Il primo impatto è stato uno shock, perché i dazi Usa al 20% su tutti i prodotti provenienti dall'Ue alla fine sono arrivati anziché rimanere solo una minaccia del presidente Trump. E se arrivano unanimi gli appelli alle istituzioni europee per trovare una sintesi nel rapporto con l'importante partner commerciale di oltreoceano, le aziende cercano di mantenere i nervi saldi e provano a guardare oltre l'allarme del momento. Da Unione Italiana Vini a Federvini, dai Consorzi alle associazioni di categoria, molte voci si sono sollevate per richiamare l'attenzione sui rischi collegati alle tariffe (assurdamente) imposte dall'amministrazione americana. Eppure proprio i diretti interessati - le aziende vitivinicole - sembrano considerare a sangue freddo il mutato scenario. Nel frattempo attendono di incontrare i 3mila buyer Usa che hanno confermato la propria presenza al 57° Vinitaly, in scena a Veronafiere dal 6 al 9 aprile.
Dazi Usa, Pasqua: «Il brand non si svende»
«Innanzitutto avere una certezza, per quanto possa essere dura ad accettare, è sicuramente molto meglio che navigare nel buio. Abbiamo visto fino ad oggi - sottolinea Riccardo Pasqua, ceo dell'azienda di famiglia -, senza certezze e con dei proclami molto muscolari, il business si è fermato. Comunque, almeno adesso abbiamo una certezza: un numero, il 20% di dazi su tutta l'Europa. Da qui impostiamo le strategie per i prossimi mesi e per il prossimo futuro. E sarà difficile. Il 20% di tariffe significa un aumento del prezzo di circa il 15% per i consumatori. Sicuramente è difficile, ma non devastante. Può essere abbastanza gestibile. Ora la strategia è di impostare in modo chirurgico il lavoro con tutti i nostri 50 distributori. Forti di una nostra società di importazione e di persone nostre presenti sul mercato, potremo prioritizzare e gestire al meglio le situazioni più critiche».

Riccardo Pasqua, ceo di Pasqua
Dopo anni di investimento sul mercato USA e sul brand, «non scenderemo a compromessi abbassando il prezzo e gestiremo un aumento del prezzo con una presenza ancora più massiccia sul territorio, cercando di non perdere posizioni e quote di mercato. Purtroppo, questi dazi saranno riversati sul consumatore finale, generando quindi inflazione». Nel frattempo l'imprenditore veronese riferisce come i partner e collaboratori siano più possibilisti rispetto all'opinione pubblica europea. «Sono più speranzosi che il governo americano possa scendere a compromessi e possa trovare una quadra negoziale. Ovviamente, se dovessero abbassare i dazi o toglierli sarebbe una super notizia. Ma noi da ieri impostiamo il lavoro sullo scenario del 20 per cento».
Dazi Usa, Frascolla (Tua Rita): «Pressione sul sistema distributivo Usa»
«Nel breve termine è ovviamente una grande scocciatura - osserva Stefano Frascolla, proprietario dell'azienda Tua Rita in quel di Suvereto - soprattutto perché la notizia si innesta su una congiuntura non splendida degli ultimi mesi e anni. Inevitabilmente porterà qualche difficolta nel relazionarsi con i distributori americani, perché di fatto è un problema essenzialmente americano. Per il consumatore invece non credo ci saranno problemi, perché dazi o non dazi rimarrà fedele alle proprie passioni; semmai le flessioni più importanti potranno esser legate più alla catena di distribuzione che alla voglia del consumatore di bere italiano. Le nostre simulazioni sono comunque supportate dal fatto che, con o senza dazi, il vino italiano non trova pari livello sul mercato locale».

