Nella babele di sigle ed associazioni che rappresentano vari pezzi del vasto mondo della ristorazione, ora si aggiunge anche Confindustria. Un ingresso per ora in sordina e basato solo sulla scelta di campo del Maestro della Cucina italiana,
Gualtiero Marchesi, che non manca di distinguersi ancora una volta. Un segnale peraltro evidente, se ancora ce ne fosse bisogno, del pessimo livello di rappresentanza del settore. Se davvero qualcuno a livello di Marchesi ha bisogno di avere alle spalle una sigla 'forte” come Confindustria, forse è davvero il caso che a livello di Fipe e Confesercenti da un lato, e Fic e Apci dall'altro (il resto conta francamente poco...), comincino sul serio a mettere mano a qualche riorganizzazione interna.
Concentrandoci di più sul versante delle imprese (per i cuochi dipendenti i discorsi da fare possono essere altri e comunque in linea con quelli che indica da tempo su 'Italia a Tavola”
Emanuele Esposito), la scelta di campo del gruppo Marchesi (che peraltro con il ristorante 'Il Marchesino” resta associato all'Epam) non può essere sottovalutata, pena il rischio di una fragorosa erosione di consensi dei sindacati che si potrebbe registrare a breve. Col risultato di rendere ancor più debole il settore...
Un segnale d'allarme lo ha lanciato
Matteo Scibilia che ha sollecitato la Fipe, di cui è un dirigente locale in Lombardia, a dare un forte segnale di discontinuità mettendo realmente la ristorazione al centro delle sue iniziative sindacali. Abbiamo però il timore che cadranno nel vuoto le richieste di risposte da parte di Carlo Sangalli e Lino Stoppani, presidenti nazionali di Confcommercio e Fipe. Eppure sarebbe proprio il caso che dal maggiore sindacato del settore (che fra l'altro sta cercando di riorganizzare un'area di ristorazione di qualità sotto l'impulso dei vicepresidenti Alfredo Zini e Aldo Maria Cursano) giungessero parole chiare e immediate.
Certo la realtà che sta dietro al nome di Gualtiero Marchesi non è fatta solo di ristorazione tradizionale, e comunque è di dimensioni importanti. Non si può però non tenere conto che le motivazioni date da Enrico Dandolo, amministratore delegato del gruppo, per questa scelta di campo sono lapidarie: l'Epam di Milano (la Fipe territoriale) ha di fatto le mani legate per i condizionamenti che vengono dagli esercenti legati alla movida (i bar e i locali notturni). Da qui il segnale di una scarsa rappresentatività sui temi alti che riguardano la ristorazione di qualità.
Forse è necessario che, così come è già successo in altre città italiane, anche a Milano i ristoratori si occupino un po' di più del loro sindacato. La breccia aperta da Marchesi è ancora piccola e c'è tempo di ridare ruolo e peso alla Fipe. Ma lo stesso ragionamento vale per Confesercenti. E più in generale questo deve avvenire a livello nazionale. Proprio la mancanza di una forte rappresentanza della ristorazione a tutti i livelli ha portato anche al recente insuccesso di un
Codice del turismo che ha penalizzato duramente il settore, passando sopra la testa dei sindacati di categoria che hanno rimediato (forse) una Circolare interpretativa per ridurre il danno di aprire la definizione di ristorazione anche a chi non è in regola con le normative legate alle licenze in essere.
Alberto Lupini
alberto.lupini@italiaatavola.netArticoli correlati:
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