Per un Paese abituato all'immobilismo e alle tutele corporative, le recenti decisioni del Governo rappresentano qualcosa di quasi inimmaginabile. Anche per molti imprenditori seri e per la gran parte dei dipendenti, la sensazione è quella di uno choc che mette in discussione un insieme di equilibri e consuetudini che sembravano inattaccabili. Fra pensioni, tasse,
liberalizzazioni, semplificazioni e, si spera, nuove regole per i contratti di lavoro, l'Italia sta subendo un terremoto impensabile fino a pochi mesi fa, quando il 'bunga bunga” o l'antiberlusconismo fine a se stesso scandivano il tempo di una politica lontana anni luce dall'emergenza che dovevamo affrontare.
Ma ora che le cose cambiano sul serio (sempre che i vecchi partiti non affossino tutto il Parlamento) occorre adattarsi in fretta a nuovi modelli organizzativi e culturali. E perché questo succeda rapidamente è indispensabile che i sindacati, di tutte le categorie, si diano una mossa per favorire questa evoluzione. Invece di protestare e porre dei veti che dimostrano solo debolezza, chi ha la responsabilità di rappresentare degli interessi economici deve fare di necessità virtù e smetterla di difendere l'indifendibile. Il mondo del commercio ne è un esempio evidentissimo. Nonostante si tratti di un blocco sociale che per decenni ha goduto di protezioni elevate, in poche settimane si è trovato letteralmente messo con le spalle al muro e senza rete. Sono stati liberalizzati gli orari di apertura contro l'interesse delle piccole e medie aziende, mentre la presunta impunità fiscale del comparto è stata spazzata via con pochi
mirati blitz dell'Agenzia delle entrate fra Cortina a Milano. E tutto ciò dopo che una componente importante del terziario come la ristorazione era stata messa in ginocchio dalla demenziale riforma del Turismo dello scorso anno, che aveva spalancato le porte praticamente a chiunque voglia somministrare del cibo.
Proprio ai ristoranti si presenta oggi una delle sfide più difficili: abbandonare l'idea di poter fare barricate di fronte alla deregulation del settore e puntare al contrario all'unico obiettivo capace di dare un futuro al settore, la qualità e la garanzia alimentare. Se da un lato ora tutti possono vendere cibo senza dover rispettare i controlli di igiene e sicurezza che incombono sul ristoratore, queste norme finora vissute come lacci possono diventare un'arma per distinguersi nettamente dal resto del mercato.
I ristoratori sono gli unici oggi capaci di garantire la sicurezza alimentare e su questo devono alzare mura invalicabili per l'accesso al settore. Richiedendo se necessario
controlli a tappeto di Nas e Asl per colpire chi sgarra e chi non è in regola con la conservazione e la trasformazione degli alimenti. L'Haccp da vincolo odioso può diventare l'arma per vincere il confronto. Invece di immaginarsi un po' troppo artisti, i cuochi devono tornare alle origini e riavvicinarsi ai medici, con cui condividono la giacca bianca, e occuparsi con più rigore della salute dei propri clienti. Fra allergie, intolleranze, rischi di intossicazione e obesità, il cuoco deve saper offrire una sponda di sicurezza e distinguersi dalla ristorazione industriale, dai fast food o semplicemente dagli improvvisati cucinieri da sottoscala.
E perché non si lascino solo agli altri gli spazi d'azione offerti dalle liberalizzazioni, i ristoranti devono magari riuscire a trasformarsi in piccole locande o allargare l'attività con la vendita di prodotti alimentari. L'importante è mantenere nel cuore dell'impresa una cucina di qualità capace di fare la differenza con tutti gli altri ed essere ambasciatore della cultura, delle tradizioni del proprio territorio e in sintesi di quello stile italiano di stare a tavola che ci è invidiato in tutto il mondo. Una prospettiva a cui dedichiamo non a caso il convegno che insieme a Fipe e Confcommercio toscane abbiamo organizzato per il 25 febbraio a Firenze in occasione della premiazione dei
Personaggi dell'anno dell'enogastronomia e della ristorazione.
Alberto Lupini
alberto.lupini@italiaatavola.netArticoli correlati:
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