In attesa che il ministero della Salute emani l'atteso decreto interpretativo per uscire dal
brutto pasticcio dell'ordinanza che vietava (senza vietarlo realmente) l'uso di additivi in cucina (tutti, nessuno escluso, compresa la lecitina di soia...), sarebbe interessante sapere come si comportano i cuochi italiani. In realtà, risolto da alcuni l'obbligo di una comunicazione sommaria (c'è chi mette una nota nel menu, chi lo dice a voce e chi ha un piccolo avviso all'ingresso del locale), pare che la crociata della sottosegretaria Martini sia di fatto passata senza lasciare traccia, tanto era vacua e leggera.
Come dire che, dopo un po' di clamore giornalistico, tutto sarebbe rimasto uguale a prima. Tanto che i controlli dei Nas si limitano di fatto ad accertare se sulle confezioni di questi ingredienti 'sospetti” ci sia o meno (nel qual caso scattano pesanti sanzioni) la dicitura additivi ad uso alimentare. Un'interpretazione che ci vede assolutamente d'accordo, nonostante le lamentele, ovviamente mai pubbliche, di qualche stellato che ha pagato pesanti sanzioni per non essersi almeno preoccupato di controllare la presenza di questa scritta.
Detto ciò, tutto resta come al solito secondo lo scenario italiano: tanto rumore per nulla. Ma stavolta siamo noi a non mollare la presa. Dopo avere difeso la possibilità dei cuochi di utilizzare prodotti che sono usati nell'industria e che per la ricerca non sono pericolosi (anche se noi ne facciamo volentieri a meno), stavolta chiediamo al Ministero di chiarire una volta per tutte cosa e come devono comunicare nei ristoranti quando sono utilizzati degli additivi. Il consumatore ha diritto di sapere se la ricetta è di tipo tradizionale o è modificata. Ne va della certezza di quello che si mangia e, soprattutto, della serietà del cuoco.
In questa fase di sostanziale anarchia favorita proprio da un'ordinanza stupida e malfatta, c'è anche chi fa il furbetto. Può quindi capitare che in una malga trentina, in una serata dedicata alla tradizione e alle tipicità, venga servito del risotto con l'aglio ursino che non si sa con cosa sia stato mantecato o che, peggio, un dessert di latte di mucca appena munto si presenti come una panna cotta, che solo con l'ausilio di colla di pesce (improbabile in quel contesto) o dell'agar-agar potrebbe avere quella consistenza. Come consumatori abbiamo il diritto di sapere cosa c'è realmente in quel piatto, anche perché così sapremmo a chi attribuire quell'inevitabile fastidio al basso ventre quando si utilizzano alcuni addensanti.
Alberto Lupini
alberto.lupini@italiaatavola.netArticoli correlati:
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