Stefano Frascolla, proprietario dell’azienda Tua Rita
Sul lungo termine, Frascolla vede la possibilità di uno scossone alla catena di distribuzione americana. «Il modello della catena di distribuzione americana è molto costoso con un sistema a tre passaggi obbligatori che (anche quando due sono accorpati) genera tre livelli di ricarico. Forse l'impatto dei dazi potrebbe accelerare il superamento di questi processi, che già adesso trovano delle alternative». Nel frattempo non ci sono strategie adattive in atto, perché l'azienda attende di confrontarsi con i partner statunitensi.
Dazi Usa, Planeta: «Approccio "no panic"»
«Di fronte alla realtà dei dazi - dice Alessio Planeta, ceo di Aziende Agricole Planeta - riteniamo fondamentale adottare un approccio all'insegna del “no panic” e dell'armonizzazione. Un percorso continuo, silenzioso, sereno e fondato su una contrattazione equilibrata a livello europeo. Bisogna evitare colpi di scena e puntare invece su quella diplomazia che da sempre sostiene le relazioni commerciali internazionali. Per armonizzazione intendiamo un impegno comune lungo tutta la filiera, dal produttore al consumatore. Che si tratti di vino o di altri prodotti, sono molti gli attori coinvolti nel percorso produttivo e distributivo. È essenziale che ciascuno sia disposto a collaborare e, se necessario, a rinunciare a una parte del proprio margine di profitto».

Alessio Planeta, ceo di Planeta
Questo è quello che il gruppo Planeta proverà a concordare con gli importatori e distributori in USA. «Solo così si può evitare che l'aumento dei costi imposto dai dazi si riversi interamente sul consumatore finale - aggiunge il ceo - contribuendo a una spinta inflattiva troppo marcata. Non vorremmo, come affermò ironicamente Winston Churchill a proposito dei dazi nel Regno Unito, che i soldi tolti dalle tasche di un inglese per essere messi in quelle di un altro inglese, si perdano nel tragitto. Al contrario, auspichiamo che i dazi possano contribuire a consolidare le economie dei rispettivi paesi, se gestiti con equilibrio e responsabilità. Da non dimenticare, l'importanza del turismo proveniente dagli Stati Uniti, fondamentale non solo per la Sicilia ma per l'intera Italia. Questo legame ci invita a preservare rapporti improntati al rispetto e alla serenità nei confronti dei cittadini americani che scelgono il nostro Paese come meta». Per il futuro del comparto agricolo italiano, dunque, secondo Planeta le vere domande da porsi è: alla fine l'economia americana sarà più forte o più debole? E quella europea?
Dazi Usa, Mazzei: «Gli americani non molleranno il vino italiano»
«Siamo costernati di fronte a questo annuncio, anche se rispetto all'assurdo 200% siamo in un ambito di maggiore ragionevolezza», è il commento a caldo di Francesco Mazzei, che con il gruppo di famiglia (di cui è ad) conta sul mercato Usaper il 15/20 per cento. «Per Castello di Fonterutoli sono cifre importanti - ammette - e proprio per questo auspichiamo che le trattative in corso, orientate ad una riduzione delle tariffe al 10%, un impatto decisamente più facile da assorbire».

Francesco Mazzei, ad di Marcesi Mazzei
Nel frattempo tutto è congelato, «perché noi e i nostri distributori eravamo in attesa di notizie» e ora si apre una fase di riflessione. «Di certo non sarà una cosa indolore - chiosa Mazzei - e si dovrà cercare di impostare il lavoro per cercare sbocchi su altri mercati. È vero comunque che gli americani non smetteranno di bere italiano, anche se inevitabilmente ci saranno aumenti di prezzo. Vedremo però come questo impatta sull'inflazione, che salendo dovrebbe generare un aumento dei tassi Usae dunque un rafforzamento del dollaro, andando a mitigare i dazi. Insomma, ci sono dinamiche macroeconomiche da valutare, anche se certamente in questo momento i dazi hanno portato solo povertà con il crollo delle borse».
Dazi Usa, Casadei: «Dialogo con la filiera distributiva»
A fronte di un dazio del 20% sulle importazioni di vino negli Stati Uniti, «il nostro impegno si concentra principalmente sul dialogo - dice Stefano Casadei di Famiglia Casadei - poiché gli attori coinvolti siamo noi, come gruppo vitivinicolo, insieme agli importatori, ai distributori e infine ai consumatori finali. Il nostro obiettivo è comprendere come il dazio possa essere gestito in modo equo ed efficiente, distribuendo il peso in modo che non gravi esclusivamente sul produttore. Siamo convinti che ci sia un margine sufficiente, tra il prezzo che l'importatore paga per una bottiglia di vino e quello che arriva al consumatore finale, per una distribuzione sostenibile del dazio, che coinvolga tutte le parti interessate. Non è pensabile che tale onere ricada solo sul produttore e siamo fermamente convinti che attraverso un confronto costruttivo e un impegno condiviso, si possano trovare soluzioni che possano garantire la sostenibilità del sistema».

