Come ha ampiamente sottolineato il direttore di 'Italia a Tavola” Alberto Lupini nell'ultimo editoriale, quel che serve al nostro Paese in un momento come questo è una struttura sul modello di Sopexa in Francia, che abbia ad un tempo un aspetto istituzionale capace di dare garanzie e sia contemporaneamente espressione di tutte le imprese, le associazioni e i gruppi che vogliono convergere in nome di un'unità d'azione e di una sola bandiera.
Sono troppe le sigle, le associazioni, i consorzi e gli enti che operano nel settore agroalimentare, col rischio di una dispersione delle energie e delle risorse economiche. Dobbiamo poter lavorare tutti per il bene della Cucina italiana e dei prodotti italiani, e un unico consorzio potrebbe essere uno strumento utile e strategico.
A questo proposito si è espresso nuovamente Emanuele Esposito (nella foto), executive chef e general manager de 'Il Villaggio” a Jeddah, in Arabia Saudita. Di seguito riportiamo il suo intervento.
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Un elenco infinito di promozione del Made in Italy: Ministero delle Politiche agricole, Ministero dello Sviluppo economico, Ice, Enit, BuonItalia, Consorzi vari, Accademia cucina italiana, Accademia cucina storica Italia, Associazione cuochi italiani, Federazione cuochi italiani, Gvci, Ciao Italia, Maestri di Cucina italiana, Consorzio Cuochi di Lombardia, Orpi, Uir, Ais, Gri, Associazione pizzerie italiane, Associazione vera pizza napoletana, Associazione nazionale pizzeria e ristoranti...
Potrei continuare all'infinito poiché sotto queste associazioni ci sono altre sigle non meno importanti di quelle elencate, associazioni di categoria locali o regionali. Il punto non è tanto quante ce ne sono (tante sicuramente), il punto è che tutto questo è ridicolo e imbarazzante, perché ciò toglie risorse importanti. Se pensassimo soltanto a quanto spendono i consorzi per promuovere i vari prodotti Dop o Igt durante l'anno, ci accorgeremmo che escono fuori cifre che potremmo investire in cose più serie. Tipo intervenire su quei Paesi che hanno difficoltà a far entrare i nostri prodotti aiutando le imprese di esportazioni italiane con interventi magari sui dazi doganali, su test di laboratorio richiesti da alcuni Paesi, etc.
Potremmo magari mettere sotto lo stesso tendone le varie fiere e magari farne una che gira l'Italia, il Cibus o il TuttoFood possono benissimo essere incorporate e fare un giro d'Italia ogni anno, magari farlo un anno a Napoli, un altro a Catania, partecipare con un unico stand alle varie fiere internazionali, invece che andarci con mille sigle e mille consorzi.
Oltre a ridurre i costi si avrebbe un maggiore risultato e un impatto comunicativo diretto e diverso. Ciò non toglie che i capisaldi delle associazioni o enti rimangono con la loro identità, nessuno vuole rompere l'equilibrio, si vuole soltanto fare cassa per portare a casa risultati veri.
Queste sigle sono pronte alla sfida? Nel 150° anno dell'Unità d'Italia vogliamo ricordarlo con un grande impegno come fu in quel lontano 17 marzo 1861? Io sono pronto e voi? Volete uscire dal vostro orticello o rimanere lì e continuare a racimolare spiccioli per qualche sagra di paese?
Emanuele Esposito
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