitality Career nel 2023 ha rivelato che il 67% delle donne nel settore hospitality non ritiene realisticamente di poter raggiungere posizioni di vertice nella propria azienda, contro il 38% degli uomini.
La buona notizia? Almeno il 38% degli uomini ha dubbi sulle proprie possibilità. La cattiva notizia? Quelli senza dubbi vengono comunque promossi. Questa disparità di percezione influenza direttamente le aspirazioni e, di conseguenza, la disponibilità a candidarsi per posizioni di maggiore responsabilità. È significativo notare che, secondo lo stesso studio, le donne nel settore si candidano per promozioni solo quando ritengono di soddisfare il 90% dei requisiti, mentre gli uomini lo fanno già al 60%. Se applicassimo questa logica ad altri contesti, nessun uomo ordinerebbe mai in un ristorante italiano se non avesse almeno una nonna di Napoli, eppure eccoli lì, a spiegare al cameriere come si dovrebbe cuocere la pasta.
Diversità di genere e la sua mancata rappresentazione nella realtà interna
Avete fatto caso al paradosso presente nei materiali di recruiting: le brochure aziendali e i siti web delle catene hospitality mostrano spesso una diversità di genere che non corrisponde alla realtà interna. Il 78% presenta immagini di team di leadership diversificati, ma solo il 31% ha effettivamente una rappresentanza femminile significativa ai vertici (Global Hospitality Index 2023). È un po' come quei ristoranti che nel menu mostrano un succulento hamburger alto 15 centimetri e poi ti servono una triste polpetta appiattita. La differenza? Con l'hamburger puoi sempre lamentarti e chiedere il rimborso.

La cucina professionale e il “gender gap”
Non da ultimo, merita una menzione speciale il mondo delle cucine professionali, dove il divario di genere è particolarmente marcato. Nonostante le donne siano tradizionalmente associate alla cucina domestica, solo il 19% degli chef executive nei ristoranti stellati è donna.
Le ragioni includono una cultura di cucina storicamente maschile e militaresca, orari estremi incompatibili con responsabilità familiari, e rappresentazioni mediatiche che rafforzano lo stereotipo dello chef uomo. È come se avessimo deciso collettivamente che le donne possono cucinare finché lo fanno gratis a casa, ma appena c'è uno stipendio di mezzo, ecco che improvvisamente c'è bisogno di testosterone per cuocere bene una costata.

Donne chef: perché il gender gap nelle cucine professionali è ancora così marcato?
Alcuni gruppi di ristorazione stanno attivamente contrastando questa tendenza. Il Gruppo D&D London ha implementato un programma chiamato "Equal Kitchens" che include orari flessibili anche per posizioni executive, supporti per l'assistenza all'infanzia e revisione delle immagini utilizzate nel recruiting. Dal lancio del programma, hanno registrato un aumento del 35% nelle candidature femminili e migliorato la retention del 28%. Apparentemente, permettere alle persone di avere una vita al di fuori della cucina le rende più felici di restarci quando sono al lavoro. Chi l’avrebbe mai immaginato?
L'inclusività di genere come vantaggio economico
Vale la pena sottolineare che l’inclusività di genere non è solo una questione etica, ma anche economica. Secondo un’analisi di Boston Consulting Group, le aziende del settore hospitality con una rappresentanza femminile sopra la media nei team dirigenziali hanno registrato margini operativi superiori del 15% rispetto ai concorrenti meno diversificati. È quasi come se avere diverse prospettive aiutasse a prendere decisioni migliori. Rivoluzionario, vero?
La sfida delle aziende nel rispettare la coerenza interna ed esterna
La vera sfida per le aziende del settore è garantire coerenza tra l'immagine esterna e la realtà interna. Non basta mostrare diversità nei materiali marketing o negli annunci di lavoro; è necessario che questa si rifletta autenticamente nelle politiche, nelle pratiche e soprattutto nella cultura aziendale. In altre parole, non basta mettersi il rossetto per essere una donna, bisogna anche capire cosa significhi esserlo. E questo vale per qualsiasi tipo di diversità che si pretende di rappresentare.

Parità di genere nell'Horeca: perché le aziende devono passare dalle parole ai fatti
Le aziende che sapranno allineare questi elementi non solo faranno la cosa giusta, ma otterranno anche un vantaggio competitivo significativo in un mercato del lavoro sempre più attento a questi temi. Secondo l'ultimo Employer Branding Report, il 76% dei talenti under 35 nel settore hospitality considera l’effettiva parità di genere un fattore determinante nella scelta del datore di lavoro. Quindi, se state ancora pensando che queste siano "questioni da donne", preparatevi a un futuro in cui parlerete solo con candidati maschi over 50. Il che potrebbe andare bene, se il vostro obiettivo è aprire un club esclusivo di appassionati di pipe e scotch invecchiato.
La domanda che dobbiamo porci come professionisti del settore è: possiamo permetterci di ignorare questo cambiamento? La risposta è no, non solo per motivi etici, ma anche di business intelligence e competitività nel mercato dei talenti. E voi, quando avete rivisto l'ultima volta non solo la comunicazione, ma anche le politiche di selezione e sviluppo del personale? O siete ancora convinti che il motto "abbiamo sempre fatto così" sia la risposta più brillante che si possa dare in un mondo che cambia alla velocità della luce?