Stefano Casadei di Tenuta Casadei
L'imprenditore toscano si dichiara dunque fiducioso rispetto alla possibilità che da questo dialogo emergano «soluzioni equilibrate e sostenibili per tutte le parti coinvolte, in modo da preservare la qualità e l'accessibilità del nostro prodotto, mantenendo un rapporto duraturo e proficuo con il mercato statunitense».
Dazi Usa, Waldboth (Abbazia di Novacella): «Fiduciosi nel mercato Usa»
Circa il 25% dei vini prodotti da Abbazia di Novacella viene esportato nel mondo in più di 40 Paesi. Se dunque la cantina-monastero è ambasciatrice della viticoltura della Valle Isarco in paesi europei come Germania, Svizzera, Bulgaria, Polonia, Romania, ma anche in paesi più lontani come Taiwan e Giappone, gli Stati Uniti restano un Paese molto importante.

Werner Waldboth, direttore vendite e marketing di Abbazia di Novacella
«Ogni anno circa 10mila casse raggiungono 35 Stati grazie a una assidua collaborazione con circa 25 distributori locali - spiega il direttore vendite e marketing Werner Waldboth -. Abbiamo quindi preso atto della comunicazione relativa ai dazi imposti dal presidente Trump e stiamo mantenendo un dialogo continuo con la nostra rete di distributori locali. L'obiettivo è quello di ricercare il migliore equilibrio produttore-distributore. L'imposizione dei dazi influenzerà la domanda e causerà fluttuazioni significative di prezzo nel segmento di mercato delle nostre referenze. Nonostante l'incertezza, rimaniamo fiduciosi nel mercato statunitense e vediamo l'esigenza di diversificare le nostre destinazioni per compensare le perdite potenziali. Stiamo monitorando attentamente la situazione e lavorando per mitigare gli effetti negativi».
Dazi Usa, Ponti (Italia del Gusto): «Un rischio economico e culturale»
Anche il Consorzio Italia del Gusto esprime forte preoccupazione per l'impatto che l'introduzione dei nuovi dazi statunitensi potrebbe avere sull'export agroalimentare italiano, che nel 2024 ha registrato risultati da record: +18% negli Stati Uniti (dati Nomisma) per un valore complessivo di oltre 7,8 miliardi di euro.«Non si tratta solo di numeri o percentuali - dichiara Giacomo Ponti, presidente di Italia del Gusto - ma della tenuta stessa di una filiera fatta di competenze, persone, territori e marchi che il mondo ci invidia. Colpire l'export agroalimentare italiano significa colpire la filiera della qualità, quella che trasforma materie prime eccellenti in prodotti che portano valore aggiunto al nostro Paese e identità ai nostri marchi nel mondo».

Giacomo Ponti, presidente di Italia del Gusto
E il rischio non è solo economico, ma anche culturale secondo Ponti: «I dazi aprirebbero la strada all'Italian sounding, mettendo fuori gioco i veri prodotti italiani e favorendo imitazioni prive di controllo e valore. L'esperienza del passato ci ha già insegnato quanto possano essere pesanti gli effetti: nel 2019, i prodotti colpiti da dazio pari al 20%, ridussero le vendite del 40%. Senza questi prodotti sulle tavole americane non perdiamo solo fatturato: perdiamo un pezzo di identità italiana nel mondo. Chiediamo con forza che il governo italiano apra un confronto diretto e tempestivo con l'amministrazione Usa e con Bruxelles per scongiurare un danno enorme al nostro sistema agroalimentare».