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Al caffè non si rinuncia. Cresce il bisogno di cultura e formazione

Al netto della pandemia, il consumo di caffè è sempre un must. Che sia preparato con la moka di casa oppure degustato al bar, per molti rappresenta un “rito” irrinunciabile. Serve più formazione per gli operatori per rispondere alla crescita di competenze da parte della clientela. Da non sottovalutare i problemi ambientali

 
27 marzo 2021 | 08:33

Al caffè non si rinuncia. Cresce il bisogno di cultura e formazione

Al netto della pandemia, il consumo di caffè è sempre un must. Che sia preparato con la moka di casa oppure degustato al bar, per molti rappresenta un “rito” irrinunciabile. Serve più formazione per gli operatori per rispondere alla crescita di competenze da parte della clientela. Da non sottovalutare i problemi ambientali

27 marzo 2021 | 08:33
 

Quegli ancoraggi “effetto bambagia” che determinano il comfort del vivere quotidiano. La carezza del mattino, al limite della commutazione in “scappellotto”, costituita dalla tazza di caffè, rito irrinunciabile. Due sono i possibili step. E c’è chi li mette in “or”, ovvero o l’uno o l’altro, e chi li mette in “and”, ovvero l’uno e l’altro. Parliamo, da un lato, del caffè fatto in casa al mattino, con il borbottio negli attimi della sua fuoriuscita dalla parte inferiore della moka, con il profumo che si spande. E poi parliamo dell’espresso al bar, il top della ritualità mattutina.

Al caffè non si rinuncia. Cresce il bisogno di cultura e formazione

Per comprendere bene la grande affezione che abbiamo per il caffè dovremmo forse riflettere sulla preziosità che assume la risorsa quando diviene carente. Durante la Seconda Guerra Mondiale, ad esempio, il caffè divenne risorsa carente: fu uno dei primi prodotti a sparire, rimpiazzato subito dall’orzo o dalla cicoria. Ebbene sì, dalla pianta di cicoria si ricava anche il caffè, ottenuto dalla radice lunga e affusolata, raccolta in autunno ed essiccata per essere poi trasformata in una bevanda nera. Insieme a quello di cicoria, anche il caffè d’orzo è stato uno dei primi surrogati del caffè in tempo di guerra, ottenuto dall’infusione dell’orzo tostato e macinato.

I numeri del caffè nel mondo
In ossequio al pensiero pitagorico (la realtà esprimibile mediante numeri), diamo una breve sinossi del “mondo caffè”. Una pianta di caffè produce circa 500 grammi di caffè. La produzione mondiale annua è di 6 milioni di tonnellate, ovvero 6 miliardi di chilogrammi! Essendo quasi 8 miliardi noi tutti qui a vivere su questo piccolo pianeta, significa che ognuno di noi ha in dotazione circa 800 grammi di caffè all’anno. Fosse per noi italiani la quantità non sarebbe bastevole. Di caffè, infatti, noi italiani ne consumiamo ben 6 kg all’anno, mezzo chilo al mese.

Quasi tutta la produzione è rappresentata da due qualità: Arabica e Robusta. L’Italia ne importa 324mila tonnellate l’anno, di cui il 52% è Arabica. Il maggior produttore mondiale di caffè è il Brasile con circa 2 milioni di tonnellate, ovvero circa 1/3 della produzione mondiale. Di caffè se ne bevono nel mondo circa 3 miliardi di tazze al giorno. Come se nell’arco di una giornata il 38% dell’intera popolazione mondiale bevesse una tazza di caffè.

Al caffè non si rinuncia. Cresce il bisogno di cultura e formazione

I numeri del caffè in Italia
Facciamo adesso focus sul nostro Paese partendo dai dati forniti dalla Fipe, Federazione italiana pubblici esercizi. Sono circa 6 miliardi gli espressi consumati in un anno, per un volume d’affari di circa 7 miliardi di euro e un consumo di 47mila tonnellate di miscela. La quantità media dei caffè serviti in un giorno in un bar italiano è 180, fra espressi e cappuccini, per un incasso giornaliero di circa 200 euro.

La prima colazione è il momento di maggiore consumo di caffè al bar, specialmente per gli uomini fra i 55 e i 64 anni di età, residenti nel Nord Italia. Al Centro-Sud, invece, più spiccata la preferenza per un esercizio che oltre al caffè somministri anche pasticceria. Il prezzo medio della tazzina al bar è nella fascia 1-1,10 euro.

Caffè espresso, simbolo di italianità
Il caffè espresso, ovvero quello che possiamo degustare al bar, è uno dei simboli del Made in Italy e dello stile di vita italiano. La sua esistenza comincia nel 1884, quando il torinese Angelo Moriondo inventò e brevettò la “macchina del caffè istantaneo”. Da allora nacquero le tante tipologie di caffè espresso, sovente in funzione di nascenti costumanze regionali. Anche tutto ciò, queste tipologie e le abitudini di uso concorrono a rendere un’arte la ritualità del caffè da degustare al bar. Vediamo alcuni dei modi tipici locali di interpretare e consumare la propria variante di caffè espresso.

Specialità regionali e locali
A Fano si beve la “moretta fanese”, quasi un cocktail. Anice, cognac e rum in parti uguali, insieme ad una scorza di limone, scaldati insieme in un pentolino e poi uniti al caffè. Corroborante dei freddi mattini invernali della costa Adriatica marchigiana.

A Lecce si beve il “caffè in ghiaccio”. Oltre al caffè ed al cubetto di ghiaccio, altro ingrediente fondamentale è il latte di mandorla, che rende più cremosa e golosa questo speciale caffè, da gradire soprattutto durante la lunga estate salentina.

Al caffè non si rinuncia. Cresce il bisogno di cultura e formazione

A Napoli il caffè deve essere con le “tre C”. Le tre C stanno ad indicare la locuzione “diamine, quanto è caldo”. E dove stanno le tre C? Semplice, nella locuzione espressa in dialetto! È diceria che il valore aggiunto del caffè napoletano, la sua particolare bontà sia dovuta all’acqua delle sorgenti del Serino. Poteva essere vero una volta, ma non adesso. Ciò che davvero caratterizza il caffè bevuto a Napoli è l’uso della specie Robusta, che dà più corpo all’espresso, agevolando la formazione della cosiddetta crema.

A Torino non è caffè della tradizione se non è il bicerin degustato allo storico locale “Al Bicerin” attivo dal 1763, in pieno centro città di fronte al Santuario della Consolata. Un mélange caldo di caffè e cioccolata, evoluzione della ricetta settecentesca della bavareisa. Tre gli ingredienti: caffè espresso caldo, cioccolata e crema di latte. Il bicerin viene servito in bicchieri che consentono di osservare la stratificazione degli ingredienti.

In Valle d’Aosta il caffè alla valdostana si fa con caffè, cannella, chiodi di garofano e genepì, il tipico liquore locale a base di ginepro, a cui si aggiungono grappa, scorza di agrumi e zucchero.

Scarse competenze in materia di caffè
Per capire l’attuale stagione del caffè sul mercato, ovvero nel luogo dove si incontrano domanda ed offerta, ci gioviamo di un paragone con il mondo del vino degli anni ‘80 dello scorso secolo, quando il vino era quasi una commodity. Quasi sempre assente la carta dei vini, la domanda del cameriere era “bianco o rosso?”. Non ci si scandalizzava e si rispondeva nel merito. Ed arrivava, per l’appunto, o “il” vino rosso o “il” vino bianco. In caraffa, a temperatura casuale, in genere ben freddi entrambi, bicchiere eclettico che andava bene per l’acqua, per la birra, per il vino e forse alla fine anche per l’amaro della casa gentilmente offerto. Ah, a proposito, anche il vino, sia chiaro, era il “vino della casa”... Tutto questo solo quattro decenni fa, non quattro secoli fa!

Con il caffè siamo praticamente, ma fortunatamente solo per certi aspetti, a quella stagione. Forte carenza di competenze sia nell’offerta che nella domanda e conseguente visione del prodotto “tazzina di caffè” come una commodity. Ed è proprio quest’ultimo uno dei temi più interessanti: quanto sa il consumatore medio sul caffè? Come lo sceglie? Come lo degusta?

Al caffè non si rinuncia. Cresce il bisogno di cultura e formazione

Qualcosa si sta muovendo per rendere informazione condivisa e manifesta la qualità di caffè adoperata. Che poi, al netto di “chicche” (chicche di chicchi!), sono riconducibili soltanto a due: Arabica e Robusta. La pandemia, con l’emergente abitudine a consumi più ponderati, più consapevoli, ed a pratiche di edutainment in rete, sta contribuendo a questo rinnovamento. Alcune torrefazioni si stanno distinguendo sul piano qualitativo e stanno investendo risorse per consolidare la cultura di prodotto nei consumatori finali.

Fioriscono in varie parti d’Italia (ma anche all'estero) accademie che preparano non solo professionisti, ma anche appassionati del caffè, i coffee lovers. In rete cominciano a tenersi incontri non solo sul vino e su altri prodotti di eccellenza del nostro patrimonio agroalimentare, ma anche su uno dei prodotti italiani più consumati al mondo: l’espresso.

Consumi in crescita e problemi ambientali
Sono trascorsi circa quattro secoli da quando Francesco Redi, medico e naturalista toscano, scriveva: «Beverei prima il veleno / che un bicchier che fosse pieno / dell’amaro e reo caffè». E difatti il consumo di caffè nel mondo è in costante crescita. Ciò provoca però problemi non di poco conto all’ambiente. Il WWF ha definito il caffè uno tra i prodotti a più alta causa di deforestazione.

Lo scenario prossimo venturo del caffè sarà pertanto il frutto dell’armonica considerazione di tutti i fattori succitati. Ciò sia per il consumo domestico che per il consumo al bar dove - è bene ribadirlo - si tratta di investire non solo sulla qualità del caffè, ma anche sulla formazione del barista.

Sono questi dunque gli elementi irrinunciabili per l’angolo caffetteria del bar del dopo pandemia:

  • attenzione per il cliente che nel suo divenire più competente e consapevole aumenta anche le sue esigenze;
  • formazione delle persone al banco e in sala;
  • propensione all’innovazione soprattutto quando ciò significhi maggiore coerenza con l’obiettivo della sostenibilità;
  • qualità sempre crescente del mix prodotto/servizio.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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